
Mala tempora currunt et peioram appropinquant. Il vecchio detto latino che diceva pressapoco che corrono tempi magri e se ne avvicinano di peggiori aveva ed ha una sua intrinseca saggezza
Come specie umana siamo stati straordinari, meravigliosi, nell'infilarci in un cul-de-sac, a comportarci come tanti lemmings avviati verso il baratro, che si avvicina sempre di più se non saremo in grado di imprimere un'urgente e necessaria inversione di rotta alle nostre politiche economiche, alle nostre etiche.
L'uomo ha sempre percorso e ripercorso in cicli perfetti la propria storia, la propria evoluzione. Ma oggi l'uomo ha una possibilità diversa. Può distruggere con la propria tecnologia, con la propria scienza malata, con le proprie meridiane di morte l'intero pianeta. Come pensare che non lo farà se i grandi della terra, la politica, sta ricominciando a parlare di guerra nucleare? Se le parole prendersi cura hanno perso il loro significato? Cambia qualcosa per il pianeta se invece di parlare di guerra nucleare totale si parla di guerra nucleare tattica? Può cambiare qualcosa per i popoli di ogni latitudine se continueremo a non occuparci l'uno dell'altro, e dell'altro chiamato ambiente?
Per capire, per quietare in po' il mio pessimismo ho aperto le finestre, ho fatto entrare aria buona. Ho dialogato con Simona Maggiorelli.
Chi è Simona Maggiorelli? Come arrivi al giornalismo e a dirigere Left?
Simona Maggiorelli è una giornalista che come tanti ha fatto una lunghissima gavetta. Ha cominciato con i giornali. Come senti dall'accento sono di origini toscane, fiorentine. Ha cominciato con La Nazione, poi Liberazione, fino ad arrivare nel 2002 ad Avvenimenti e lì sono rimasta, e poi il 17 febbraio del 2006, giornata non casuale pensando al rogo di Giordano Bruno, nasce Left.
Left è un acronimo che ovviamente significa sinistra, ma significa anche Liberté, Égalité, Fraternité. E poi c'è questa T finale che sta per Trasformazione. Perché fin dall'inizio del settimanale lo psichiatra Massimo Fagioli ha tenuto una rubrica che si chiamava così, Trasformazione.
Siamo un giornale di sinistra, non legato a un partito specifico, ma che ama portare avanti un discorso di ricerca. E vorrebbe stimolare la sinistra a pensare non solo ai bisogni materiali che sono poi in questa fase storica importantissimi, per la crisi che stiamo attraversando. Ma vorrebbe stimolare la sinistra a pensare più ampiamente alle esigenze delle persone, come dice la nostra Costituzione all'articolo tre. Vorremmo stimolare la sinistra a occuparsi anche di realtà psichica, di ciò che creativo, di ciò che è trasformativo. Con questo primo numero Agenda Left 2022-2027 siamo passati da settimanale a mensile. Abbiamo da una parte il sito su cui facciamo l'aggiornamento quotidiano, dall'altra il mensile per l'approfondimento.
Inizierei parlando della situazione italiana. Abbiamo gridato al lupo, al lupo, neofascisti al governo. Adesso sembra più che altro un normale avvicendamento di governo. Come hai vissuto il risultato delle elezioni e come vedi il futuro dell'Italia con un governo di destra?
Ovviamente, essendo direttore di una rivista che si chiama Left, ho accolto con dispiacere il fatto che l'Italia e i cittadini italiani abbiano deciso così palesemente di opzionare le destre. Anche se poi sappiamo che in realtà gli italiani che hanno votato la destra non sono poi così numerosi. Quello che ha giovato molto al centrodestra, che poi più che centro è destra destra, è stata, come sappiamo, la legge elettorale Rosatellum, che dà un forte premio di maggioranza. Il risultato è stato netto ed è stato piuttosto chiaro. Quindi, è bene che adesso la destra si assuma le proprie responsabilità e governi. Che ci sia, io mi auguro e auspico, una opposizione veramente puntuale, tenace e costruttiva, ma veramente serrata, come invece durante la campagna elettorale, secondo me non c'è stata. Io credo non abbia giovato questo gioco delle parti tra Giorgia Meloni leader di Fratelli d'Italia, e Enrico Letta segretario del Pd. Faccio solo un esempio per per capirci meglio.
Il 24 aprile 1974 il socialista Riccardo Lombardi chiamato a un dibattito tv insieme ad Giorgio Almirante si rifiutò di andarci. Quindi ci fu questa tribuna elettorale in cui Almirante parlava da solo accanto a una sedia vuota. Ecco, questo per me significa un rifiuto netto, non riconoscere l'altro. Io credo che uno degli errori che ha commesso il segretario Letta sia stato proprio fare invece questo gioco di riconoscimento reciproco, di non chiarire mai con un netto no che non sarebbe mai andato di nuovo a un governo di larghe intese.
Inoltre Letta ha scontato quasi una nemesi del suo partito. Nel senso che negli anni passati, penso in particolare a tutta la gestione del periodo di Matteo Renzi, è stato votato di tutto. Provvedimenti che precarizzano il lavoro come il Jobs Act, sicuramente hanno pesato anche ora sulle spalle dell'attuale segreteria. Pensiamo ai giovani che si sono visti davanti sempre un futuro sbarrato e oggi si ritrovano a fare i lavoretti, a essere working poor (lavoratore che, con il suo salario, non riesce a superare la soglia di povertà, ndr), sottopagati, relegati al lavoro nero e così via. La sinistra o il centrosinistra che cosa ha fatto per loro, per rendere stabile il lavoro? Chiaramente è difficile per i giovani riconoscersi in un Pd che ha votato questo tipo di provvedimenti, e solo ora, di recente in campagna elettorale almeno a parole, si è smarcato. È difficile riuscirci a vederci un partito di sinistra.
Effettivamente c'è da chiedersi se il Pd sia ancora di sinistra.
Scoppia a ridere.
In merito agli errori che la sinistra ha fatto ti leggo l'estratto di un'intervista che lo scrittore Emanuele Trevi ha rilasciato recentemente. “La sinistra ha fatto diversi sbagli, ma l'errore fondamentale è culturale. La percezione della sinistra negli ultimi anni è quella di una cultura del biasimo concentrata su ciò che non si può fare o non si può dire, opprimente. Gli anni della contestazione erano portatori di libertà. Ora invece la sinistra si è incistata in una pratica delle buone maniere soffocante. Hanno prevalso i codici sulla vita vera e si è arrivati alla creazione di un linguaggio che nessuno ha mai abitato”. Cosa pensi di questa affermazione? Cosa dovrà fare secondo te la sinistra per riconquistare la leadership del Paese? Ma soprattutto che cosa dovrà fare per portare a casa risultati utili sul tema dei diritti? Parliamo di temi come eutanasia, ius scholae, crimini d'odio, matrimonio egualitario, riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali. Questo per ricordare soltanto alcuni dei diritti che in Italia non sono garantiti.
Io penso che il Pd da questo punto di vista sia fallimentare perché sconta l'ancoraggio alla componente cattolica obbediente ai diktat della Chiesa su aborto, fine vita e molto altro. Il Pd è stato percepito come un partito istituzionale, partito di apparato, il partito della Ztl (zone a traffico limitato, ndr). Anche se poi abbiamo visto che in queste ultime elezioni anche in quell'area lì poi non è così al sicuro. Sicuramente c'è stata un'involuzione culturale del partito. Comunque c'era un vulnus fin dalle origini del suo statuto. È un partito che ha eliminato di fatto la parola sinistra, che non aveva nel proprio statuto nemmeno l'antifascismo, almeno nella prima versione che ha guardato molto ai democratici americani. Quindi, è un partito con un'identità estremamente fragile da questo punto di vista, e poco coraggioso anche nel portare avanti le battaglie che tu dicevi. I diritti sociali devono andare di pari passo con i diritti civili. È falsa questa contrapposizione. La persona va vista nella sua interezza, quindi non si può trascurare nessuno dei due versanti.
È la direzione indicata da Ken Loach con il suo film Il pane e le rose, e dalla celebre canzone.
Perfetto. È esattamente quello che stiamo dicendo. Ebbene, da questo punto di vista, quando il Pd è stato al governo avrebbe potuto fare delle riforme, compresa quella sullo ius soli. Non le ha fatte. Adesso Letta propone uno ius scholae che è il minimo sindacale. Ci vorrebbe una legge più complessiva sulla cittadinanza, che riconosca i diritti di questi oltre 800.000 ragazzi che sono italiani, ma non hanno il diritto di votare, non hanno o non possono fare la loro vita in Italia. Il Ddl Zan è stata l'unica battaglia portata avanti con coraggio, da Letta. Però probabilmente era troppo tardi. Il centrosinistra doveva fare un'inversione di tendenza. Aveva bisogno di argomentare, di dire “Compagni abbiamo sbagliato, verifichiamo un'altra strada. Ragioniamoci insieme”.
Forse è mancato questo lavoro di elaborazione che ora ci auguriamo, e auguriamo al Pd, possa emergere durante questo congresso. Detto tutto questo il Pd rimane il secondo partito in Italia. Comunque Letta ha avuto il coraggio di avviare una discussione aperta, di metterla in piazza. E questo credo sia un fatto democratico importante. Diversamente da quello che ha fatto Salvini, che ha dato la colpa agli altri e anzi corporativamente ha rinserrato i ranghi.
Invece, proprio in merito a quello che dice Trevi sul linguaggio? Pensi che sia vero che rimane semplicemente la forma, soltanto un perbenismo culturale, senza avere la capacità di affrontare di petto i problemi? La cultura di sinistra è veramente fatta di un perbenismo soffocante, che poi è sempre stata la vocazione di una certa sinistra? Basti pensare al modo che un certo Pci ha avuto di guardare alla relazione tra Nilde Jotti e Togliatti, oppure al modo in cui Pasolini è stato ostracizzato dal Pci.
Sì, sì, sono d'accordo con te. C'era una grande ipocrisia, un grande moralismo. Ma basta pensare a quanto è stato tiepido il Pci anche in tutte le battaglie per i diritti delle donne, sulla battaglia per l'aborto, per il divorzio. Credo che questa sia una tara che ci portiamo dietro. Basta vedere quante donne sono leader all'interno del Pd. Non ce ne sono tantissime. Non basta decidere che hai due capigruppo donna. Provocatoriamente possiamo dire che se Letta avesse davvero voluto, come diceva, promuovere le donne avrebbe fatto un passo indietro lui, e avrebbe lasciato spazio a una segretaria donna. Sicuramente il Pd sconta un deficit culturale riguardo in primis alla donna in quanto uguale e diversa dall'uomo, ma poi anche a cascata su tutti gli altri aspetti.
C'è bisogno di un grande, grande rinnovamento culturale. Per questo quando parliamo di Left parliamo di una rivista che si occupa di sinistra non solo in termini di palazzo, ma anche dal punto di vista delle persone, della cultura, dei valori, dell'antropologia e via discorrendo. È questo il salto culturale che ci serve. E ci serve in questo senso più scuola, più ricerca, più innovazione. Ci serve essere estremamente più coraggiosi da questo punto di vista, e anche usare delle parole e delle battaglie che facciano, permettimi questo termine che può sembrare ingenuo, sognare, uscire dal compitino più o meno razionale, ben fatto, dell'amministrazione dell'esistente. Occorre osare pensare a una società che immagina un diverso rapporto con l'ambiente, diversi modi di produzione, un modo di vivere, stili di vita che tengano dentro la giustizia sociale, la giustizia ambientale. In questo i giovani di Fridays for Future pongono delle istanze molto radicali. Nemmeno lo stesso Pd, ma neanche il Movimento Cinque Stelle, che ultimamente ha fatto una svolta cercando di ritornare un po alle origini sull'ambientalismo, ha raccolto queste istanze. Noi di Left, proprio su questo numero. Agenda per il 2022-27 abbiamo accolto una serie di scritti dei giovani del Fridays for Future che rilanciano la proposta in maniera estremamente forte, urgente, radicale.
Sul sognare vengo dietro alla tua ingenuità. Se non abbiamo la capacità di sognare perdiamo gran parte della nostra umanità.
Sono d'accordo. Credo sia la tua storia anche. Se tu non fossi in grado di sognare come faresti ad affrontare tutti gli ostacoli che quotidianamente immagino tu debba affrontare. Invece sei riuscito ad andare ovunque, a scrivere, a fare quello che fai, a inventarti la tua vita e il tuo mondo come volevi. Questo perché sei in grado di sognare anche, oltre che di incidere.
Penso che la cifra sia veramente questa. Il mio modo di abitare la disabilità, di fare cultura sulla disabilità, è proprio quello di proporre una vita con i suoi limiti, con i suoi difetti, ma una vita che ha anche delle meraviglie, della bellezza. Mi hai chiesto come stavo. Ti ho risposto bene. In teatro mi hanno dato libero accesso ai camerini e andrò a fotografare ballerine e ballerini che si truccano, si cambiano, che provano. La disabilità è anche questo. Facendo passare un immaginario differente si rompe con la visione abituale sulla disabilità che la vede prevalentemente come impotenza.
È uno sguardo arricchito da un altro punto di vista che tu offri anche agli altri.
Immagino di sì.
Guerra in Ucraina. Nel dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina le voci di dissenso e che invocavano la pace sono state marginalizzate. Oggi si arriva addirittura a parlare dell'uso di armi nucleari, azzerando anni di riflessione sul rischio estinzione. Che fare? Che facciamo? La sganceranno? È tornata la passione del dottor Stranamore per la bomba.
È un momento di gravissima crisi. Un momento pericolosissimo. Putin, dopo avere invaso l'Ucraina, dopo aver indetto questi falsi referendum, adesso minaccia di utilizzare le armi nucleari tattiche. E noi sappiamo che la Russia e gli Stati Uniti sono i due Paesi che ne posseggono di più, e queste armi non sono regolamentate. Una simulazione dell'Università di Princeton rileva che se fossero usate in questo momento ci potrebbero essere 90 milioni di morti. Non ci sono parole per commentare tutto questo. Quello che mi preoccupa di più è che non ci sia stata fin qui, e non ci sia, una volontà di cercare una strada per costringere Putin e Zelensky a sedersi a un tavolo e trattare. Nei giorni scorsi Zelensky ha firmato un documento, in cui dice che lui non tratterà mai finché c'è Putin al governo della Russia. Rispetto a tutto questo chi ci rimane sotto come sempre è la popolazione civile, in primis quella ucraina. Perché è stata un'ecatombe. Ma vorrei anche dire dei soldati russi usati come carne da cannone.
In questo quadro io credo che sia assolutamente urgente e necessario una ripresa della diplomazia. E mi sentirei di dire che l'Europa non ha fatto tutto quello che andava fatto. Lo dico da convinta europeista non da euroscettica, tutt'altro. Lo dico con rammarico perché mi sarei aspettata e mi aspetto ancora da cittadina europea che l'Europa giochi un ruolo di primo piano, anche sollecitando e cercando il dialogo con altre potenze, vedi la Cina, da cui comunque la Russia in questo momento dipende. Xi Jinping si sta avviando, proprio il 15 ottobre, verso il congresso che gli darà un'ulteriore terza investitura. Il suo progetto è soprattutto un progetto di tipo economico.
La Cina è molto interessata in questo senso alla stabilità, perché è quello che le permette di fare affari. Non sono motivi etici, ma quanto meno sono motivi molto concreti. Io credo che si dovrebbe agire su questo. Si era parlato tempo fa di una nuova Helsinki, di una conferenza di pace internazionale. Però non si è fatto nulla per andare in quella direzione concretamente. Il rischio adesso è che avvenga quello che alcuni analisti americani hanno previsto, cioè escalation for de-escalation. Sarebbe un'ecatombe.
Senza pensare gli effetti collaterali. Perché sono 90 i milioni di morti in prima battuta, ma poi ci sarebbero tutti gli strascichi sull'ambiente, strascichi di malattie, tanto per iniziare. L'Europa riuscirà ad avere una sua politica o è destinata ad andare sempre a rimorchio degli Stati Uniti? Di che cosa c'è bisogno perché si possa realizzare il Manifesto di Ventotene e creare così un'Europa dei popoli, non solo delle monete? L'Europa è ancora terra di diritti o è semplicemente una fortezza che vuole difendere il suo privilegio?
Noi di Left, abbiamo sempre lavorato su questo, su tutto ciò che poteva, può portarci alla creazione di un'Europa politica, democratica, inclusiva, perché è questo che manca. Perché come tu dicevi fin qui è stata soprattutto un'unione di mercati. Durante la pandemia (che ancora non è finita) ci sono stati, perché ancora non è finita ahinoi, ci sono stati dei segnali importanti, positivi: la messa in comune del debito, dopo un primo momento invece in cui ognuno andava per conto proprio. Poi si è capito che di fronte a una pandemia da soli non se ne esce. Quindi c'è stato un un tentativo di creare politiche più solidali. Si era parlato addirittura di arrivare a una sorta di ministero della Sanità comune europeo, che ovviamente sarebbe estremamente auspicabile. Ora però vediamo che con la guerra in Ucraina questo percorso si è bloccato, tant'è che ancora non siamo arrivati nemmeno ad avere una condivisione sul progetto di un price cap sul gas. Quindi, la Germania e la Francia egoisticamente si sono attrezzate in maniera autonoma, lasciando indietro i paesi più poveri. Questo è un vulnus, mentre si dovrebbe andare verso una road map che porti a una politica energetica comune, di stoccaggio, di acquisto, soprattutto di investimento sulle rinnovabili.
Con l'altra cosa che tu dicevi coglievi un punto importantissimo. Purtroppo l'Europa è anche una fortezza, una fortezza che esclude, che esclude chi arriva dai Paesi del Mediterraneo o magari da zone di guerra dell'Afghanistan, o anche da altre parti dell'Asia. Al contempo c'è stato un piccolo segnale positivo quando è stata attuata la direttiva del 2001 che ha permesso ai profughi ucraini un'immediata accoglienza, di potersi muovere liberamente all'interno dell'Europa. Però quella stessa direttiva non è stata applicata ad altri migranti che arrivano da altre latitudini. Siamo felici che sia accaduto, che ci sia stato questo movimento per gli ucraini, fondamentale. Ma vorremmo che, lottiamo perché questo diritto sia esteso anche a chi proviene da altre guerre, dalla fame, da altri territori. Che sia garantito il diritto di spostarsi anche a coloro che sono spinti dal climate change, o anche semplicemente da altri motivi, o dal desiderio di realizzarsi, di cercare un futuro in un altro paese. Perché spostarsi è una esigenza umana fondamentale.
Si inizia col primo esodo degli ebrei e i popoli continuano a essere in viaggio.
Direi che tutto comincia con l'Homo sapiens che esce dall'Africa e va alla scoperta.
Vero. Perché l'Europa non riesce a sviluppare una propria politica, qualunque essa sia, in qualche modo svincolata o più autonoma rispetto agli Stati Uniti? Sembra quasi che in questo gioco del Monopoli gli Stati Uniti dichiarino una guerra sottobanco e a pagarne i costi poi sia l'Europa. Perché l'Europa è così ingenua e non riesce ad andare oltre?
È una bella domanda, complicata. Quello che è certo è che gli Stati Uniti hanno interesse a che l'Europa sia divisa.
Ne hanno tutti interesse perché altrimenti l'Europa si proporrebbe come un blocco altro, come un'alternativa altra. l'Italia ad esempio ha una grande tradizione rispetto alla via della Seta, potrebbe riaprirla, fare gli interessi dell'Europa e quindi i propri. Eppure siamo anche inchiavardati a una vecchia visione ottocentesca della politica, delle relazioni internazionali.
Esattamente, sono del tutto d'accordo con te. E il rischio è di condannarci all'estinzione. Penso che sia una visione anti storica quella di chiudersi nei nazionalismi. Basta pensare che in Africa la popolazione in media ha meno di 15 anni. Nel 2050 saranno oltre 2 miliardi. È antistorico e miope pensare di fare blocchi navali, alzare muri. Ma ahimè in fondo le spaventose politiche praticate da Salvini e da Meloni sono le stesse, anche se in maniera più ipocrita, che fa l'Europa. Non dimentichiamo i miliardi, i milioni, che sono stati dati, il fiume di soldi che è stato dato a Erdoğan e ad altri autocrati per esternalizzare le frontiere. O pensiamo anche a quello che abbiamo fatto noi in Italia, e lo ha fatto, ahimè il governo di centrosinistra. Lo ha fatto il governo Gentiloni, con gli accordi in Libia che salvaguardano la sedicente guardia costiera libica, che poi sappiamo che è la stessa che traffica con i migranti e li rinchiude nei lager. Quello che serve è un radicale cambiamento di visione politica da parte dell'Europa per quanto riguarda anche l'inclusione, la cittadinanza e i diritti. Noi ci vantiamo di essere la culla di tutto questo e rischiamo invece di tradirlo. E poi è anche nel nostro interesse aprirci al mondo perché siamo una società vecchia. Siamo una minoranza ormai. E quindi l'innesto, le nuove culture che possono venire da altre latitudini, potrebbero essere e saranno un fermento culturale importante che porta sviluppo, che apre verso il futuro.
Sì, il rischio è davvero l'estinzione di quella che padre Zanotelli chiama la tribù Bianca.
Vorrei ragionare con te sulla questione femminile. La libertà delle donne continua ad essere messa sotto attacco non soltanto in paesi come Afghanistan e Iran, dato quello che sta accadendo oggi, ma anche nel colto e civile Occidente. Pensiamo ad esempio agli Stati Uniti che dopo la recente sentenza della Corte Suprema, ha visto restringere pesantemente il diritto all'aborto.
Perché la presa di potere passa sempre attraverso la repressione dei corpi, soprattutto dei corpi femminili? È perché il corpo libero è strumento di piacere e il piacere è sempre anarchico e trasgressivo? Quindi il potere non può tollerarlo. Perché questo accanimento sul corpo femminile? Ma il genere maschile è messo meglio o il dominio dei corpi si estende in modo silente anche sui corpi maschili?
Ci sono due aspetti diversi. Da una parte ci sono le teocrazie che non tollerano la libertà femminile, dall'altra parte ci sono le società, apparentemente anche quelle più evolute, come appunto quella che tu citavi degli Stati Uniti, dell'Occidente e così via, ma nelle quali è ancora molto forte una radice patriarcale, razionale, quella del pater familias che vediamo nei femminicidi, che sono purtroppo un fenomeno che non riguarda solo le società “più arretrate”, tutt'altro. Tutti i giorni, o quasi, siamo davanti a un nuovo caso di femminicidio. Queste due cose vanno a braccetto e entrambe hanno come vittima, come nemico, la donna. Credo che quello che sta accadendo in questo momento in Iran sia importantissimo. L'Iran sta andando incontro a una rivoluzione culturale, ormai non si riescono più a fermare le donne. Perché non è una rivolta solo contro il velo. È una rivolta contro il regime teocratico degli ayatollah. Quindi, c'è un fatto politico molto, molto importante. Allora perché le donne fanno paura? Questo storicamente è da millenni che accade. Basta rileggersi i libri di Eva Cantarella, che ci ha insegnato tanto da questo punto di vista, per capire come la misoginia fosse già una radice molto forte anche del logos occidentale e dei filosofi, da Aristotele a Platone. In fin dei conti Platone diceva che la donna tutt'al più poteva aspirare a diventare un mezzo uomo. Aristotele diceva che la donna serve solo come matrice per fare figli. E poi su tutto questo si è installata la condanna, che è veramente feroce, da parte della Chiesa. E tutti e tre i monoteismi odiano le donne, perché le hanno stigmatizzate come demonio, come streghe e le hanno bruciate sui roghi. Perché le donne tradizionalmente sono quelle che sono state più in rapporto con la realtà interna, con l'irrazionale che è stato visto con paura sia dalle religioni che da parte della società razionale maschile.
La psicoanalista Lucie Irigaray parla della donna come portatrice del pathos e dell'uomo portatore del logos. Ti ritrovi in questa distinzione?
Sì. Però vorrei dire che non è un fatto di natura, cioè nel senso che anche gli uomini hanno una loro realtà affettiva interna e possono vivere la passione, il desiderio, le emozioni, e così via, se si liberano da questa castrazione, che hanno in molti ispirandosi solo a una visione unicamente razionale del mondo. Storicamente è andata così. Ma credo che il giorno in cui gli uomini riconosceranno la creatività delle donne, che non è la creatività solo del fare figli, allora anche gli uomini libereranno la propria creatività.
Ovviamente sto schematizzando molto. Ma questa parte femminile ci può essere in ciascun essere umano. È un'intelligenza nuova, emotiva che va sviluppata. La ragione a volte è stupida, si chiude in opposizioni. Vede l'altro fisicamente con un colore diverso e dice oddio, quello non è umano. Ognuno di noi poi è specificamente diverso indubbiamente. Però c'è una comune umanità che fa parte, che ha a che vedere proprio con la dinamica della nascita. Per quello citavo Massimo Fagioli all'inizio. La sua teoria della nascita dice esattamente questo. Noi nasciamo tutti uguali, tutti abbiamo capacità di immaginare. Poi succede che nella vita ci si può ammalare, si può perdere questa dimensione, ma ci si può anche curare.
Perché ci troviamo di fronte a questa feroce inciviltà giuridica nei confronti delle persone disabili che sono di fatto impedite nell'accesso ai servizi, nel tentativo di condurre vite indipendenti. Di quali strumenti avrebbe bisogno il mondo della disabilità per sottrarsi ad una visione assistenzialista, peraltro insufficiente e inadeguata?
Io credo che sia in parte il discorso che facevo prima. Una persona diversamente abile non viene riconosciuta per una visione razionale, economicistica soprattutto. Non si vede la ricchezza, il valore, rappresentato dalla diversità. Siamo tutti esseri umani nella pienezza della nostra espressione, anche senza gambe, anche senza poterci muovere, anche se dobbiamo affrontare gravi disabilità fisiche, ciò che ci rende umani è la nostra realtà interna, la capacità di immaginare, il pensiero libero, la capacità di stabilire relazioni con gli altri, dialettiche, talvolta molto difficili, ma vere e vissute con curiosità e interesse affettivo (non educato e affettuoso) verso l'altro che ogni giorno incontriamo.
Anche riducendo tutto a una visione semplicemente economicistica è una visione sbagliata, perché il disabile è anche un consumatore.
La ragione economicistica è stupida, non riesce neanche a fare i propri interessi alla fine. È una visione limitata. E poi comunque sia si è sviluppato un modello di vita per cui serve un provvedimento come la legge Zan. Tutti vanno di fretta e una carrozzina sul marciapiede mi rallenta il passo e questo è percepito come lesione. No, questa visione è ingiusta, stupida, violenta. Invece può essere un'occasione, rallenta, guarda il mondo fuori, rapportati alle altre persone, invece di camminarci addosso e sopra. È questo, è questa dimensione che nelle nostre società in questo momento va sviluppata. È questa sensibilità, questo sentire, questo rapporto con l'altro, con la sua diversità, la sua specificità. Detto questo io credo molto nella tecnica, nella tecnologia, nella scienza. Mi auguro che ci sia progresso, che la tecnologia vada avanti e possiamo realizzare strumenti sempre più sofisticati che aiutino le persone che hanno una disabilità. Penso ai tanti atleti disabili che ci sono, che vanno avanti grazie alla tecnica, oltre che, ovviamente alla loro fortissima volontà e capacità di autodeterminarsi. Però la tecnica potenzia l'identità umana. Io la vedo positivamente.
Che cosa può fare il mondo dei disabili per sottrarsi a una visione assistenzialista?
Eh, non è semplice. Farei lo stesso parallelo che dicevamo prima per le donne negate, vittimizzate. Uscire da questa cosa non è semplice perché poi la si interiorizza. Quindi massimo rispetto e ammirazione. Però avere, sviluppare anche una consapevolezza, fare un lavoro su se stessi da questo punto di vista è importante, cioè capire quanto uno può aver interiorizzato dei limiti che magari sono imposti dall'esterno. E non sono limiti solo fisici, c'è anche una insufficiente stima di sé. Insomma, in questo la storia delle donne ha molto da insegnare. Perché non dovevamo parlare, secondo san Paolo dovevamo tacere.
La modestia femminile.
Sì, appunto. Ma sotto ogni punto di vista. Fare figli, ma non avere desiderio nel rapporto con l'altro perché il desiderio è pericoloso, è trasformativo può influenzare la mente dell'altro, portarlo a evolvere, a diventare più umano.
Nell'indice 2022 sulla libertà di stampa elaborato da Reporter senza Frontiere, l'Italia risulta 58.ª su 180 paesi esaminati. Le testate chiudono, i collaboratori sono sottopagati o non vengono pagati. A chi giova tutto questo? Che cosa si può fare per invertire la tendenza?
Giova a classi politiche autoritarie, sovraniste, a chi non vuole che ci sia conoscenza, emancipazione della popolazione. Ma questo purtroppo non riguarda solo la destra, purtroppo nella tradizione anche del PCI c'è sempre stata una sottovalutazione di questo aspetto culturale. Basta pensare che al ministero della Cultura mandavano sempre qualcuno che era delle seconde file, come se fosse un ministero di minore pregio e interesse. Invece è tutto il contrario. Poi noi abbiamo avuto in Italia una storia molto grave, di monopoli editoriali, di editori che non erano affatto puri, che poi sono andati come Berlusconi al governo. Facendo leggi ad personam e anche leggi a favore delle proprie aziende. Ci siamo ritrovati in un progressivo svuotamento anche di mezzi delle delle testate giornalistiche. Con questo mettiamoci la crisi della carta stampata, il fatto che al contempo in Italia non si è sviluppata un'editoria digitale che si presentasse anche come editoria a pagamento. In Italia c'è ancora l'idea che siccome è su Internet deve essere gratuito e non viene retribuito, e non viene riconosciuto il lavoro dei colleghi, e di chi fa questo lavoro scrupolosamente. Fino ad arrivare a delle cose tragiche, di giornali mainstream che pagano anche solo 5€ un articolo. In più la tv di Stato è stata ampiamente lottizzata dai partiti politici. Quindi noi ci ritroviamo una situazione davvero davvero grave. Ma ho anche l'impressione che questo non riguardi solo l'Italia. Ti faccio un esempio. Noi questo mese siamo siamo usciti con un libro dedicato a Julian Assange. Il 15 ottobre organizziamo una ventiquattrore no stop Free Assange con altri soggetti come Pressenza, Amnesty, Free Assange Italia. Ecco, questo è un caso emblematico. Perché Julian Assange, fondatore di Wikileaks, non ha fatto altro che fare buon giornalismo. Cioè ha reso pubblici e ha fatto conoscere una serie di documenti secretati dagli Stati Uniti, che rivelavano gravi violazioni dei diritti umani. Se non ci fosse stato Wikileaks, non avremmo forse mai saputo l'entità della violenza perpetrata in Iraq sui civili inermi, nella prigione di Guantanamo, e così via. Qualche mese fa è stata firmata l'estradizione di Julian Assange da parte di Priti Patel, la ministra del governo di Boris Johnson, e Assange rischia l'estradizione negli Stati Uniti. Il che significa 175 anni di carcere. Quindi è un caso di giornalismo altissimo nell'interesse pubblico che viene criminalizzato. Ci sono due aspetti, l'attacco alla persona di Julian Assange. Quindi dobbiamo, vogliamo alzarci in piedi e lottare per lui in quanto persona, che in questo momento si trova in una condizione ingiusta, in un carcere di massima sicurezza senza aver commesso nessun reato. Il secondo aspetto è questo immane attacco alla libertà di stampa, che viene da un paese che si dice democratico come gli Stati Uniti.
Di quale libertà di stampa parliamo se ogni entità statale mette in carcere i propri giornalisti che provano a fare dissenso? Assange l'hai citato tu. C'è anche Ivan Sofronov in Russia condannato a 22 anni di carcere, a Novaya Gazeta viene revocata la licenza. Più che libertà di stampa, non possiamo parlare semplicemente di ordinamenti statuali che tollerano solo certi livelli di dibattito. Oltre quel livello il dibattito viene offuscato. Siamo in Occidente, siamo in Oriente o altrove, però la cosa non cambia. La libertà di stampa dà fastidio e non viene accettata.
Sì. Ti sei risposto da solo. Condivido assolutamente quello che tu dicevi. La libertà di stampa è scomoda, è scomoda per i regimi e scomoda per quelle democrazie che poi non sono così trasparenti come dicono di essere, che evidentemente hanno delle feroci contraddizioni interne. Questo è un fatto innegabile. È gravissimo quello che è accaduto in Russia. In questo momento i giornalisti non posso neanche usare la parola guerra. Finisci in carcere se non usi la parola operazione speciale. Proprio ieri ricorreva l'anniversario della morte, dell'uccisione di Anna Politkovskaja, la giornalista della Novaya Gazeta che fu uccisa proprio, si disse allora, nel giorno del compleanno di Putin per fargli un regalo. Questo è tipico purtroppo delle dittature quale il regime di Putin è. Ma quello che fa anche scandalo è che tutto questo si realizzi anche in paesi che si presentano come se fossero un baluardo della democrazia. Questo è più difficile da denunciare, più complicato. Per esempio adesso, quando c'è stato l'attentato a Rushdie, tutti i giornali si sono giustamente schierati denunciando la fatwa. E si sono tutti schierati per la libertà di parola di Rushdie. Non accade la stessa cosa per Assange. Noi adesso stiamo facendo questo evento e ti assicuro che non è facile trovare personalità che si facciano testimonal.
Si ha paura di perdere le proprie posizioni di rendita.
Sì. C'è paura. “Sai verrei volentieri. Ma sai, io devo andare negli Stati Uniti sono giornalista, ci lavoro tanto, non vorrei mi facessero problemi”.
La stragrande maggioranza degli scienziati negli ultimi anni ci stanno mettendo in guardia contro i rischi del cambiamento climatico, arrivando persino a parlare di estinzione del genere umano. Pensi che i provvedimenti o i non provvedimenti presi dai governi fino ad oggi siano sufficienti a invertire la rotta? È necessario qualcosa di più? Che cosa, nel caso?
No, siamo lontanissimi da aver trovato delle soluzioni. I passi sono lentissimi. Gli accordi di Parigi e quelli di Kyoto sono stati sconfessati. L'ultima Cop (Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, ndr), quella di Glasgow, è stato un fallimento. A novembre ci sarà la Cop 27 che si tiene in Egitto. Tra l'altro con una palese contraddizione, l'Egitto in questo momento nega i diritti umani oltre che quelli dell'ambiente. Anche su questo ci sarebbe molto da dire.
Io credo però che anche lì le giovani generazioni siano molto più avanti. Questo grido che viene da Fridays for Future e anche da altri gruppi come Extinction Rebellion e così via, qualcosa che crescerà sempre di più, perché c'è una consapevolezza fortissima, quasi a pelle, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Queste non fanno proclami astratti ma al contrario, e questo mi colpisce sempre molto, ascoltano molto gli scienziati, studiano. Non propongono solo delle soluzioni contemplative, o che guardino “solo” alla salvaguardia dell'ambiente. Quello che mi colpisce è che legano molto giustizia sociale e giustizia ambientale. Quello che propongono è di rivedere il nostro stile di vita e modello di vita.
Su Left questo mese scrivono certamente di tutti i provvedimenti che si possono fare qui e ora, a cominciare anche delle cose spicce, cioè mettere pannelli solari su tutti gli edifici pubblici, creare le comunità energetiche che producano e condividano energia. Perché anche tutto questo incide. Ovviamente si parla anche di investimenti sulle rinnovabili, di geotermia. Sono tutti settori che ci possono aiutare con energia pulita a diversificare. Ma detto questo, propongono anche, si parlava di sognare, idee come ripensare la settimana lavorativa, fare la settimana corta, lavorare tutti lavorare meno, trovare un modo meno impattante sull'ambiente, ma che al contempo significhi qualità della vita, avere tempo per le relazioni umani, per coltivare le proprie passioni.
Tornare a vivere. Nella prospettiva di recuperare il sogno l'arte e lo spettacolo dal vivo ci potranno salvare, o è meglio intonare un requiem?
Ride. Ha una bella risata piena.
No. Sono fondamentali, sono l'alimento delle nostre menti. Il problema è sempre culturale. Perché se guardiamo al nostro paese io credo che non ci siano categorie più bistrattate degli artisti. Non viene riconosciuta la loro identità e il loro valore sociale. Contano solo se sono artisti paratelevisivi o in base a quanti biglietti riescono a vendere se sono più commerciali, altrimenti non esistono.
Lo abbiamo visto durante la pandemia. Lì è stato proprio una rappresentazione plastica. Quanto avevamo bisogno dell'arte, della letteratura, della musica. Le persone cantavano perfino sui terrazzi, facevano musica ovunque.
In tempo di guerra diventa chiarissimo. Adesso in Ucraina si vedono gli artisti e i musicisti che suonano nei sotterranei, perché è un'esigenza vitale dell'essere umano l'arte, la creatività, la fantasia. Però questo viene meno in una società che mette al centro un modello antropologico di stampo neoliberista, basato sull'idea dell'Homo economicus, tendenzialmente maschio, uomo, bianco, molto razionale, che pensa solo al massimo del proprio profitto, ed è poverissimo di effetti e di relazioni.
Ecco, questa non è la realtà umana.
Quando sento parlare di crisi mi viene da sorridere. Mi verrebbe da dire che paradossalmente la crisi non esiste, è proprio il sistema in cui viviamo che propone continue sperequazioni ed è continuamente in “crisi”. Di fatto quello che viviamo non è un momento negativo rispetto a una fantomatica età dell'oro. È il neoliberismo che genera una crisi perpetua.
Sono d'accordo. Le crisi sono anche prodotte ad hoc da questo tipo di sistema. Se pensiamo alla bolla economica del 2008, e adesso alle speculazioni sul gas. Finalmente qualcuno comincia a pensare, ma forse la manina del mercato non risolve tutto come invece leggendariamente ci è stato raccontato dalla Thatcher fino ad oggi. Non è che le crisi sono mandate da Dio come punizione. No, è il sistema che evidentemente non funziona e auto genera delle crisi. Perché poi c'è speculazione sulle crisi. Guarda che cosa è successo adesso anche con il grano. Il prezzo del grano era aumentato enormemente già prima della guerra in Ucraina, e poi durante la guerra c'è stato proprio chi alla Borsa di Chicago ha speculato sulla possibilità che ci fosse l'alterazione della domanda. Quindi sono meccanismi molto concreti, storici, umani che in quanto tali si possono decostruire, si può cambiare. Non è l'ultimo orizzonte della storia.
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie