Riforma giustizia e CSM. Ancora fronti contrapposti

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processo tribunale giustizia

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La Commissione della Camera dei Deputati ha concluso l'esame degli emendamenti da apportare al testo di riforma dell'ordinamento giudiziario e del proposti dalla ministra Cartabia, e il 19 aprile le conclusioni sono state sottoposte al voto dell'Aula.
In pratica, insieme al testo viene anche portato alla luce del sole lo scontro finora neanche tanto latente e sotterraneo fra la Politica e la Magistratura. Da un lato Governo e Parlamento che sulla Giustizia si giocano una fetta della loro credibilità sia interna che europea – non dimentichiamo che la riforma è uno dei capisaldi del PNRR – dall'altro la Magistratura che, attraverso l'Associazione di categoria, sembra voglia sbarrare il passo al portato di questa riforma mai apprezzata del tutto dai magistrati.
Come se non bastasse poi, comincia a stagliarsi all'orizzonte anche l'ombra lunga del referendum sulla giustizia – promosso dai Radicali e sostenuto dalla Lega – che avrà luogo il 12 giugno prossimo che potrebbe far saltare tutto l'architrave messo in piedi faticosamente dal Governo. Un quadro per nulla rassicurante, se aggiungiamo anche l'ormai resa pubblica intenzione della Magistratura di una possibile astensione dall'esercizio dell'attività giurisdizionale – in pratica uno sciopero, anche se questa parola non è stata mai pronunciata – per protestare contro i pericoli insiti nel testo della riforma stessa.
Siamo in continuità con le peggiori riforme. E si sta cambiando l'assetto della Costituzione senza guardare in faccia la Costituzione” è la lapidaria conclusione alla quale perviene il Presidente dell'ANM Giuseppe Santalucia [1].

Al di là delle parole, che pure hanno un peso e un valore, assistiamo in realtà a quanto di più deleterio possa accadere nella vita di una Repubblica. Non un contrasto, per quanto serrato e tagliente, su argomenti di secondo piano o utili al successo di una delle parti. Qui siamo di fronte al più muscolare scontro frontale tra Potere Esecutivo e Potere Giudiziario; quasi un deragliamento istituzionale il cui esito, sinceramente, è imprevedibile.
Quindi il problema non risiede tanto nel rispetto dell'agenda dei lavori parlamentari – la riforma giudiziaria era data risolvibile entro giovedì 21 aprile dato che prima ci sarà il voto non rinviabile sul DEF – quanto nella affannosa ricerca di una soluzione che non sia affrettata solo per rispettare una tabella di marcia proposta come fattibile alla Commissione Europea e accettata da questa.
In ballo c'è anche altro, perché se la posizione ufficiale dei magistrati appare ferma, ben altro accade all'interno della compagine di maggioranza del governo che sostanzialmente rumoreggia data la notevole differenza del testo con quello proposto dall'ex Guardasigilli Bonafede, che pure è servito come base per predisporre la riforma.

Per iniziare vediamo allora quali sono, tra i punti chiave della riforma, quelli che toccano il CSM, vero oggetto della contesa. Quanto alla composizione, il CSM sarà formato da 30 membri contro gli attuali 27, di cui 3 di diritto (il Presidente della Repubblica, il Primo Presidente di Cassazione e il Procuratore Generale di Cassazione) 20 togati e 10 laici. Dei 20 componenti togati, cioè i magistrati di carriera che esercitano la funzione giurisdizionale, 2 sono di legittimità, 5 sono pubblici ministeri e 13 giudicanti. Il sistema proposto per l'elezione dei componenti del CSM è misto, binominale con quota proporzionale. In pratica, ogni territorio viene diviso in 9 collegi, la cui individuazione sarebbe dovuta scaturire a seguito del sorteggio dei Distretti di Corte d'Appello.
Ho usato il condizionale, perché in un nuovo vertice lampo dei responsabili “Giustizia” dei partiti di maggioranza con la ministra, si è deciso di fare marcia indietro e cioè ritornare al testo presentato lo scorso febbraio che prevedeva la loro costituzione tramite un decreto della ministra almeno 4 mesi prima del giorno delle elezioni. In ogni collegio, comunque, potranno essere presentate candidature individuali – abolite quindi in un sol colpo le liste – e ogni elettore-magistrato potrà esprimere una sola preferenza, in modo che dai 9 collegi verranno considerati eletti i 2 candidati che avranno raccolto il maggior numero di voti per un totale di 18 eletti.
Quanto ai 5 pubblici ministeri su ricordati, questi verranno eletti con sistema maggioritario mentre i 13 magistrati con funzioni giudicanti, verranno eletti 8 con un sistema maggioritario e i restanti 5 su base proporzionale a livello nazionale [2].
Nella realtà, questo meccanismo che può apparire farraginoso e complicato nella sua attuazione, privilegiando l'elezione di singoli candidati che nella maggior parte delle volte sono indipendenti, mira esclusivamente a tagliare fuori le c.d. “correnti” che hanno sempre condizionato le scelte dei componenti i magistrati dell'Organo di controllo. Inoltre, non va dimenticato che questo nuova procedura facilita l'individuazione di quei candidati che hanno uno “storico” e un'esperienza più che consolidata nelle funzioni svolte.
Altro punto chiave della riforma, riguarda il divieto di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e di ricoprire incarichi elettivi e/o governativi. Pratica, questa, possibile oggi e conosciuta come il meccanismo delle “porte girevoli”, che vengono ad essere neutralizzate con la previsione dell'obbligo di collocarsi in aspettativa in attesa dell'incarico. Rimane confermato il divieto per i magistrati che hanno ricoperto cariche elettive, al termine del loro mandato, di tornare a svolgere funzioni giurisdizionali.

Ma il vero punto sul quale i magistrati tutti sono pronti a dare battaglia, è l'introduzione del c.d. “Fascicolo del Magistrato”, proposto dal vice segretario di “Azione” Enrico Costa, che conterrà un dettagliato elenco sull'iter professionale di ogni magistrato; quanti arresti ha richiesto – se è un PM – quanto tempo ha impiegato per adottare un provvedimento, quanti processi ha perso nei vari gradi di giudizio. Insomma, una vera e propria schedatura tendente a far risaltare il rendimento e il merito che sarà poi il trampolino di lancio per la carriera.
La riforma costituisce un'ulteriore dimostrazione di una pericolosa voglia di rivalsa nei confronti della magistratura. Il segnale di un vero e proprio regolamento dei conti… Le norme che riguardano il fascicolo di rendimento del magistrato, la pressoché totale separazione delle carriere di PM e giudici… rispondono ad un preciso disegno: quello di burocratizzare la magistratura, di gerarchizzare i singoli magistrati, di renderli attenti solo alle statistiche piuttosto che a rendere giustizia, di impaurirli, rendendoli più soggetti alla volontà dei capi degli uffici e più esposti a possibili interferenze esterne” [3].

Questo il commento del giudice Di Matteo sul contenuto della riforma che sta prendendo corpo, un giudizio sostanzialmente senza appello che dilata ancor di più la distanza fra Governo e il Corpo della magistratura.
Sono d'accordo in linea di massima con quanto espresso da Di Matteo, ma non credo sia azzardato osservare come neanche tanto velatamente, il CSM si sia andato configurando come una sorta di “coadiutore” del potere legislativo, trasformandosi quasi in una terza Camera svolgente funzioni consultive, rispetto alle decisioni di un Parlamento indeciso, nebuloso, inconsistente, accumulando un enorme potere con la gestione delle nomine dei magistrati nei distretti giudiziari strategici dove è più che possibile condizionare ogni tipo di decisione politica.
Ed è questo il vero problema e cioè l'intrusione proprio di quella politica a volte sciatta, a volte delegittimata, abituata ad espedienti di ogni genere, nel corpo stesso del CSM attraverso la salvaguardia degli interessi delle “correnti”, ai cui componenti, poi, non rimanevano che ossequiosi inchini.
Come non definire questo connubio innaturale se non un corto circuito della democrazia? E come non pensare che una seria e profonda riforma della Giustizia – al di là delle stimolanti sollecitazioni e suggestioni fornite dall'erogazione dei fondi comunitari – possa venire attuata solo da un Parlamento autorevole composto da “eletti” e non da “nominati” con tutto quello che ne consegue?
Proprio su questi punti, la politica è chiamata ancora una volta a pronunciarsi, a dare una risposta chiara. Il dibattito parlamentare che avrebbe dovuto portare all'approvazione del testo definitivo per il 21 di aprile, è slittato a martedì 26 con l'unica consolazione che parte degli emendamenti proposti dai partiti di maggioranza (PD, M5S, Forza Italia, Coraggio Italia, Azione e LeU) sono stati ritirati, con la sola esclusione di Italia Viva che imperterrita ne conferma ben 55 unitamente all'astensione sul voto finale. Più contenuta la Lega che si limita a 3 emendamenti il cui contenuto si riaggancia ai temi del referendum sulla Giustizia.
Sul versante delle toghe, si registra al momento la sospensione dello sciopero nazionale per manifestare in maniera palese la contrarietà alla Riforma, rimandando all'Assemblea degli iscritti del prossimo 30 aprile la decisione finale.
Appare evidente che qualora fosse decretata l'astensione dall'attività giudiziaria, l'atto sarebbe da considerare un messaggio neanche tanto velato ai senatori che attendono il testo definitivo, dato che si dà ormai per scontato il passaggio alla Camera.
Ma una eventuale astensione dei magistrati dalle loro funzioni, potrebbe far sorgere anche problemi costituzionali di non poco conto tenendo presente che proprio la Carta all'articolo 101, 2°cpv stabilisce che “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” escludendo di fatto l'attribuzione alla magistratura di ogni potere di condizionamento della funzione legislativa del Parlamento.
Credo comunque che l'intero iter di riforma della Giustizia incontrerà altre asperità – mi riferisco ad esempio alla prossima lettura del testo in Senato – perché al di là della retorica gli interessi in gioco sono molti e nessuno sembra al momento disposto a forme di compromesso.

Stefano Ferrarese

[1]  Liana Milella “Non slitta più la riforma. M5S si astiene sulla separazione delle funzioni” – 19/4/2022
[2]  “CSM; la riforma in aula alla Camera, le principali misure” 19/4/2022
[3] “Di Matteo, riforma Cartabia pericolosa voglia di rivalsa sulla magistratura”- 11/4/2022

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