
“Intervenire sulla spesa pubblica e ridimensionarla”. Una frase che ricorre spesso nei discorsi dei politici e degli economisti, anche se poi molti ne invocano l'incremento per sospingere la crescita e realizzare investimenti e occupazione.
Che cosa è? E, soprattutto, che cosa significa ritoccarla? E cosa succede a noi cittadini se aumenta o se diminuisce?
Si definisce come il complesso di beni e servizi acquistati e/o gestiti dalle varie amministrazioni dello Stato e forniti ai cittadini, per la scuola, la sicurezza, la salute, i trasporti, ma anche per alimentare le pensioni o il sistema industriale, o per realizzare grandi infrastrutture di vario tipo.
È possibile, confrontando le percentuali di incidenza della spesa sul Pil, farsi un idea dei sistemi politico-economici. E così in un economia socialista la spesa pubblica tenderà a una percentuale molto superiore al 50% del Pil, mentre in un paese ad economia capitalista e neo liberale la spesa pubblica sarà tanto più inferiore al 50%, quanto più il liberalismo sarà riuscito a limitare e contenere i servizi erogati e a favorire l'iniziativa privata. Nei sistemi liberali ottocenteschi lo Stato assicurava solo presupposti minimi per tutelare ai cittadini. In Inghilterra dopo la premiership della Thatcher era vicina al 40%, oggi dopo i governi conservatori sfiora (e qualche volta ha superato) il 50%.
In Italia, la spesa complessiva (una componente importante gli stipendi degli impiegati pubblici) è di circa 800 miliardi di euro e rappresenta circa il 50% del Pil ( prodotto interno lordo – somma dei redditi complessivi del paese). In linea con quanto destinano i paesi scandinavi , ma superiore a Germania, Francia o Inghilterra.
Ovviamente la spesa pubblica è compensata dalle tasse e in un momento di recessione o si riduce la spesa o si aumentano le tasse. Ridurre la spesa pubblica comporta un ridimensionamento dei servizi e il licenziamento di impiegati pubblici. Ma in Italia la pressione fiscale ormai supera il 50% e non sembrano praticabili altri aumenti; ma è più facile intervenire sulle risorse, ridimensionando i servizi? I privati possono pagare direttamente quote di previdenza, sanità e istruzione? E che succede al patto sociale e alla democrazia, visto che la democrazia deve essere “una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato” ( Jean Jacques Rousseau).
Facciamo almeno il punto sulle voci collegate servizi al cittadino e verifichiamo quanto l'affermazione è applicabile al nostro paese, mentre è in corso da parte del governo una “spending revue” per verificare la congruità delle spese.
Protezione sociale
La spesa per la protezione sociale, articolata nelle tre aree di intervento della previdenza, della sanità e dell'assistenza, in Italia utilizza il 27% del Pil, l'importo totale per abitante è pari a poco più di 7 mila euro all'anno. L'Italia si colloca appena sotto la media rispetto agli altri paesi europei evoluti e al di sopra della media Ue. La funzione “vecchiaia” ne rappresenta oltre il 50%, disoccupazione e altre forme di esclusione sociale si attestano solo intorno al 2,3% del totale. La quota del Pil destinata alle famiglie nel 2008 risulta pari all'1,2%. Dai dati disponibili risulta la diffusione dei servizi per l'infanzia (asili nido o servizi integrativi) in tutti i suoi comuni solo nella provincia autonoma di Bolzano. In media nelle regioni del Centro-Nord il 52,7% dei comuni offrono servizi per l'infanzia., mentre nel Mezzogiorno è solo il 25,1% e in alcune regioni del Mezzogiorno quali Molise e Calabria, meno del 10%.
La spesa sanitaria pubblica in Italia nel 2010 è stata di circa 115 miliardi di euro, pari al 7,4% del Pil, con oltre 1.900 euro annui per abitante è la voce più importante nella spesa corrente delle Regioni (75% di media). Otto nazioni europee hanno investito, nel 2007, una percentuale del Pil superiore rispetto all'Italia, con il nostro Paese sotto la media dei Paesi OCSE. Dai dati disponibili al 2007 solo Spagna, Finlandia, Irlanda e Regno Unito hanno riservato alla sanità una quota del Pil ,sia pur di poco, inferiore rispetto all'Italia. Sia per i ricoveri ospedalieri che per la spesa farmaceutica si spende una quota della spesa sanitaria complessiva molto più dei paesi evoluti. Nel 2007, le famiglie hanno contribuito con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 21,9 , percentuale in aumento. L'indagine Censis 2003-2006 evidenzia che il giudizio di adeguatezza dei servizi sanitari si è mantenuto pressoché costante per la medicina di base e i ricoveri ospedalieri mentre peggiora quello relativo alla medicina specialistica, il pronto soccorso e l'assistenza domiciliare. Si può continuare la politica dei risparmi senza gravi danni al servizio? Solo un approccio diverso alla salute del cittadino che privilegi la centralità del paziente rispetto all'organizzazione, può condurre a un'ottimizzazione dell'impiego delle risorse e a migliorare la valutazione di qualità e dell'equità sociale (già compromessa dalla maggiore tassazione applicata in alcune regione non ritenute virtuose).
Istruzione
La spesa in istruzione e formazione consente di valutare le politiche messe in atto da un paese per valorizzare il proprio capitale umano. L'Italia nel 2008 dedicava solo il 4,8% del Pil all'istruzione, 1,3 punti percentuali sotto la media Ocse (6,1%), al 29 esimo posto (era al 18° nel 2006) sui 34 Paesi che aderiscono all'organizzazione. Il valore dell'indicatore per l'Italia era inferiore rispetto al valore medio dell'Unione Europea (5,1%) ed è ulteriormente peggiorato. In media, i 27 paesi dell'Ue dedicano a questa importante voce di spesa il 5,2% del loro Pil. La spesa più alta è in Danimarca (7,1%), Svezia (6,2%) e Belgio (6,1%). Per uno studente universitario l'Italia spende 7.211 euro, la spesa in media in Svezia, Danimarca, Olanda, Austria, Regno unito è il doppio con l'aggravante che le spese per il personale e le spese correnti in Italia assorbono maggiori risorse. Solo il 5% della spesa totale finisce direttamente nelle tasche degli studenti e delle famiglie sotto forma di aiuti (borse di studio, buoni libro, ecc.). In Danimarca gli aiuti coprono oltre il 16% della spesa pubblica totale.
Giustizia e sicurezza
L'Italia destina al funzionamento del sistema giustizia (civile e penale) circa lo 0,19% del Pil in linea o di più di altri paesi. Costo annuo della Giustizia Italia (4,088 miliardi di euro) in valore assoluto è più alto di Francia (3,350), Spagna (2,983), Olanda (1,613). Secondo il Centro Studi di Confindustria (2011) lo smaltimento delle pratiche arretrate frutterebbe alla nostra economia il 4,9% del Pil e basterebbe abbattere anche solo del 10% i tempi di risoluzione delle cause per guadagnare lo 0,8% del Pil l'anno. Secondo il rapporto “Doing business 2012” della Banca mondiale, i difetti della nostra giustizia civile ci fanno perdere l'1% di Pil l'anno. Per recuperare un credito: 1.210 giorni in Italia 515 giorni in Spagna 406 giorni in Cina 399 giorni in Inghilterra 394 in giorni Germania 331 in Francia 300 giorni in Usa. Si calcola che lo Stato italiano spende per la giustizia: circa 70 euro per abitante a fronte dei 56 della Francia, dove la durata media di un processo civile è della metà (Commissione europea sull'efficienza della giustizia 2011). La spesa pubblica complessiva per i tribunali e per le procure supera i 7,5 miliardi di euro l'anno ed è la seconda più alta in Europa, dopo quella della Germania. Il 42% di detenuti è in custodia cautelare e i processi per ingiusta detenzione o per errore giudiziario sono oltre 2.000 all'anno, con risarcimenti stimati per 46 milioni €.
Il numero dei reati è costante ma l'allarme sociale, alimentato dai media, spesso prefigura una microcriminalità in crescita. Gli stanziamenti a disposizione della pubblica sicurezza sono stati ridimensionati. E non sempre le forze dell'ordine sembrano essere in grado di contrastare efficacemente la grande criminalità, che domina alcuni territori del sud. Infatti i sindacati stimano che le tre forze di polizia principali a competenza generale ( Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza) siano mediamente il 10% sotto organico.
Dal quadro d'insieme emerge chiaramente che le risorse dedicate alla spesa sociale sono generalmente inferiori a quelli degli altri paesi, ma è decisivo l'utilizzo poco efficace e la generale mancanza di programmazione e di una idea guida. Anche nei settori dove l'Italia spende di più i risultati sono negativi. E il costo per il personale limita l'efficacia degli interventi.
Alcuni [1] sostengono che l'incremento massiccio della spesa pubblica negli ultimi 35 anni non ha portato a nessun vero cambiamento della qualità della vita e un incremento di benessere sociale. Anche senza aderire alla tesi riqualificare e snellire la spesa è divenuto un imperativo urgente e ineludibile perché la qualità insoddisfacente della spesa non solo frena la crescita, ma mina anche il rapporto di fiducia tra il cittadino e il potere, tra sfera privata e sfera politica del corpo sociale.
Nel frattempo, chiosando un parametro inventato per altre realtà nazionali e altri contesti si può dire che la Felicità Interna Lorda (GNH – gross national happyness) [2] non è in incremento, ma piuttosto in rapido declino, e visto anche che l'attuale congiuntura costringerà a ulteriori ridimensionamenti e sacrifici e salvo sorprese e miracoli, per qualche generazione il nostro patto sociale sarà da ridiscutere e da rinegoziare continuamente.
Francesco de Majo
[1] Vito Tanzi, Schuknecht, Ludger “La spesa pubblica nel XX secolo”.
[2] Felicità interna lorda (o in inglese GNH gross national happyness) termine coniato dal re del Buthan che voleva (anni ‘70) mettere in rilievo l'impegno per la costruzione di una società che potesse superare gli schemi della società dei consumi, favorendo un economia più in armonia con la cultura tradizionale.
Fonti:
Noi Italia 2010 Istat
Oecd Health Data 2009- 10 -11
Indagine Censis 2003-2006
Commissione Affari costituzionali camera deputati , Indagine conoscitiva sulla sicurezza.
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