
Shenzhen è una grande metropoli emergente – verso megalopoli – nella Cina sud-orientale, in stretta relazione con Hong Kong, e, quindi, in un ambito fortemente strategico nei confronti della intera Cina. La sua popolazione, in crescita, ammonta a circa 12,59 milioni di abitanti (2021).
Shenzhen è una metropoli speciale, dovuta al recente sviluppo cinese dell’alta tecnologia e per la sua storia di originario antico nucleo rurale, poi cresciuta con una velocità sorprendente – la popolazione di Shenzhen è aumentata di circa 400 volte in vent’anni – fino ad arrivare alla attuale dimensione metropolitana in progressivo ampliamento.
Con alcune peculiarità specificamente cinesi e particolari connotazioni di città esemplare.
È localizzata al di sopra della più consolidata Hong Kong – nella omonima Baia e entrambe beneficerebbero di una maggiore integrazione o sinergia. Ma ad Hong Kong le questioni sono ben altre e non è questa la sede per affrontarle.
È un problema comune alle due Metropoli la distribuzione demografica e socio-economica, dovuta ai forti processi migratori interni degli ultimi decenni.
Shenzhen è una città essenzialmente tecnologica di ultimo grido, a livello internazionale-mondiale. Una città iperconnessa, ed ecosostenibile secondo le contraddittorie spiegazioni, interne cinesi, e che corrono sulle maggiori riviste di urbanistica. In particolare riguardo ai presunti processi di mediazione urbana tra metropoli dei grattacieli, quindi della Architettura avveniristica contemporanea, e la tradizione antica dei “villaggi urbani”, in origine rurali.
La specificità cinese sta soprattutto nel rappresentare l’ultima immagine di “città socialista” degli ultimi tempi, secondo un originale modello cinese. Un’applicazione del marxismo-leninismo nel contempo inserito nel mercato mondiale, tipo-capitalistico.
Una Riforma economica compatibile a livello del mix-ideologico cinese, con la privatizzazione dei maggiori Gruppi economici industriali, indirizzati verso il mercato globale con l’obiettivo contestuale di favorire la crescita anche attraverso gli investimenti stranieri.
È questo il particolare modello politico mix tra socialismo e libero mercato, che esalta, in tal caso con originale specificità urbanistica, le grandi città cinesi dal resto del mondo.
Analogo discorso per l’Architettura, figlia ancora più speciale delle più disparate culture, anche politiche, sparse ovunque in modo estremamente differenziato. L’International Style in effetti non è mai esistito.
Shenzhen una delle più moderne metropoli cinesi di nuova concezione, che, al contrario di quanto detto, va all’assalto di nuovo spazio tecnologico e di influenza, con l’intento, dall’interno, di proporsi come Polo di primo piano nell’alta tecnologia mondiale, settore che rappresenta la punta di diamante del futuro assoluto. Per questo Shenzhen ha ultimamente lavorato per essere riconosciuta – su scala internazionale – “Zona economica speciale” con l’obiettivo di attirare investimenti stranieri, anche facendo leva sulla vicinanza, come detto, di Hong Kong. Tutto questo ha consentito, in tempi relativamente brevi, la creazione nella città di Shenzhen della cosiddetta “Silicon Valley cinese”, con localizzazione di alcuni grossi colossi dell’innovazione – da Tencent a Huawei. Tecent è una grande iniziativa imprenditoriale, che occupa in Shenzhen un’area grande quasi quanto il Principato di Monaco, posizionata sull’estuario del fiume Perle. Attribuisce a Shenzhen una sua definizione di “Net-City”, una città digitale nella Città, nella quale si sviluppa, sotto vari aspetti, il mondo del web e della telefonia mobile in particolare con la famosa azienda Huawei.
Prossimo programma è quello della creazione della “Shenzhen Bay Headquarter City”, un immenso Distretto finanziario con affaccio su Hong Kong, con lo scopo di creare continuità tra informatica e finanza. Il massimo che si può immaginare.
Gli obiettivi di prospettiva di Shenzhen saranno, pertanto, quelli di percorrere tutti gli stadi di un imponente Nodo nevralgico sulla “Greater Bay Area”, condivisa dalla stessa Hong Kong, e definendo la maggiore “macroregione cinese” altamente integrata, in competizione lontana, per esempio, con la Baia di San Francisco negli USA.
La contrapposizione con questi ultimi passa anche attraverso queste sfide.
Anche per questo la Cina sta cercando di mettere in campo nuovi modelli di “pianificazione territoriale vasta”, che, sia pure ad una scala inusitata, allo stesso tempo contribuiscono ad immettere messaggi innovativi nei confronti del mondo universale della “pianificazione territoriale”, sotto varie declinazioni e scale.
Questo il quadro generale, nel quale Shenzhen di sta inserita in modo eccellente. Resta una serie di temi non secondari, che costituiscono un retaggio urbanistico, in un certo senso ancora sensibile verso l’umano, anche se le due culture, quella occidentale e quella orientale, sono molto diverse.
Si parla, per esempio, dei cosiddetti “villaggi urbani”, soprattutto dentro Shenzhen-Metropoli odierna, e che costituiscono una peculiarità originale nella “tradizione” cinese in generale, diventata per Shenzhen un tema di discussione. Nel senso che indaga sulla reale sincerità e possibilità della attuale convivenza tra metropoli modernissima – mangia-tradizioni -, e le tradizioni stesse, che, in alcune culture orientali, sono sacre.
Noi occidentali, e, soprattutto, noi italiani, saremmo portati ad immaginare, più semplicemente, ad una serie di Villaggi, che mantengono e sviluppano presupposti urbani propriamente detti. Non penseremmo mai alla cultura urbana mix cinese, secondo la quale si cerca di mantenere una miracolosa sinergia tra antico e modernissimo. Consentendo travasi di memoria culturale, presuntivamente armonizzata.
Tra i grattacieli della modernità spinta, che da noi tutto travolge, viceversa nella cultura cinese si mantiene il ricordo di un antico territorio agricolo, punteggiato da una serie infinita di “villaggi rurali”, che rappresentavano, una volta, la vita della Cina antica “dei frutti della terra”, ed ancora presente nel cuore socialista odierno, come un peccato originale purificato.
Dagli anni ‘80 ad oggi Shenzhen ha inglobato e mantenuto una settantina di antichi “villaggi rurali” (proprio all’interno della Zona economica sociale), oggi divenuti sentimentalmente “Villaggi urbani”. Vero o falso? Vero e falso al tempo stesso.
In effetti l’impatto visivo che si ottiene, nel caso di Shenzhen, è un continuum e l’unicum urbanistico al tempo stesso. Forse non di più.
Un mix tra la “Città dei Grattacieli” e i “Villaggi urbani”, resuscitati dal mondo agricolo. Con l’intenzione di ammorbidire la prima, e costruire scenari e sfondi quasi astratti, a vantaggio dei secondi. Una specie di prospettiva di futuro resa compatibile con il passato riconosciuto e romanticamente ancora amato. Non lo stacco netto. Il contrario: una fluidità di rapporti che vuole rappresentare un contesto possibilista, che intende acquisire un originale significato di “sostenibilità” orientale attuale.
Rovescio della medaglia.
Salvata la fantasiosa prospettiva “urbanistica”, ci si accorge, in effetti, che il tutto non è accompagnato dalle altre parallele integrazioni. Il nuovo assetto sociale non è più composto anche dalla originaria componente agricola, che avrebbe dovuto stranamente sposarsi con la nuova classe sociale tecnologica.
La popolazione agricola originaria ha, viceversa, migrato all’interno di un enorme comprensorio Shenzhen-Hong Kong, ovvero altrove, lontano. La attuale sinergia sociale si è spostata dalla “mente” vincente (i tecnologi) verso il “braccio” (i lavoratori nel tecnologico). Quello che si affievolisce è proprio il rapporto viscerale con la terra. Del resto, ovunque i grattacieli tecnologici contemporanei si “allontanano” dal terreno, quasi rifiutandolo.
La situazione di equilibrio urbanistico è, quindi, ridotto a metà. Ovvero il rapporto con i “Villaggi urbani” è solo scenografico.
Shenzhen e il suo mix urbano “Grattacieli/Villaggi urbani” sono stati recentemente definiti, in alcuni dibattiti urbanistici, come una città delle “diseguaglianze”, o peggio, una “pseudo-urbanizzazione”.
Di conseguenza la città di Shenzhen, sta cercando di stemperare queste critiche negative, operando una nuova situazione in integrazione alla scala territoriale superiore, guardando alla vicina Hong Kong, dove l’emergenza abitativa ha raggiunto crisi peggiori di altro tipo, aumentando il malcontento sociale crescente a dimensione inter-territoriale. Anche perché l’immobiliare sta diventando, in quest’area, il più caro al mondo.
Ma questa situazione finisce per divaricare ancor più la situazione di vocazioni antiche e contemporanee.
La relazione tra Città del futuro e Città della tradizione, comunque, per una cultura totalmente diversa dalla nostra, diventa inestricabile. Il “sostenibile”, in questi casi, attingeva declinazioni del tutto diverse ed incomprensibili. Livelli, forse, per noi inusuali.
Con mantenimento incomprensibile di confronto tra generazioni e classi sociali ultime, assolutamente divaricate a scale e modelli impensabili.
Noi Occidentali saremmo tentati alla sostituzione edilizia-urbanistica senza mezzi termini. Non per disinvoltura peccaminosa, come frequentemente succede, ma anche per evitare falsi mimetismi. Noi salvaguardiamo, con legge e norme speciali, solo i Centri antichi/Centri storici, per esempio, considerati gli unici elementi di mediazione nella nostra tradizione e concetto di “sostenibilità”. Magari, nel frattanto, lasciano libertà assoluta alla cosiddetta “gentrificazione” pregiata.
Nel caso cinese certi equilibri, invece, avvengono su presupposti di immagini che vincono su tutto. Forse con l’obiettivo di mantenere la logica del modello socialista mediato, insieme alla contraddizione di scenari di fondo, tra “nuovo” e “tradizionale”, al tempo stesso.
Le nostre scelte, di contro, sono talmente nette, che finiamo per determinare troppo spesso (quasi sempre) stacchi di forma urbana, all’interno di medesime Città. Chi ha ragione?
Comunque sia, l’esempio di Shenzhen e i suoi “Villaggi urbani” hanno sollecitato, direttamente o per altro motivo (certamente le nuove sicurezze sanitarie e globali) un certo interesse per la individuazione di una “discretatizzazione” dei nuclei urbani. Gli anni della pandemia, in particolare stanno contribuendo a trasformare, più velocemente e sostanzialmente, le Città nel mondo e in Italia in particolare.
Le trasformazioni che si sono dichiarate più evidenti e necessarie sono state esemplificate dal co-working, dallo smart-working, per esempio, che divaricano il tradizionale rapporto tra “Città dell’abitare” e “Città del lavoro”.
Quindi nella rivoluzione della “mobilità”, con la nuova pluri-mobilità leggera ed elettrica. Quindi car sharing, ride sharing, car pooling, eccetera.
Partendo da queste ipotesi, che vengono da lontano – Shenzhen per esempio – anche alcuni Paesi dell’Occidente stanno meditando analoghi comportamenti e revisioni urbanistiche.
Partendo, in particolare, anche dalle città post-Covid, allora, che potrebbero essere ri-definite attraverso un sezionamento (relativo) in simil Quartieri anti-pandemici, ovvero di “Villaggi urbani” più specificamente dedicati alla “sicurezza sanitaria” e sicurezza globale. Oltre che restituire forme urbane ed immagini più “umane”.
È l’esempio della Svezia e di Stoccolma, in particolare, che si ri-articola per il tramite di “Villaggi urbani”, ciascuno con una sua relativa indipendenza, e dotati dei loro Servizi di prossimità. A meno che non si intenda, nel contempo e per altra via, di esaltare ancor più il valore ambientale e la bellezza dei Villaggi tradizionali, contro la mostruosità delle metropoli contemporanee e dei loro grattacieli, impegnati in una gara esasperante a chi gratta il cielo. Sezionare, senza perdere, comunque, i vantaggi aggiunti della grande città.
Anche la Città di Milano sta pensando alla sua ri-organizzazione in una serie di “Villaggi urbani”, all’interno della sua “fucina urbanistica”, che sembra non finire mai. Recentemente, e senz’altro sulla scia svedese o dei vari Paesi nordici, tradizionalmente ambientalisti, la Città di Milano intende inserirsi fattivamente dentro questo tema ed affermare la riorganizzazione della Città multipolare, in una serie di suoi “Villaggi urbani”.
Capace di coniugare – nuovamente – le seguenti “virtù urbane”, antiche e future: più senso di comunità (conosci i tuoi vicini); ritorno alla “Communitas” dopo tanta “immunità”; quindi “mutuo soccorso”; aumento di spazi comuni e servizi primari vicini alla comunità (i famosi 15 minuti; co-creazione di connessioni digitali – Piattaforma di Villaggio urbano – App di community; spazi residenziali, viceversa intesi come “luoghi residenziali”; uffici della burocrazia, intesi come luoghi di creatività per il miglioramento della prassi comune; altro, altro).
Eustacchio Franco Antonucci
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