
Con Sandra Ceccarelli, docente e scrittrice, abbiamo parlato del suo romanzo Io, Pajatosta: la storia di un ragazzo giunto in Italia dalla lontana Russia, la storia di una famiglia che ha scelto di portare avanti un'adozione internazionale e la scoperta della misteriosa sigla ADHD.
Io, Pajatosta , un romanzo che aiuta ad entrare in uno spazio poco noto e costringe a riflettere sulla qualità delle nostre informazioni e delle nostre relazioni sociali. La storia di Vlad, ragazzo venuto da lontano, ci parla di noi e della possibilità di aprire i nostri cuori e le nostre menti.

Sandra Ceccarelli il suo è un romanzo che sa scavare nel disagio e nel dolore. Un ragazzo quasi misterioso, la sua famiglia e la sua avventura formativa. Le chiederei di guidarci in questo viaggio.
Partiamo dall'inizio: chi è Pajatosta?
Pajatosta è un ragazzo nato e cresciuto per i primi cinque anni della sua vita in un istituto per orfani e bambini abbandonati alla periferia di Mosca e che poi nasce una seconda volta quando viene adottato da una coppia di Roma.
Il romanzo riproduce lo sguardo sul mondo di questo ragazzino doppiamente speciale e ci accompagna sino alla sua età adulta.
Perché speciale? In primis in quanto abbandonato dalla madre naturale e cresciuto come dicevo in un istituto immerso nelle campagne russe; speciale poi perché si rivelerà affetto da ADHD.
La sigla ADHD sta per Attention Deficit Hyperactivity Disorder (Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività). Ci può aiutare a capire meglio che cosa si nasconde in queste parole?
L'ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività) rientra nella categoria dei Disturbi del Neurosviluppo, gruppo di condizioni che esordiscono nel periodo dello sviluppo e si caratterizzano per un deficit che causa una compromissione nel funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. I Disturbi del Neurosviluppo si presentano, molto spesso, in concomitanza.
L'ADHD è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività. Nella fascia della fanciullezza, l'ADHD si sovrappone spesso a disturbi quali il Disturbo Oppositivo-Provocatorio e il Disturbo della Condotta. Permane anche in età adulta, causando compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico e lavorativo.
La presenza di ADHD è stimata in circa il 5% dei bambini ed il 2,5% degli adulti.
Lei, con cura e premura, ci mostra le dinamiche familiari che si scatenano intorno ad un ragazzo affetto da ADHD. Che cosa accade quando ci si trova a fare i conti con un ragazzo come Vlad (Vladimiro)?
L'ADHD è un vero problema, per l'individuo stesso, per la famiglia e per la scuola, e spesso rappresenta un ostacolo nel conseguimento degli obiettivi personali. È un problema che genera sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti che si trovano impreparati nella gestione del comportamento del bambino e del ragazzo.
Un'ulteriore difficoltà per le famiglie è costituita dallo “sguardo impietoso e pregno di riprovazione” degli altri genitori o degli estranei che ignorano completamente cosa sia questa sindrome; all'inizio, gli estranei tendono ad ignorare il comportamento irrequieto, le frequenti interruzioni durante i discorsi degli adulti e l'infrazione alle comuni regoli sociali. Di fronte alle ripetute manifestazioni dell'assenza di controllo comportamentale del bambino, queste persone tentano di porre loro stesse un freno all'eccessiva “esuberanza” e, non riuscendoci, concludono che il bambino sia intenzionalmente maleducato e distruttivo. Forse i genitori sono anche abituati alle conclusioni a cui gli estranei giungono, come ad esempio: «I problemi di quel bambino sono dovuti al modo in cui è stato educato; sarebbe necessaria una maggiore disciplina, maggiori limitazioni e anche qualche bella punizione. I suoi genitori sono incapaci, incuranti, eccessivamente tolleranti e permissivi, e quel bambino è il frutto della loro inefficienza». Questo è un aspetto che viene trattato nel mio libro. Si supera anche questo, è vero, ma che fatica per i ragazz* e le loro famiglie!
Leggendo queste poche righe, ci si renderà conto che se da un lato diventa necessario fare qualcosa per gestire il comportamento di questi bambini, è anche vero, d'altro canto, che diventa urgente far capire agli altri adulti quale sia la reale natura del problema dell'iperattività. È necessario che tutte le persone, che interagiscono con i bambini con ADHD, sappiamo vedere e capire le motivazioni delle manifestazioni comportamentali di questi ragazzini, mettendo da parte le assurde e ingiustificate spiegazioni volte ad accusare e ferire i loro genitori, già tanto preoccupati e stressati per questa situazione.
Il mio libro nasce dal grido inascoltato di tutti i ragazzi e le ragazze ADHD: devono essere visti, non solo guardati, da tutti. La diversità non dovrebbe mai essere un ostacolo, ma una ricchezza… ma questo forse vale in un mondo con più senso civico, non nel nostro.
Una buona parte del romanzo è dedicato al rapporto fra Vlad e la scuola. Il nostro sistema formativo è in grado di sostenere e promuovere i ragazzi che hanno lo stesso disagio di Vlad?
No, non sempre… anzi raramente. So che è un'affermazione forte. Uno schiaffo in faccia alla Scuola, alla “mia Scuola”, visto che anche io insegno.
I docenti preparati per affrontare questo disturbo sono veramente pochi e devono spesso scontrarsi con colleghi che rimbrottano di continuo i cattivi comportamenti dei ragazzi ADHD con “non sta mai zitto, non sta mai fermo”. Certamente, non stanno mai zitti e non stanno mai fermi. Non possono! Hanno l'ADHD, come potrebbero? Mi sono resa conto che soltanto con una forte rete solidale e affettiva si possono ottenere buoni risultati: Famiglia, Scuola, Servizi devono collaborare e guardare lo stesso orizzonte, il benessere e la crescita quanto più serena dei ragazzi.
Come mai ha scelto di narrare la storia di un ragazzo adottato e che viene da lontano?
Tutto è nato da un incontro di “cuori e sensibilità”. Durante la presentazione di un mio precedente libro, ho conosciuto il Referente AIFA dell'Umbria, Paolo De Luca, che mi ha detto: «Vorrei raccontarti la storia di mio figlio». È nata una forte amicizia e, ovviamente, il romanzo. Partendo dalla storia reale di Vlad, ho costruito quella del mio “figlio del freddo”. Ho incontrato tante famiglie dell'Associazione. Famiglie messe alla prova, sicuramente, provate, a volte stanche delle difficoltà quotidiane e di una burocrazia che sembra far tutto tranne aiutare e tutelare chi rimane indietro.
Io, per quello che posso, ho cercato di dare voce a persone da anni inascoltate e rimbalzate da un servizio ad un altro.
I rapporti con i compagni di scuola sono per Vlad complessi ma, comunque, ricchi di scontri e di incontri: dall'idea di avere a che fare con uno “strano” o drogato alla scoperta dei suoi talenti. Possiamo sperare che i ragazzi sappiano accogliere chi sembra “diverso”?
È la nostra unica speranza. In un mondo in cui si ha paura persino del vicino di casa e si sta chiusi dentro una bolla ben lontani da tutti (e questo accadeva già prima dell'infausta pandemia), i ragazzi sono gli unici che possono invertire la rotta. In una società caratterizzata da slogan di odio, da recrudescenze razziste e da una generale sfiducia nella scienza, soltanto le nuove generazioni possono farci capire che stiamo andando verso l'implosione dell'umanità. I ragazzi non hanno sovrastrutture mentali che li tengono lontano dagli altri, dai diversi da loro. Loro scelgono i loro amici in base alla simpatia e alla corrispondenza emotiva, caratteristiche che non conoscono colore, provenienza, religione, reddito e quant'altro. Non nego che in questo, oltre alla famiglia che è la prima cellula sociale, un ruolo fondamentale è quello della scuola. Ripeto spesso che non credo nella parola “inclusione”, suscitando gli sguardi attoniti di colleghi preoccupati. Non mi piace inclusione perché presuppone che ci sia qualcuno “dentro” e qualche altro “fuori” e per me già questo, a scuola come nella vita, è aberrante. Si sta tutti dentro. Punto. Mi rendo conto che questo discorso meriterebbe un approfondimento che qui non è possibile. Magari alla prossima intervista.
Il suo testo è anche un momento di un progetto e di un interesse più ampio e continuo. Può raccontarci qualcosa?
“Io, Pajatosta” è una storia che, a mio avviso, dovrebbe essere conosciuta da insegnanti e “addetti ai lavori” ma anche da più persone possibili. La conoscenza ci permette di comprendere, di capire e questi ragazzi aspettano soltanto questo. Proprio per cercare di aiutare le Associazioni dei genitori, ho scelto di devolvere tutti i diritti d'autore all'AIFA odv per garantire servizi a persone dimenticate molto spesso dalle Istituzioni. Mi rendo conto che è poca cosa, ma è pur sempre un inizio.
Antonio Fresa
Sandra Ceccarelli
Io, Pajatosta
Bertoni, 2020
Pagine 212; euro 16,00
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