
Poi andrò a vederlo le Supplici di Serena Sinigaglia. Vedendolo lo criticherò e giudicherò. Potrò apprezzarlo o meno, verificarne virtù ed eventuali pecche. Ma questo è dopo. Ora voglio condividere il dialogo che ho avuto con Serena. Quello con lei è stato un dialogo intimo, senza pelle. La sua voce è un piccolo gioiello che terrò nel mio scrigno delle cose preziose.
Ci sono alcune cose che mi interesserebbe approfondire. È da mesi che sto aspettando che le Supplici arrivino al Carcano. Ci saranno fino al 19 febbraio. Rileggere le Supplici è come leggere un compendio di etica ancora oggi attuale. Sono innumerevoli i temi che possono colpire il lettore moderno. Si parla di vecchiaia, di giovani, di democrazia e autoritarismo, di pace, si parla di donne. Nella tua regia che cosa hai voluto privilegiare?
Autoritarismo, democrazia, donne, tutti gli argomenti esatti che hai citato. Chiedimi l'ordine. L'ordine è un ragionamento sulla democrazia. Questo arriva prima di tutti gli altri.
Però cerchi di toccarli tutti, affronti tutte le complessità di questo testo.
Cerco di toccarli tutti perché questo testo li porge in maniera incredibile. È fantastico.
Penso alle tue regie e trovo sempre dei testi che interrogano. Penso a Utoya, a La peste, penso a Le nostre anime di notte, a El Nost Milan, e oggi le Supplici. Che cosa stai cercando?
Ride.
Ma tu lo sai. Sto cercando la stessa cosa che stai cercando tu. Di essere delle brave persone.
Io non voglio essere una brava persona Serena.
Però lo sei, nonostante te.
Sì
Lo sei nonostante te.
Se dici che stiamo cercando la stessa cosa comincio a intravedere delle differenze. Io sto cercando l'uomo, non sto cercando la brava persona. Se poi questo uomo è anche una brava persona ben venga. Ma cerco la sua umanità, cerco il suo cuore, cerco la sua anima. È la stessa cosa?
Esattamente. È la stessa cosa. Soltanto che io aggiungo anche che cerco una brava persona. Perché le cattive persone mi hanno fatto troppo male.
Non è una partita a scacchi, ma mi interessa l'argomento. Non cerco prioritariamente la brava persona in me perché so che sono un impasto di notte e giorno, di luce e di buio. Quindi so che questa ricerca inevitabilmente mi porta a trovare anche l'ombra.
Allora io ti rispondo che dovresti entrare profondamente in dialettica verso questo, e che ognuno sceglie le battaglie per cui combattere. E io combatto contro l'ombra per la luce, che sia di me stessa soprattutto, anzi soltanto di me stessa. E sul mondo faccio del mio meglio, perchè non avrei mai l'ardire… Ho l'ardire, ma è una ardire profondo e necessario. Cerco di guardare alla luce, di guardare a ciò che veramente ci serve. E dal mio limitato punto di vista. È interessante, veramente interessante. Ognuno di noi può portare solo il proprio limitato punto di vista. La domanda è se tu lo poni veramente, profondamente, onestamente, senza violenza, senza aggressione ma con dolce fermezza.
Grazie per per la sincerità. Nel tuo interrogarti sei nettamente in contrasto con i tempi. Questo non ti fa paura?
Ride
No, non mi fa paura. Mi fa tantissima paura quello che di me non conosco. Io ho veramente paura adesso a cinquanta anni di quello che permetto che accada di male nella mia vita pur vedendo che è male. Ho paura di me stessa. Non ho paura del resto, ma solo di me stessa.
Fai delle richieste molto alte Serena. Per questo ti stimo. C'è una differenza fra me e te. Non è il fatto che io sono in carrozzina e tu no, ma il fatto che io sia un uomo e tu sia una donna.
Esatto.
Quanto è stato difficile per te come donna fare teatro, raggiungere i tuoi risultati?
Lo devi dire tu, come uomo. Finché lo dirò io non varrà niente, non varrà niente. E tu conti molto. Non lo posso dire io. Fine, punto. Ti ho già detto quello che penso. Lo devi dire tu non io. Questa è la domanda che devi porre a te stesso. Io faccio del mio meglio.
Non è la mia intervista, è la tua. Però se mi rivolgo questa domanda, guardo con estremo fascino, con passione e commozione alla rivoluzione iraniana. Donna, vita, libertà. Sono donne estremamente coraggiose che stanno portandosi dietro un popolo.
Sono donne ma potrebbero essere uomini. Io non credo, non crederò mai nei generi. Non è una questione di genere, è una questione di umanità, di ciò che siamo e riguarda anche le donne. Siamo esseri umani. Siamo soltanto esseri umani.
Meravigliosamente, miserabilmente esseri umani.
Miserabilmente esseri umani. Punto. Non c'è altro da aggiungere.

Torniamo alle Supplici. Quando ti confronti con il teatro greco c'è una lezione che ti è più cara di tutte? Qualcosa che ritrovi come una corrente sotterranea in tutti i testi? Che cos'è che ti affascina?
Questa sfida incredibile, questo sforzo di questa umanità giovane. Perché erano giovani. Anche Euripide era giovane, anche se è morto pluri ottantenne. Però erano giovani rispetto alla consapevolezza. Questa sfida dell'intelligenza, questo cercare, cercare di trovare una cosa giusta, vera, profondamente. Questo io lo ammiro con tutto me stessa.
Con Supplici porti in scena un gruppo di donne con esperienza, formazione, retroterra artistici e culturali differenti. Come hai lavorato per riuscire ad amalgamare il gruppo e renderlo funzionale al tuo progetto?
Non ho dovuto lavorare. Sono donne che hanno trent'anni di teatro alle spalle e sono state meravigliose, tutte.
Il tuo carisma è riconosciuto a livello nazionale e internazionale. L'ultima volta che ci siamo sentiti eri in Sicilia e stavi andando al carcere di Messina. Un tuo lavoro sarebbe stato rappresentato dalle detenute. Hai sempre un occhio non solo al teatro ma anche alla dimensione sociale. Perché ti è cara la dimensione sociale?
Perché il teatro è uomo, è polis. A me interessa l'uomo. È ovvio.
È ovvio per te Serena. Conosco altri artisti che ammiro ma che non hanno questo impegno.
Allora dovrai chiedere a loro, perché forse io non sono un artista.
Tu non sei un'artista e io sono un cammello.
L'anno scorso per Supplici ti è stato conferito il premio della critica dall'Associazione Nazionale dei Critici di Teatro (ANCT). Traguardo che raggiungi con una produzione Atir, strana associazione culturale che non ha una sede. È sempre sul punto di morire e sempre risorge come una fenice.
Viva l'anarchia. Viva l'anarchia forever e la fatica dell'anarchia. L'anarchia è faticosa.
Perché la pubblica amministrazione non riesce a darvi di nuovo la vostra casa in piazza Fabio Chiesa nella vecchia sede di Atir?
Il compito che dovevamo avere come Atir, perché avevamo una storicità in quel posto, era garantire che quel posto fosse restituito a una funzione culturale e non d'altro tipo. Questo l'abbiamo ottenuto anche grazie a Filippo Del Corno [ex assessore alla cultura di Milano, ndr], che si è battuto perché quel posto continuasse ad avere una funzione culturale. Dopodiché quello è un posto comunale. A cui possiamo ambire noi come chiunque altro, ed è giusto così. L'importante è che finalmente lo restituiscano alla città. Invece mi pare che tra l'altro abbiano addirittura chiuso l'anagrafe per ragioni economiche, perché era un'anagrafe non abbastanza battuta. C'è una forza oscura contro la quale combattiamo, a parte quella dentro noi stessi che è importantissima e senza la quale non sei credibile. Perché io non credo a Salvini? Semplicemente perché è una persona che non ammette la sua forza oscura, e io non mi fido, non mi fido di chi non tira fuori veramente, sinceramente, la sua parte oscura.
Hai detto viva l'anarchia. Se viva l'anarchia che cosa pensi della vicenda Cospito?
Penso che non puoi sottovalutare nessuna persona che rinuncia a mangiare. Te ne devi occupare.
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