
Il testo di Roberto Saviano spesso ha la meglio. La sua rappresentazione può passare in secondo piano. Ma la formazione e l'interpretazione degli schemi preparati dall'ottimo allenatore (Mario Gelardi) sul terreno di gioco meritano gli applausi e in qualche occasione i cori. Un ritmo alto che aiuta a capire la pressione l'ansia e la paura che affrontano i ragazzi nel gioco della vita di una zona e di una città deturpate dalla bruttura e dalla
Da qualche parte Camus disse che tutto quello che sapeva della vita l'aveva appreso dal calcio. Qui da un testo poco noto di Saviano attori e regista ci aiutano a capire con il calcio una vita dura e senza scampo, di un degrado frutto della criminalità organizzata che impone alla fine le sue leggi anche allo sport controllando giocatori e partite. La ferocia ha il suo alfiere nel capozona Tonino (Ivan Castiglione) che obbliga i ragazzi a fare da palo durante le partite nella piazza. Spietato quando decide che il tabaccaio va punito o quando deve trovarsi un cuore nuovo perché il suo non regge più. Un uomo feroce, nonostante il suo amore per la storia, e che cita a più riprese Ciro il Grande e Carlo V. La storia del potere e delle guerre, passione che non ha saputo inseguire come invece farà Diego.
Il capoclan ruberà lo spazio e il futuro ai ragazzi. Tranne che a Diego (Giuseppe Miale Di Mauro anche co-autore dello spettacolo insieme al regista) perché lui saprà dire di no prima fuggendo dalla camorra per diventare calciatore affermato e poi, quando si rende conto che anche quel calcio è nelle mani della camorra, rifiuterà di seguire gli ordini di chi detiene il controllo della squadra. E' questo il messaggio di fondo: c'è sempre una via d'uscita. Certo occorre forza coraggio e sogni da inseguire.
Il coraggio che manca a Giuseppe (Francesco Di Levalavoro>> e che manca anche a Giovanni (Giuseppe Gaudino) nonostante la sua voglia di scontrarsi con l'organizzazione e nonostante la sua voglia di tenerezza per una ragazza. Ciro (Adriano Pantaleo) è invece il ragazzo escluso che sceglie di dedicarsi al boss e all'organizzazione non lasciando più speranze ai sentimenti.
Un altro esempio di teatro di impegno che oltre a sostenere con forza posizioni culturali e sociali trova una cifra estetica autentica. Un linguaggio vero anche per i suoi ritmi accelerati, le sue reiterazioni e le sue battute che stappano sorrisi amari. Il tutto avvolto in una scenografia colorata di ruggine nella quale vedo l'abbandono.
Feritoie più che dei palazzi circostanti la piazza ricordano prigioni o muri che dividono che separano anche dai sogni di chi voleva solo giocare a calcio inseguendo le emozioni di una rovesciata alla Pelé in Fuga per la vittoria.
Ciro Ardiglione
regia: Mario Gelardi – interpreti: Ivan Castiglione (Tonino), Francesco Di Leva (Giuseppe), Giuseppe Gaudino(Giovanni), Giuseppe Miale Di Mauro (Diego), Adriano Pantaleo (Ciro) – voce: Raffaele Auriemma – scene: Luigi Ferrigno – costumi: Giovanna Napolitano – musiche: Francesco Forni – luci: Francesco Sabatino – fotografia: Carmine Luino
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