
Per l'Economist, qualche anno fa la strategia dell'Uunione europea aveva adottato la regola di “insistere sui piani inefficaci!”. Lo diceva, in realtà, riferendosi alle soluzioni dei problemi dell'economia greca, ma la formula sembra adatto a descrivere quello che sta accadendo nei paesi dell'eurozona.
L'Europa è sfiancata da anni di interventi ispirati da un neoliberismo miope e da un meschino egoismo nazionalista, si dilania dietro a conti più da computisti che da Economisti, e si allontana sempre di più dal disegno federativo originario.
La scorsa settimana sono andate in crisi ripetutamente i mercati finanziari e le borse. Come si dice in queste circostanze, sono stati bruciati milioni di euro di capitalizzazione delle società quotate. Mentre gli indicatori fondamentali dell'economia vanno male dappertutto nel mondo ad eccezione degli Stati Uniti, dove il “quantitative easing” continua a drogare l'economia.
Stavolta il panico parte una volta ancora dalla situazione greca, infatti ad Atene si rischiano elezioni anticipate. Tutti sanno che la Grecia non è in grado di onorare il debito (175 % del PIL) e spaventano gli ulteriori enormi sacrifici conseguenti al “Memorandum” approvato di recente, con 19 punti dolorosi tra tagli e riforme, misure di austerità per 2,5 miliardi di euro con un aumento dell'Iva e dell'età pensionabile. I sondaggi e osservatori qualificati pensano che lista di sinistra Syriza guidata dal leader Tsipras si sta affermando nelle intenzioni di voto dei greci.
Tsipras è critico inflessibile delle politiche di austerità dell'Unione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale e qualcuno sostiene che vuole ridiscutere gli accordi con i creditori internazionali e probabilmente attraverso la rinegoziazione dei tassi di interesse e la possibile ristrutturazione del debito sia pur parziale. Quantomeno chiederà la convocazione di una Conferenza europea per discutere del debito dei Paesi in crisi. Decisione che rischia di riportare indietro di cinque anni, all'inizio dell'incattivirsi della crisi, quando i tedeschi (e i francesi) hanno preferito evitare perdite alle banche (avevano speculato sui titoli greci) e hanno preferito incamminarsi su un terreno di “lacrime e sangue” che sta danneggiando tutti a favore di pochissimi.
Anche l'Economist si pronuncia per “Una ordinata ristrutturazione del debito greco, che dimezzi il suo valore intorno all'80 per cento del prodotto interno lordo”.
E allora la Borsa di Atene crolla a -12%, record dal 1987 (ma tutte le borse europee sono fortemente negative). Ma la paura non è solo da collegarsi alla situazione greca; tutte le possibili manovre sui poco più di trecentotrenta miliardi del debito sono assorbibili agevolmente, ma che cosa succederebbe se le richieste greche suscitassero aspettative anche in altri paesi con dimensioni del debito preoccupanti come l'Italia – circa 2200 miliardi 137% del PIL – ma anche la Spagna o addirittura la Francia. Già questi paesi stanno (soprattutto l'Italia) chiedendo flessibilità e l'autorizzazione alla politica keneysiana del “deficit spending“.
Le dichiarazioni di ieri del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann a Repubblica, non sono incoraggianti, si pronuncia contro l'acquisto dei titoli di stato da parte della Banca Centrale, sollecita il consolidamento del bilancio e richiama al senso di responsabilità dei vari paesi.
Neppure inducono all'ottimismo le dichiarazione del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, eletto da qualche mese, dopo un accordo molto preciso su un piano di investimenti di oltre trecento miliardi, rivolgendosi espressamente (con poco fair play) a Roma e Parigi, ha precisato che le risorse a disposizione sono meno di un decimo del fabbisogno complessivo e che, per arrivare ai trecentodieci miliardi sbandierati, sarà necessario attirare investimenti privati pari a 15 volte gli importi messi a disposizione da Bruxelles, che consistono in 21 miliardi (compresi i 5 della Bei). Tenendo presente che l'Italia da sola ne ha chiesti quasi 90, non è una notizia confortante! E non ha perso l'occasione per lanciare un preciso monito all'Italia e alla Francia, perché senza le riforme annunciate si arriverà “a un inasprimento della procedura sul deficit“. E ancora “se alle parole non seguiranno i fatti, per questi Paesi non sarà piacevole“. Questi concetti sono poi stati rafforzati dai principali collaboratori, Pierre Moscovici e Jyrki Katainen, rispettivamente responsabili delle politiche economiche e vicepresidente della commissione.
Per Paul Krugman le politiche restrittive imposte dall'UE, hanno aggravato il debito pubblico, invece di sanarlo, l'austerità ha diminuito la produzione di ricchezza, abbassando il PIL. A causa del PIL ridotto, il debito cresce percentualmente, anche quando diminuisce in termini assoluti. Krugman circa il “deficit spending”, suggerisce quella che per lui è l'unica possibilità: uscire dalla crisi con un aumento anche notevole della spesa pubblica, con investimenti in nuovi settori per ridurre la disoccupazione. Il potere d'acquisto derivante, dovrà essere dirottato verso nuovi beni. Toccherà quindi allo stato programmare e finanziare l'apertura di nuovi settori (produttivi e no) e smettere con le erogazioni di sussidi dello stato a sostegno della domanda. Ovviamente questo è inaccettabile per i neoliberisti, i quali non distinguono tra interventi pubblici a sostegno della domanda e interventi per investimenti produttivi. Essi reclamano, ossessivamente: “meno stato!”.
Questo è la ricetta, ma se continueranno ad affermarsi le idee neoliberali di eliminazione delle spese per il welfare per arrivare a un pareggio di bilancio che non arriverà mai perché alla diminuzione del debito, corrisponderà una diminuzione del prodotto interno lordo anche superiore per cui – come sta succedendo all'Italia – la percentuale del deficit è destinata ad aumentare e ci avviciniamo pericolosamente a superare la soglia del 140%, oltre la quale un paese va in default. E l'Italia rischia di dovere ristrutturare il suo debito sovrano e noi italiani rischiamo di trovarci in casa la Troika come è successo per la Grecia e di dover rinunziare a quel che resta del nostro Welfare.
Francesco de Majo
P. Krugman, “End this depression now!”, 2012, Norton & Co
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