Sorelle di Pascal Rambert con  Sara Bertelà e Anna Della Rosa

nna Della Rosa, Sara Bertelàin Sorelle
history 21 minuti di lettura

Agli angoli estremi del palco Sara e Anna, due sorelle. Potrebbero benissimo essere gli angoli di una scacchiera immaginaria o gli angoli di un ring. Perché velocemente il confronto tra le due sorelle presenti in scena diventa uno scontro all’ultimo sangue. Ma differenza della nobile arte del pugilato in questo scontro ogni colpo è lecito. Sara Bertelà e Anna Della Rosa, hanno lo stesso nome dei personaggi che interpretano, recitano parole a precipizio, con un’energia straordinaria, incalzandosi, provocandosi, passando in rassegna i momenti delicate della loro vita, dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità. Provano lo stesso dolore, la stessa rabbia del passato. Quasi che il tempo non sia stato in grado di lenire le ferite restituendo loro un senso diverso.
Ci si odia di profondissimo amore come fratelli, in questo caso come sorelle nella pièce intitolata Sorelle. L’odio e l’amore sono palpabili.
Sara è legata al mondo colmo di buone intenzioni che va incontro ai diseredati della terra, a coloro che sbarcano con i gommoni. Anna le rimprovera che la sua dedizione è ancora una volta figlia del volersi mettere in mostra. Sara invece rimprovera la sorella di non riuscire a riconciliarsi con la sua storia. Anna ha fatto della parola il proprio strumento di riscatto nel mondo. Sara è sempre stata osannata dal padre. Anna la sorella minore ed è sempre stata compatita. Tra questo osannare e compatire si apre una guerra senza quartiere, percorsa dallo struggente desiderio di entrambe le sorelle di trovare pace, riconciliazione, amore l’una per l’altra, per potersi in fin dei conti riconciliare con sé stesse, con la propria vita.

Anna Della Rosa, Pascal Rambert, Sara Bertelà
Anna Della Rosa, Pascal Rambert, Sara Bertelà © Luca Del Pia

Il testo è venato di ironia, di un sottile erotismo giocato con eleganza e toni delicati. Purtroppo a questi elementi viene lasciato poco spazio. Prevale un furore e un’energia violenta che trasforma le parole in corpi e armi contundenti. Le due attrici hanno la passione per le parole, altrettanto i due personaggi. C’è poco spazio per l’amore, ce ne è giusto una parvenza, un retrogusto. È un amore che entrambe i personaggi vorrebbero poter agguantare ma che continuamente sfugge. In molti punti della pièce è possibile identificarsi perché tutti siamo stati figli, fratelli, sorelle, e persino genitori. Purtroppo però il testo pretende troppo da sé stesso. Tocca troppi temi per riuscire ad essere pienamente convincente. È impossibile seguire e restituire senso a tutto il profluvio di parole che si scatena sul palco.
È vero che si tratta di uno spettacolo che punta più sullo scambio energetico che sulla possibilità di comprendere parola per parola il testo. Ma uno scambio energetico non è sufficiente, la regia chiede troppo a due bravissime attrici che avrebbe potuto sfruttare meglio dando maggiormente spazio alle pause, ai silenzi, alla delicatezza degli sguardi.

Anna Della Rosa e Sara Bertelà in Sorelle di Pascal Rambert © Luca Del Pia
Anna Della Rosa e Sara Bertelà in Sorelle di Pascal Rambert © Luca Del Pia

Sara Bertelà e Anna Della Rosa sono attrici di rango, che si muovono con sicurezza in uno spazio scenico crudo, senza abbellimenti, illumimato solo da neon che fanno rimbombare una luce violenta sul palco. Nel momento in cui viene loro concesso dalla guerra rappresentata sul palco, le due attrici riescono a dare colore pieno e ricche sfumature a personaggi, a cui viene chiesto una delle cose più impegnative che ci sia in teatro, l’immobilità.

A sipario chiuso con Sara Bertelà

Sara Bertelà
Sara Bertelà foto Laila Pozzo

Quali sono le richieste che ti ha fatto e vi ha fatto Pascal Rambert?
La cosa fondamentale per Pascal è sicuramente lavorare sull’energia. Non è un regista che lavora sulla psicologia, quindi non si fano prove a tavolino. Fondamentalmente si lavora tantissimo sulla lingua. Quindi ci ha chiesto di partecipare alla traduzione. Lavorare sulla lingua è stato fondamentale, ed è stato il lavoro fatto maggiormente con lui e con Chiara Elefante. Chiara Elefante è stata straordinaria nel fare una traduzione ineccepibile e nel seguire le prove.
Sono stati giorni di prove a tavolino con la richiesta da parte di Pascal di esprimere il nostro pensiero sulla lingua italiana che incontravamo. Io conosco il francese perché è la lingua di mia sorella, avendo lei la madre francese, quindi è una lingua che io conosco da sempre, dai miei 15 anni. Anche Anna lo conosce. Quindi abbiamo partecipato in maniera appassionata nel cercare di trovare anche i termini che ci aiutassero sia nella velocità, sia nel ritmo, sia nella incisività del testo. Perché il testo è molto fluente e molto ricco, e Pascal voleva una dizione veloce che non indugiasse nella psicologia o nei toni, ma che stesse dentro un ritmo sostenuto e un’energia alta. Quindi la necessità era proprio di cercare un linguaggio che ci aiutasse foneticamente, cioè che aiutasse la nostra bocca a pronunciare le cose rimanendo molto, molto vicini al francese, spesso cercando anche onomatopee simili al francese.
Nella vita reale sei una sorella maggiore o una sorella minore?
Sono la maggiore, ho addirittura quindici anni di più.
Sei una sorella maggiore sulla scena e sei una sorella maggiore anche nella vita.
Molto diversa, però molto diversa. Mia sorella è talmente più piccola che io ho quasi un rapporto materno con Pascale. Mia sorella si chiama Pascale.
La vita è capriccioso e si diverte. Il regista si chiama Pascal e tua sorella si chiama Pascale, con la e finale.
Ci sono un sacco di combinazioni.
La vita è magica in questo.
Pascal chiede un rapporto assoluto con l’altro in scena, quindi un ascolto veramente spasmodico, che deve essere non solo un ascolto delle parole, ma deve essere proprio un scambio energetico sul palcoscenico. Inoltre chiede agli attori di essere consapevoli che si è portatori di una ferita, che in qualche punto del testo deve sgorgare. Per lui è importante che questa ferita sia aperta, ma che non si vada mai a cercare di esprimerla, che sia sotto, come una specie di rumore di sottofondo, come se fosse un una presenza costante che però deve venire fuori in modo spontaneo senza essere ricercata.
Vi chiede di mettervi in contatto con le vostre ferite personali nel momento in cui siete sul palcoscenico?
Lui chiede un contagio, un coinvolgimento anche personale. È consapevole che noi attori siamo un pozzo di esperienza, emozioni, ricordi. E chiede di far sentire assolutamente sul palcoscenico la vibrazione della nostra esperienza personale. Non ci chiede un lavoro psicologico, è più un fatto energetico, è un’energia emozionale della quale non si può fare a meno.
Che cosa è piaciuto maggiormente di questo lavoro?
A me è piaciuto approfondire la conoscenza con Pascal che già avevo incontrato, e mi è piaciuto entrare in contatto diretto con la sua lingua. Mi è piaciuta anche la fatica di apprendere tutte queste parole a memoria, perché lui ti chiede di avere una memoria assoluta, una precisione assoluta della memoria. Mi è piaciuto soprattutto l’incontro con lui, vivere da vicino la sua vulcanica creatività, la sua curiosità per la vita, per le persone, il suo sguardo sul mondo e il suo saper ascoltare, guardare e valorizzare chi lavora con lui. E ho amato tornare in palcoscenico con Anna dopo Molière, con un testo estremo che desideravo condividere con lei. Ho letto molti testi di Pascal, li amo tutti e mi sento vicinissima alla sua poetica, ma quando ho letto Sorelle me ne sono innamorata anche perché ho pensato che si poteva fare con Anna. Aggiungendo alla mia volontà la volontà di Anna siamo riuscite ad arrivare al progetto, grazie anche all’ascolto di Valter Malosti. L’incontro con Pascal vuol dire l’incontro con una lingua vertiginosa, vuol dire mettersi a disposizione per una performance che ha qualcosa più dell’happening che dello spettacolo, ed è molto vicino alla mia ricerca personale, che è quella di essere sempre senza rete. Quello che chiede lui è di stare dentro un flusso energetico emotivo.
Tutto questo quanto costa fisicamente?
Tutto questo è molto impegnativo, molto coinvolgente. È come una maratona per un atleta. È estremamente piacevole, coinvolgente e complesso. Forse è la cosa più accattivante, più stimolante che ho fatto interiormente.
Pensi che il mondo del teatro si stia aprendo maggiormente all’idea di produrre testi e quindi spettacoli con protagoniste donne?
Me lo auguro. Ci sono tante attrici brave e le attrici lavorano spesso con grande complicità. Almeno questo è il sentimento che ho nei confronti sicuramente di Anna, che è una compagna di scena straordinaria e anche di vita.
Tu e Anna siete amiche fuori dalla scena?
Certo. Non si può non essere amiche di Anna.
L’Associazione Amleta ha scoperchiato un vaso di Pandora. Ha portato alla luce abusi sulle donne nel mondo dello spettacolo. Che cosa ne pensi?
Anche io sono iscritta ad Amleta, appoggio e apprezzo il loro lavoro, seguo le loro iniziative. Non si può non essere d’accordo con un gruppo di donne, di attrici che scendono in prima linea per contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo. Vorrei che la stessa attenzione dei media verso l’iniziativa del MeToo italiano da parte di Amleta si avesse anche quando Amleta si occupa di sostenere donne che lottano perché siano riconosciuti i diritti fondamentali di un popolo, come quello iraniano in questo momento, dopo l’inacettabile morte di Mahsa Amini. Ecco, ne approfitto per segnalare #prendiposizione. Mi sono chiesta se nascerà un’iniziativa MeToo Ofelio, e così scopriremo che magari anche alcuni attori si sono trovati a volte in difficoltà nei confronti di alcuni personaggi dello spettacolo.
Il titolo dello spettacolo è Sorelle e il loro rapporto diventa pretesto molto altro.
L’aspetto interessante secondo me è che noi siamo due sorelle, si parla di sorelle, però portiamo in scena qualcosa in più. In Sorelle ci sono molteplici metamorfosi. C’è il fatto di essere figlia, di essere stata bambina, di essere stata ragazza, anche di essere stata madre per quanto riguarda Sara così come succede quando ci si occupa della propria madre come ha fatto Sara, come succede quando bisogna prendersi cura delle persone anziane o semplicemente prendersi cura di qualcuno. Sicuramente ci sarà una madre mancata anche in Anna. Questo è per dire che credo che la grande capacità di Pascal sia di raccontare veramente quello che è la vita, le sfaccettature delle persone. Penso che sia interessante che portiamo due esseri umani, pensanti che sono in rapporto a tutto ciò che è il mondo  ci rimbalza dentro. Sono due persone sicuramente abitate dall’ossessione della lingua, che è la stessa passione di Pascal che diventa in Sara e Anna per ragioni familiari, una specie di ossessione. E da qui ancora di più la ricerca dei termini proprio come azione dei due personaggi.
Che cos’è il linguaggio per te?
Il linguaggio è l’opportunità che abbiamo di entrare in contatto con gli altri. Ha una duplicità. Se da una parte ci può salvare la vita perché può riuscire a farci entrare in modo empatico e corretto in rapporto con l’altro, dall’altra, come nel caso di Sara e Anna, può essere invece un inciampo costante e spaventoso. Per cui c’è un fraintendimento sui termini, c’è una mancanza di ascolto della parte analogica. Durante lo spettacolo accade che la loro mancanza di un abbraccio avviene perché non viene compreso un termine.
Raggiungete momenti di grande intensità quando uscite dal linguaggio razionale, e vi trovate nelle pause, nei silenzi, nel linguaggio soffuso piuttosto che nel linguaggio urlato. Lì le due sorelle sembrano capirsi maggiormente, sembrano capaci di aprire una finestra al dialogo con l’altro.
Hai ragione per i silenzi. Ma c’è anche il ballo in cui si lasciano andare. È il momento in cui senza parlare riescono a fare insieme una cosa, a essere insieme unite dalla musica. Spesso non siamo in grado di lasciare andare i nostri pregiudizi nei confronti dell’altro. Io a volte penso che l’amore sia un ascolto spasmodico dell’altro, una curiosità assoluta con una disponibilità grande almeno come quella che abbiamo nei confronti di noi stessi. Nei confronti dell’altro ci dovrebbe essere un ascolto quotidiano che non dà niente per scontato per cui lo stesso pianto dell’altro, la stessa accusa dell’altro nei nostri confronti, non dovrebbe essere presa come una cosa che si aggiunge a quella di ieri ma come una cosa nuova. Bisognerebbe essere sempre capaci di essere vergini nella conoscenza dell’altro. Questo è molto difficile.
Direi che è anche molto costoso a causa del nostro orgoglio, dei nostri narcisismi. Nei rari momenti in cui ci riusciamo è prezioso.
Questo come dice anche Giuseppe Montesano ci potrebbe far vivere una vita senza paura. Credo che la vita senza paura di cui parla Giuseppe Montesano anche nell’ultimo suo lavoro, sia un po’ quello a cui tende anche Pascal. Spero che il pubblico, vedendo quanta tensione, quanta incapacità di ascolto, quanta possibilità d’amore c’è tra questi due esseri in scena, e vedendo l’impossibilità di dimostrarselo e di comunicarselo, spero che le persone tornino a casa con una consapevolezza e una voglia di agire in modo diverso. Spero che questo spettacolo stimoli una catarsi, un processo di liberazione dai nostri pregiudizi, dai nostri limiti nei confronti degli altri, e ci dia una grande apertura. In una intervista Pascal ha detto: «La mia bocca quando scrivo è come una sorta di sorgente, come un corpo che danza e gli attori possono trasmettere questa mia voce».

Sara Bertela e Anna Della Rosa in Sorelle
Sara Bertela e Anna Della Rosa in Sorelle di Pascal Rambert © Luca Del Pia

A sipario chiuso con Anna Della Rosa

Anna Della Rosa
Anna Della Rosa Foto Norbert

Quali sono le richieste che ti ha fatto e vi ha fatto Pascal Rambert?
Di estrema precisione nel rispetto del testo, nella memoria, nelle parole. Chiede di distinguere bene le varie immagini e i vari momenti pur nella velocità e nell’energia, di far vedere bene tutti i dettagli e le situazioni di cui è ricco il testo, e poi di mettere il tuo cuore. Quindi chiede una grande autenticità di coinvolgimento, che non significa esporre il proprio ego ma mettere il proprio cuore nel testo. Lui parla della ferita come di un qualcosa che non vuole sapere quale sia ma che deve essere messa nel testo. Perché il personaggio di Anna ma anche di Sara ha un grande dolore. Quindi bisogna essere molto onesti. Non si può fingere, non si può stilizzare.
Quindi è come se Pascal dicesse “Ognuno di noi ha un dolore, ha una ferita. Mettetela dentro il vostro personaggio, non m’interessa sapere qual è, non è questo il punto. Però la vostra ferita deve parlare nei personaggi”.
Bravissimo. Affinché risulti vero e non finto. A teatro se sento l’autenticità dell’emozione che scaturisce nell’attore mi emoziono, se sento la stilizzazione magari ne ammiro la bravura ma mi tocca un po’ meno.
Nella vita reale Sara ha una sorella minore, e tu?
Ho una sorella maggiore.
Il regista vi ha scelto di proposito o sono sono le coincidenze della vita?
Sono le coincidenze della vita. Pascal non sapeva che noi avessimo una sorella, io maggiore e Sara minore, però ha reputato che fosse giusta questa distribuzione.
Straordinario.
Pascal è un rabdomante. Coglie davvero l’energia e l’interiorità delle persone e, infatti, le sa raccontare così bene. Lui sa veramente cogliere le sfumature, le singolarità dell’animo umano. Nella sua scrittura si sente quanta conoscenza ha degli esseri umani, così come i grandi autori hanno. Nel suo essere regista è molto delicato perché sa che sta maneggiando il fuoco. È molto tenero e molto dolce, anche molto spiritoso, molto ironico. È apparentemente un giocherellone, è un genio.
Che cosa ti è piaciuto di più del lavorare con Pascal e con Sara?
Oltre a quello che ti ho detto Pascal ti fa anche dono della libertà, ma in una struttura molto forte che è quella del progetto. Adoro le parole che lui scrive, adoro gli stati d’animo attraverso i quali mi e ci fa passare. Sono parole che toccano la tenerezza dell’infanzia, la malinconia dell’infanzia, l’erotismo dell’adolescenza, il dolore della gelosia. Ci permette di attraversare in un modo molto raffinato sentimenti profondissimi. E questo è un dono pazzesco della sua parola, dei testi che lui scrive e di come ti chiede di interpretarli, apparentemente con grande allegria e leggerezza, ma con una serietà assoluta.
Sara è un’attrice straordinaria, vibrante, generosissima, molto con te. È un rapporto che si sviluppa lì per lì in scena.

Non temi che in questo spettacolo ci sia tanto e forse troppo? Che siano troppi i temi toccati e che possano stordire un po’ lo spettatore?
Che possano stordirlo lo penso. Lo penso ma non lo temo. Perché mi metto nella proposta ardita di Pascal. Penso che ogni spettatore sia libero di trovare che sia troppo, che sia una valanga insopportabile, oppure una valanga che tramortisce, ma positivamente in una vita che solitamente ti anestetizza. Questo senz’altro non è uno spettacolo che ti anestetizza. Credo anche nel senso di questa ridondanza. Perché sono ossessionate queste due donne, come siamo ossessionati nella vita. Però c’è anche tanta passione, tanto amore, tanta umanità. Poi ognuno è libero di prenderlo come desidera, ci mancherebbe. Io ho paura in scena, di perdere dei pezzi, di dimenticare delle parole, poi io faccio il mio mestiere, il pubblico fa il suo.
Parlando con gli attori spesso mi è capitato di sentire dire che voi percepite un po’ le emozioni e le sensazioni che vi arrivano dal pubblico. Com’era il pubblico della prima al Menotti?
Mi è parso molto molto attento, tanto che ha preso diversi punti sarcastici e umoristici. Cosa che Pascal apprezza molto perché c’è un testo molto intriso di dolore ma ci sono anche delle piccole fiammate che nel loro parossismo ti fanno ridere perché appunto sono effettivamente spiritose nel dolore. Per cui quando il pubblico ride significa che sta seguendo la follia, e poi mi è parso emozionato.
Sicuramente era molto attento. Ogni tanto mi giravo perché mi piace guardare il pubblico. Vedevo la tensione legata all’attenzione. Quanto costa fisicamente e anche a livello di voce, uno spettacolo come Sorelle?
Beh, direi tanto, nel senso che Pascal richiede un’enorme energia. Ma non si può che farlo così. Quindi devi fare un po’ la vita da atleta, cioè di giorno riposi, mangi bene. A casa faccio un po’ di yoga e scaldo la voce. Arriviamo in teatro con tre ore di anticipo, ripassiamo tutto il testo insieme, io e Sara in camerino non sul palco perché c’è la troupe e poi mi rilasso un po’. Scaldo ancora un po’ la voce. È una performance faticosa ma bella, che richiede tantissima energia.

Pensi che ultimamente il mondo del teatro si stia aprendo maggiormente alla produzione di testi legati al femminile? E se sì, perché?
Credo di sì. Oramai è da qualche anno che si sta giustamente ponendo l’attenzione su una società patriarcale. Questo probabilmente poi porta a dei moti che sono più ideologici che artistici. Invece io penso che in teatro sia molto importante che la cosa abbia un valore assoluto, non solo perché si parla del femminile. In questo caso credo che il testo porti in un alto il senso artistico, che di per sé ha anche un valore sociale. Poi sicuramente a me sta molto a cuore la questione delle donne e penso a che cosa significhi non essere più di qua e di là della barricata, ma essere fratelli. Cioè non siamo noi donne contro voi uomini, ma siamo insieme nel tentativo di riconoscere il femminile che è in ogni donna e in ogni uomo, di riconoscere il valore che può venire dal rispetto, dalla collaborazione. Ma è lo stesso verso la natura, verso i bambini. È la stessa cosa, un’armonia, una coesistenza sotto lo stesso cielo.
Mi stai restituendo una dimensione junghiana del femminile e del maschile che è in ognuno di noi.
Beh, perché penso che sia così. Penso che ci si potrebbe divertire di più se gli uomini deponessero le armi e riconoscessero in sé stessi il valore della tenerezza, dell’ascolto, della propria fragilità, e non combattessero la propria fragilità con violenza ma la accogliessero allo stesso modo le donne potrebbero riconoscere che la propria ambizione non è un peccato di cui vergognarsi, ma è una spinta vitale, propulsiva.
L’Associazione Amleta sta portando alla luce aspetti oscuri del mondo del teatro dell’arte. Che cosa ne pensi?
Che fa benissimo, che sono molto brave, coraggiose. Che è un grande percorso di autocoscienza e coscienza collettiva assolutamente necessaria. Penso che sia un atto di responsabilità da parte di tutti, maschi e femmine. C’è un grande patriarcato, ma io lo riconosco anche in me, su me stessa. Dico sempre che la violenza contro le donne si combatte dalla scuola, fin da bambini perché è vero che la violenza contro le donne è una violenza contro gli esseri umani. Non è un fatto che non riguarda un maschio, riguarda anche un maschio, riguarda tutti. Quindi penso che facciano benissimo. Ieri sentivo questa affermazione meravigliosa a Radio Tre relativa alla mafia “La mafia si combatte con un esercito di maestre delle elementari”. Ecco direi la stessa cosa per come si combatte la violenza sulle donne, con un esercito di maestri elementari, con l’educazione, con il rispetto delle donne verso se stesse e degli uomini verso le donne.
Vuoi aggiungere qualcosa su Sorelle?
È uno spettacolo molto toccante, molto emozionante, che fa battere il cuore degli spettatori, che assisteranno a un flusso di energia molto inusuale, molto fuori dall’ordinario e molto toccante, per cui vale la pena. Vedi qualcosa che nella vita vera non c’è e poi continua anche nell’arte. Sentire la vita con più vigore.
Quel palcoscenico è stato un ring o una scacchiera.
Tutti e due.

Gianfranco Falcone

Teatro Menotti – Milano
18 – 22 gennaio 2023
Sorelle
Testo, messinscena e spazio scenico di Pascal Rambert
con Sara Bertelà e Anna Della Rosa
Traduzione italiana di Chiara Elefante
Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, FOG Triennale Milano Performing Arts
durata: 90 minuti

 

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