
Secondo uno studio dell'ISTAT, “Le richieste di aiuto durante la pandemia” [1], i dati sono riferiti all'anno 2020, nel periodo della pandemia le chiamata d'aiuto sono aumentate di quasi l'80%.
Il picco di telefonate al 1522 è avvenuto tra aprile e maggio 2020.
Il lockdown, lo ricordiamo tutti, è partito nel mese di marzo ed è bastato un mese, quindi, di convivenza forzata con i familiari e coniugi per scatenare le violenze domestiche. Si sono registrati incrementi soprattutto al Sud e nelle isole, lì dove il lavoro è venuto più a mancare. Mariti e padri frustrati dalla mancanza di un'occupazione già, evidentemente, poco appagante e mal retribuita ha fatto sì che tirassero fuori il peggio di loro stessi. Le donne, sono sempre loro a pagare il prezzo più alto. Nel periodo della pandemia, anche tante di loro hanno perso il lavoro e quel periodo di allontanamento dal tetto che le vedeva, forse, già vittime di abusi e violenze, quel lavoro che le rendeva autonome nei movimenti ed economicamente. Costrette alla convivenza hanno subito maltrattamenti, nella migliore delle ipotesi, violenze psicologiche, quelle più subdole, fino ad essere uccise.
Sono tutte le donne in genere ad essere maltrattate, indipendentemente dalla loro condizione o dall'età così come negli anni passati, ma “nel 2020 si è assistito a un aumento delle vittime con più di 55 anni (21,4% nel 2018; 18,9% del 2019; 23,2% nel 2020) e delle giovanissime fino a 24 anni di età (8,1% nel 2018; 9,8% nel 2019; 11,8% nel 2020)”.
Si legge ancora nel rapporto dell'Istat che “l'aumento delle chiamate di questa specifica utenza è stato del 79,5%, passando da 8.427 chiamate del 2019 a 15.128 del 2020. Il canale di contatto preferito rimane il telefono, ma sono cresciuti anche i messaggi di richiesta di aiuto arrivati alla chat dedicata: tra il 2019 e il 2020 questa modalità passa da 683 messaggi a 2.361, con un incremento del 71%”.
Sono quasi sempre le donne a rivolgersi al 1522 anche se non mancano le chiamate provenienti da amici e parenti che, a nostro giudizio, dovrebbe avere sensibilità maggiore per aiutare donne che spesso sotto minaccia non hanno il coraggio di farsi aiutare. Un coraggio che sembra aumentare in coincidenza con la “commemorazione del25 novembre (Giornata mondiale contro la violenza sulle donne), che sembra agire sulle vittime come “effetto motivazionale” nella ricerca di un supporto esterno. In questa data, infatti, si amplia la platea di chi parla pubblicamente della violenza contro le donne, si moltiplicano le iniziative, si rende visibile ciò che durante l'anno non lo è”.
Durante la pandemia sei Centri anti violenza (CAV) hanno dovuto interrompere l'assistenza ma comunque si è riuscito a dare supporto grazie anche al “ruolo della rete territoriale antiviolenza per supportare i Centri nel loro lavoro”. Per quanto riguarda le Case rifugio hanno visto diminuire nei primi cinque mesi del 2020 la capacità di accoglienza con un meno 11%.
Le donne vittime delle famiglie non sono assistite dallo Stato come l'emergenza della violenza contro di loro necessiterebbe e così il 25 novembre le ricorda e poi le scorda per il resto dell'anno.
Angela Di Leo
[1] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/speciale-covid-19
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