
La larga vittoria di Putina queste elezioni, con una vasta partecipazione al voto, si spiega con più di un motivo. Sicuramente quello principale, checché se ne pensi a livello di media occidentali, è che la sua popolarità è sentita e distribuita in tutto il paese e «vincerebbe le presidenziali anche se si trovasse di fronte avversari veri e non le mascherine di questa tornata. E questo avviene perché la Russia stessa resta un enigma per l'Occidente. La Russia che nel 1998 dichiarò il default perché non poteva onorare gli impegni finanziari con gli altri Paesi e che nel 2017 ha saldato tutti i debiti, quelli dell'Urss compresi. Che nel 2015, sotto la pressione della crisi dell'Ucraina, delle sanzioni e del crollo del prezzo del petrolio, era considerata alla frutta e che da allora è diventata una potenza in Medio Oriente» [1].
Del resto bisogna anche ricordare che oltre ad aver ridato un ruolo nello scacchiere internazionale non bisogna dimenticare che, nonostante tutti i problemi economici del paese, la povertà dal 1999 ad oggi è dimezzata e l'aspettativa di vita è passata da 66 a 71,39 anni.
Vladimir Putin è al suo quarto e ultimo mandato secondo i dettami costituzionali sempre che non decida nel frattempo, come fatto dal suo collega Xi Jinping, di cambiare la Costituzione. Ha vinto con il 76,6% dei voti e soprattutto con un'affluenza ben al di sopra del 67%. Aveva sicuramente avversari deboli. L'unico che avrebbe potuto dargli fastidio, ma comunque non competere, è stato estromesso dalle candidature per una stranissima vicenda giudiziaria: Alexej Navalnyj, quarantuno anni, avvocato e blogger di talento ha da sempre contrastato la corruzione imperante nei palazzi che contano. Il primo dei candidati non eletti con oltre il 12% è Pavel Grudinin, imprenditore di successo del Partito comunista dove Ghennadj Zjuganov si è fatto da parte. Dopo di lui, il nazionalista e da anni presente nelle cronache politiche Vladimir Zhirinovskij con il 5,6%; quarta l'unica donna a presentarsi, e popolare conduttrice televisiva, Ksenia Sobchak con appena l'1,67% nonostante le sue attenzioni al mondo dei diritti, messi spesso da parte in Russia. A seguire gli altri il liberale Grigorij Javlinskij, l'altro nazionalista Serghej Bubarin, il comunista Maksim Surajkin e Boris Titov figura rappresentante degli imprenditori.
Come ci si poteva immaginare, cifre oltre l'80% nel Caucaso e soprattutto in Crimea per il Presidente, mentre tra i risultati peggiori quelli in Siberia dove la crisi si sente in maniera particolare e dove il comunista Pavel Grudinin supera il 20%.
Alla vittoria ha evidentemente contribuito il potere di Putin, «tutta la macchina organizzativa putiniana ha funzionato a dovere. Una macchina potente in cui potere esecutivo, amministrativo, grandi gruppi economici e mass-media hanno lavorato all'unisono per raggiungere l'obiettivo» [2]. Prima e durante le elezioni la pressione è risultata notevole: «l'affluenza è stata fortemente caldeggiata nelle settimane precedenti le elezioni attraverso spot, video, addirittura concorsi per il “miglior selfie dal seggio elettorale”. Inoltre, in molti seggi sono stati organizzati buffet, concerti, esibizioni di danza, gare di scacchi» [3]. E non sono mancati brogli e pratiche burocratiche per nulla consone alla regole del voto, anche se lontane dall'inficiare il risultato. Da quanto dichiarato da vari esponenti della maggioranza è possibile che il recentissimo scontro apertosi con la Gran Bretagna a causa del tentato omicidio dell'ex-spia Skripal e di sua figlia ha probabilmente e ulteriormente compattato l'elettorato russo che resta di base nazionalista. Non è nemmeno estranea alla popolarità del capo la sempre maggiore vicinanza alla Chiesa ortodossa che si è espressa negli ultimi anni come maggiori attenzioni, anche materiali, da parte prima di Medvedev e poi di Putin e poi una vicinanza ideologica con «l'ortodossia, ingrediente del patriottismo» [4].
Se elezioni erano scontate, il futuro lo è molto meno. Si preannunciano tempi complicati per Putin sia sul fronte interno che su quello internazionale. E poi c'è la questione della “successione”.
Il presidente e gli uomini che sceglierà alla guida della Russia non potranno più eludere i problemi economici (nel 2017 il Pil è cresciuto solo dell'1,5%) che si sono solidificati in questi anni, complici le sanzioni a vario livello. Ma soprattutto va affrontato il tema delle sperequazioni socio-economiche se non si vuole perdere prima il consenso e poi la leadership, infatti «con il 10% della popolazione che possiede l'87% di tutta la ricchezza del paese, la Russia è considerata la più ineguale tra le maggiori economie del mondo. Il calo del prezzo del petrolio e le sanzioni occidentali hanno esacerbato le disparità, generando proteste e alimentando il malcontento dei cittadini. In questo scenario, l'attenzione dei candidati si è rivolta principalmente ai temi economici e sociali. Non è un caso che una delle principali promesse elettorali di Putin sia proprio quella di dimezzare la povertà nei prossimi sei anni» [5].
Vanno anche affrontati i temi della corruzione e delle libertà perché non possono essere tenuti in ostaggio individui e opinioni per troppo tempo senza che proteste e attacchi al potere crescano di forza e pervasività.
All'estero i fronti aperti sono molti, due su tutti: Ucraina e Medio Oriente. Su tutti e due Stati Uniti e Europa non faranno molti passi indietro. Potrebbero risultare terreni paludosi da dove si rischia di uscire piuttosto male. Del resto l'avanzata verso Est della Nato ne è una dimostrazione. I tempi di questo confronto sono lunghi «perché gli Usa, il Regno Unito e l'Unione Europea non hanno intenzione di mollare e, più in generale, l'Occidente non ha mai rinunciato all'idea di sbarazzarsi di quello che è, ormai, l'unico vero ostacolo in Eurasia, l'unica solida barriera tra l'Atlantico e la Cina, potenza temuta ma inattaccabile e comunque ben disposta a investire nelle nostre economie il proprio surplus commerciale» [6].
E veniamo alla successione. Se è molto probabile che Putin non si crei l'ennesima occasione di governare il Paese e se è vero che comunque rimarrà dietro le quinte, dovrà stabilizzare la situazione per costruire il nucleo dei nuovi leader dai quali uscirà il nuovo condottiero evitando così tempi bui come quelli degli anni '90. Un'operazione iniziata anche in periferia con i Governatori e se «Putin tace, ma i normi circolano. Da quello del 35enne ministro dell'Economia, Maksim Oreskin, al sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin. Nel toto-delfino spicca Alexej Djumin, 46 anni, a lungo guardia del corpo di Vladimir Vladimirovic. Un'ombra discreta, talmente efficiente da finire catapultata alla direzione delle operazioni speciali delle Forze Armate, posizione da cui ha gestito gli aspetti militari dell'annessione della Crimea nel 2014. Djumin oggi è governatore di Tula» [7].
Pasquale Esposito
[1] Fulvio Scaglione, “Il nuovo trionfo elettorale del presidente. Putin è forte la Russia è più sola”, www.avvenire.it, 20 marzo 2018
[2] Yurii Colombo, “E plebiscito fu, Putin stravince” www.ilmanifesto.it, 20 marzo 2018
[3] Martina Napolitano, “RUSSIA: Putin è il “nuovo” presidente russo”, www.eastjournal.net, 20 marzo 2018
[4] Per una disamina degli sviluppi nelle relazioni tra potere politico e le gerarchia ecclesiastica ortodossa cfr. AnnaÏs Llbet, “Cosa c'è dietro lo scambio di favori tra il Cremlino e Chiesa ortodossa”, le Monde Diplomatique-il manifesto, marzo 2018, pagg. 10-11
[5] Eleonora Tafuro Ambrosetti, “Russia al voto: Putin contro Putin?”, www.ispionline.it, 16 marzo 2018
[6] Fulvio Scaglione, ibidem
[7] Orietta Moscatelli, “Russia, le elezioni per Vladimir Putin sono solo una formalità (ma qualcosa preoccupa lo zar)”, espresso.repubblica.it, 16 marzo 2018
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