
Gli scienziati seguono da vicino le varianti di Sars CoV-2 per continuare ad affrontare ed eventualmente mettere fine alla pandemia e le nuove risposte aggiornate sulla evoluzione virale arrivano da Newsweek. Jack Dutton la scorsa settimana ci metteva al corrente della scoperta, in una casa di cura del Kentucky, di una nuova variante del Sars CoV-2 che ha infettato 45 ospiti della struttura. Questo nuovo ceppo virale ha 5 mutazioni già osservate in altri casi insieme ad altre varianti uniche. La particolarità di questa diffusione è che molti ospiti della struttura fossero vaccinati e la preoccupazione è ovviamente rivolta verso l'ipotesi che questa nuova variante abbia la potenzialità di eludere l'azione degli anticorpi prodotti dopo l'azione vaccinale.
La diffusione del contagio avrebbe avuto origine da personale infetto della struttura che non era vaccinato e che avrebbe diffuso l'infezione malgrado molti ospiti lo fossero.
Le supposizioni scientifiche e gli studi successivi a questi eventi hanno portato un ex professore della Harvard Medical School, William A. Haseltine, a desumere che questa variante, a cui era stata data la sigla di R1, si sia manifestata la prima volta in Giappone e successivamente abbia infettato più di 10.000 soggetti secondo il database mondiale GISAID Sars CoV-2.
Haseltine argomenta che la particolarità della R1, sulla quale si sono concentrati gli studi, riguarderebbe una combinazione di mutazioni che le conferirebbero la particolarità di eludere la risposta anticorpale, oltre che darle vantaggi nel contagio e nella sua replicazione. Le mutazioni alle quali vengono attribuite le responsabilità di cui si temono hanno sigla E484K, W152L, B1427/429, D614G.
La E484K ha presenza segnalata sulle varianti Beta, Gamma, Eta, Iota e Mu che hanno preoccupato in precedenza. La mutazione W152L interessa una regione della proteina Spike che è l'obiettivo degli anticorpi neutralizzanti e di alcuni anticorpi monoclonali. Questa ultima mutazione è presente in ceppi minori della variante Delta trovati in India ma anche in altre mutazioni rilevate in California come la B1427/429. Alla mutazione D614G viene invece attribuita l'aumentata infettività dei virus che la contengono.
L'origine del Sars CoV-2
Da come si sia originato il Sars CoV-2 sono state molteplici le ipotesi, alcune di esse hanno anche generato accuse sulle quali si è sfiorato più volte e seriamente l'incidente diplomatico. In altre circostanze sono state rinvigorite le divisioni già enormi tra popoli di culture ed organizzazioni molto lontane tra loro.
Le ipotesi sulle quali non si è trovata risposta riguardavano lo sviluppo spontaneo a causa di un molteplice salto di specie del virus, cosa che può accadere in natura, oppure l'errore di laboratorio che da Wuhan ha diffuso il virus verso l'attuale situazione.
A queste risposte si è adesso aggiunta quella diffusa da Nature con un articolo a firma Smriti Mallapaty nel quale si riporta la notizia su alcuni studi che tra Cina e Laos asseriscono che nel Sud est asiatico vi sia una altissima presenza di virus simili al Sars Cov-2 ognuno di essi ad elevatissima preoccupazione di pericolo. In queste situazioni non è stato difficile ipotizzare che l'origine del Sars CoV-2, ceppo Wuhan, abbia avuto una origine naturale.
La notizia si fonda sull'ipotesi che tre virus di pipistrelli del Laos siano i più simili al Sars CoV-2 come mai conosciuto in precedenza. In aggiunta i ricercatori hanno desunto che i loro codici genetici rafforzino le ipotesi che siano un numero considerevole i coronavirus in grado di infettare gli umani. Questi studi hanno portato un virologo dell'Università di Glasgow a definire “terrificante ed affascinante” la scoperta.
La ragione delle preoccupazioni è individuata nella parte del recettore Ace2, quello attraverso il quale avviene il legame tra virus e parete cellulare umana, uguale tra il Sars CoV-2 ormai noto e detto di Wuhan e quello individuato nei virus dei pipistrelli del Laos.
Queste similitudini riguardano tre specie di pipistrelli detti a ferro di cavallo (Rhinolophus genere di pipistrello della famiglia dei Rinolofidi) con virus identici per il 95% al Sars Cov-2 ed ai quali è stata attribuita la sigla BANAL-52, BANAL-103 e BANAL-236. Poiché in precedenza la sequenza del virus di Wuhan non era stata mai riscontrata in altre specie si pensò ad un errore di laboratorio ma adesso, i tre coronavirus del Laos confermano che fosse già presente in natura, cosa che mette in altra condizione l'ipotesi sulla diffusione virale che tante ipotesi controverse aveva indotto inizialmente. Da questo e dalle successive dichiarazioni del mondo scientifico di quelle parti si attribuisce nuova verità consolidata alle precedenti supposizioni per cui Linfa Wang, virologo presso la Duke-NUS Medical School di Singapore afferma di essere “più convinta che mai che SARS-CoV-2 abbia un'origine naturale“. Ed ancora Alice Latinne, una biologa evoluzionista presso la Wildlife Conservation Society Vietnam ad Hanoi. Il sud est asiatico è “un punto caldo di diversità per i virus correlati al Sars CoV-2”.
Le ipotesi sulle quali sono fondate queste argomentazioni vengono fatte risalire alla possibilità della ricombinazione genetica che potrebbe scambiare tra virus pezzi di RNA. Una ricombinazione frequente, come accade in questi virus, ha portato ad ipotizzare che frammenti genomici riscontrati hanno una differente storia evolutiva. A queste ipotesi così altamente dirimenti tuttavia mancano conferme importanti come la spiegazione sulla mancanza del sito di scissione della furina sulla proteina Spike che facilità l'ingresso del Sars Cov-2 nelle cellule umane. Manca anche di sapere come abbiano fatto i virus di Wuhan ad essere riscontrati nel Laos e se, per esempio ci fosse stato un ospite intermedio per un doppio salto di specie come pure sufficientemente ipotizzato in precedenza. Serviranno ancora studi per la definizione totale sulla controversa faccenda.
Emidio Maria Di Loreto
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