
Nel travagliato riordino dei progetti eseguibili entro il 2026 per poter incassare la quota parte del PNRR, il ministro Raffaele Fitto ha già operato tagli drastici per circa 16 miliardi, eliminando interventi che spaziano dai progetti di rigenerazione urbana, utili a ridurre emarginazione e disagio sociale, a quelli miranti alla riduzione e contenimento del rischio idrogeologico.
Con questa pratica del “taglia e cuci”, sembra sia sfuggita di mano la misura riguardante la realizzazione degli asili nido e delle scuole per l'infanzia, visto che la data del 30 giugno, ultima data di proroga, limite per la presentazione dei documenti attestanti l'aggiudicazione dei lavori, è andata completamente deserta. Parlando di cifre, in sostanza il PNRR «ha stanziato 4,6 miliardi di euro per quella che è considerata una delle misure economiche più importanti del piano: dovrebbero essere costruiti 1.857 nuovi asili nido e 333 scuole materne. L'obiettivo dichiarato in fase di negoziazione del piano è di garantire complessivamente 264.480 nuovi posti entro la fine del 2025» [1].
Purtroppo, ancora una volta sembra che il quadro racchiuso in questa cornice abbia subito una ulteriore modifica, almeno da quanto risulterebbe da una accurata indagine de L'Espresso, che ha evidenziato come inspiegabilmente il numero dei posti fissato in precedenza (264.480) si sia attestato a 228.000, registrando quindi un taglio di ben 36.480 posti per altrettanti bambini che dal 2026 non avranno alcun nido a disposizione.
A questo punto le domande da porci sono: perché questi tagli? In base a quale revisione sono stati effettuati? Ed infine, quanti saranno esattamente i posti che verranno realizzati?
Quello che solo in apparenza può essere visto come un inciampo nelle cifre, ha invece una sua spiegazione nel documento presentato dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) attraverso un complicatissimo calcolo matematico che «prima prende in considerazione il finanziamento ricevuto da ciascun Comune, poi divide quel valore per i costi al metro quadro previsti per l'ampliamento, la costruzione ex novo, al netto dell'inflazione, così da ottenere il costo lordo dell'investimento per i nuovi nidi e le scuole dell'infanzia. Solo successivamente, dividendo quel numero in base a ciascuna normativa regionale in termini di spazio dedicato a ciascun bambino (perché ogni zona d'Italia ha disposizioni diverse per gli asili nido) è possibile stimare il numero dei posti al nido che saranno realizzati. E cosa si è scoperto? Che i posti sono ampiamente inferiori ai 264 mila promessi, molto vicini invece ai 200 mila posti» [2].
Insomma, una confusione tale che pone in evidenza l'incapacità di questo governo di mettere in campo una adeguata governance sui progetti del PNRR, a cui va aggiunta anche la manifesta incapacità ( o meditato rifiuto) a colloquiare e collaborare con tutti i livelli della pubblica amministrazione, tanto più che questo mal gestito stato di cose entra in rotta di collisione con le soluzioni al problema propagandate da Giorgia Meloni contro la crisi demografica, il cui contenimento sarebbe visto possibile – dalla Presidente del consiglio – anche con una maggiore disponibilità ed accessibilità agli asili nido.
Va comunque detto che – seppur di fronte ad una altalena di disposizioni molte volte in palese contrasto fra di loro – «ad oggi, l'aggiudicazione dei lavori risulta essere del 91% ma pur a fronte dell'obiettivo quasi raggiunto, i problemi con gli investimenti del PNRR sugli asili nido e le scuole dell'infanzia risalgono alla pubblicazione dei primi bandi: la scelta di delegare di fatto la garanzia del livello essenziale di questa prestazione agli enti locali ha abbassato le probabilità di raggiungimento degli obiettivi, con un potenziale inasprimento delle disuguaglianze territoriali esistenti» [3].
Come se non bastasse, la già caotica situazione nella quale si è incanalato il governo, l'Unione europea ha contestato una parte del nostro piano su asili nido/scuole materne, che – bisogna sempre ricordare – vale 4,6 miliardi di euro, obiettando che i fondi del PNRR dovrebbero essere destinati esclusivamente a «nuovi asili nido», da costruire cioè ex novo, mentre – come osserva Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (CIFS) – «in tutti i documenti del governo italiano (compresa la recente relazione al Parlamento di fine maggio 2023) si parlava di intervenire non solo su progetti nuovi (per 3 miliardi di euro) ma anche su “progetti in essere”, cioè aggiungendo posti a nidi già esistenti (risorse dedicate:700 milioni)» [4].
Se le cose stanno in questo modo, c'è da chiedersi per quale ragione il governo non abbia fatto valere il proprio diritto, tanto più che il testo del PNRR è stato approvato e controfirmato dalla UE. Altro corto circuito, altra svista, o masochistica accettazione di una evidente irregolarità pur di non avere contatti con i funzionari di Bruxelles mai del tutto digeriti dai ministri di questa destra?
Fatto sta che tentennamenti e revisioni sul piano asili nido ci stanno conducendo anche contro le disposizioni di portata generale fissate nel 2002 a Barcellona dal Consiglio Europeo, le quali hanno previsto che i servizi all'infanzia devono essere offerti ad almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni (al momento l'Italia è a quota 27,2%) e ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'obbligo scolastico (che in Italia riguarda le scuole per l'infanzia). Dopo l'emergenza Covid entrambi gli obiettivi sono stati aggiornati con una risoluzione del Consiglio UE innalzando rispettivamente l'obiettivo del 33% al 45% e quello del 90% al 96%, entrambi da raggiungere entro il 2030 [5].
Quindi, in questo contesto generale, si fa fatica a comprendere come possa essere sfuggito – o, peggio, minimizzato – il fatto che il mancato raggiungimento di questo importante obiettivo del PNRR renderebbe ancora più precaria la nostra situazione: è risaputo che l'offerta italiana di asili nido pubblici e di servizi per la prima infanzia è una delle più basse dell'Unione europea. Perché, inoltre, viene sottovalutato il fatto che la disuguaglianza educativa si manifesta molto prima dell'accesso alla scuola dell'obbligo e ha sui bambini effetti negativi di lunga durata.
Questa sottovalutazione del problema ne trascina con sé anche un altro per nulla marginale: in prospettiva, infatti, una corretta impostazione delle tematiche inerenti ai nidi e alle scuole materne potrebbe agevolare una maggiore occupazione femminile, con possibili risvolti positivi per la crescita del PIL. Ne è convinta l'economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics di Unitelma Sapienza, di Roma, la quale – oltre ad affermare che «la ricetta per far crescere l'economia è a portata di mano e non la capiamo» – punta altresì l'attenzione sul fatto che il problema continua ad essere culturale, in un Paese che registra fra i più bassi tassi di lavoro femminile, con circa il 50% contro una media UE del 62%.
Secondo Rinaldi «gli asili nido sono percepiti come un aiuto alle donne quando in realtà sono un aiuto per i bambini e le famiglie, che non sono composte solo da donne. Eppure, il lavoro di cura ricade quasi tutto su di loro e, secondo alcuni studi, fino al 75%» [6].
Sembra comunque che il necessario tentativo di bilanciare questi squilibri sia destinato all'insuccesso secondo le risultanze del monitoraggio effettuato dall'Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ). L'analisi parte dall'assunto che la finalità di coesione territoriale del PNRR relativamente al comparto scolastico è ad alto rischio. Questo pericolo, secondo gli analisti SVIMEZ, sarebbe determinato dagli inadeguati criteri ministeriali di riparto delle risorse a livello regionale, che non hanno tenuto conto delle variegate situazioni interne alle singole regioni in termini di fabbisogni di investimenti. Nella relazione viene sintetizzato il concetto individuando «il sistema dei bandi competitivi che ha spesso penalizzato i territori con carenza di servizi e strutture (tempo pieno, palestre, mense), anche a causa della debolezza delle amministrazioni. Il rischio è che aumentino le disuguaglianze territoriali, soprattutto all'interno dello stesso Mezzogiorno» [7].
I dati in dettaglio offerti dall'analisi sono impietosi. Si legge che meno del 25% degli alunni meridionali della scuola primaria frequenta scuole dotate di mense, contro circa il 60% nel Centro-Nord. Abissale, poi, il divario tra la Campania e la Sicilia – che registrano percentuali di bambini che usufruiscono di mense inferiori al 15% – paragonate al 66,8% dell'Emilia-Romagna e al 69,6% della Liguria. Queste cifre certo parlano da sole, ma è pur vero che – accanto a situazioni simili già pietrificate da tempo – potremmo azzardare proponendo un altro fattore che potrebbe aver disincentivato gli amministratori locali ad interventi concreti: le proiezioni demografiche. Proprio in quei luoghi dove le nascite sono in forte calo – con una previsione di almeno 25 anni per invertire la tendenza – non si può escludere che il singolo amministratore abbia percepito l'impegno a costruire nuovi asili nido come un inutile spreco di risorse se non come una vera e propria beffa. A riassumere sinteticamente questo squilibrio si è impegnato Andrea Gavosto, economista e ricercatore sui temi dell'istruzione in Italia nonché presidente della Fondazione Agnelli, che ha lanciato l'allarme per non perdere i fondi destinati agli asili nido individuando, a suo parere, le cause di tale sbilanciamento: «A spiegare un esito così deludente concorrono fattori di natura diversa: l'impreparazione delle amministrazioni a gestire una progettualità complessa in tempi brevi; l'assenza di incentivi per i comuni più piccoli a consorziarsi per realizzare strutture in condivisione; l'impennata dei costi in edilizia; la sottovalutazione iniziale della resistenza da parte di molte famiglie a mandare i bambini al nido; la pressione esercitata sui comuni dalle strutture private» [8].
Tra le righe, sembra di leggere un monito al governo di intervenire subito in aiuto di quegli enti locali che non hanno le capacità amministrative e/o fondi necessari per garantire i livelli essenziali di prestazione ed evitare così il naufragio del PNRR.
Stefano Ferrarese
[1] https://www.ilpost.it/2023/04/24/ritardi-pnrr-asili-nido/, 26 agosto 2023
[2] Gloria Riva, https://espresso.repubblica.it/economia/2023/07/05/news/pnrr_asili_nido-406701350/, 5 luglio 2023
[3] https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2023/07/24/asili-nido-ritardi-pnrr/, 25 agosto 2023
[4] Francesco Belletti, https://www.famigliacristiana.it/articolo/asii-nido-e-pnrr-la-difficile-collaborazione-italia—unione-europea-.aspx, 6 luglio 2023
[5] https://www.openpolis.it/parole/che-cosa-prevedono-gli-obiettivi-di-barcellona-sugli-asili-nido/, 3 agosto 2023
[6] Ilaria Mariotti, https://www.dealogando.com/focus/asili-nido-e-occupazione-femminile-economia-pil-pnrr/, 3 agosto 2023
[7] Serenella Caravella, Ferdinando Ferrara, Carmelo Petraglia, https://lnx.svimez.info/svimez/il-pnrr-non-colmera-i-divari-territoriali-su-asili-nido-e-infrastrutture-scolastiche/, 13 maggio 2023
[8] Andrea Gavosto, https://www.fondazioneagnelli.it/wp-content/uploads/2023/04/La-Stampa-29-04-2023.pdf, 29 aprile 2023
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