
Nella terza raccolta di poesie di Vittorio Sereni, Gli strumenti umani pubblicata nel 1965, è possibile scorgere vivide impronte e inquietudini saldate alla pulsante vita sociale colta negli aspetti di prossimità; ciò nell'intento di pensare, a quel tempo, all'imponente metamorfosi socio-culturale in corso in Italia. In quegli anni, giovani donne e uomini venivano sconvolti da innumerevoli cambiamenti sociali ed economici concomitanti alla ricostruzione del Paese, successiva ad un altro drammatico evento quale fu la seconda guerra mondiale, in modo simile a quanto accaduto, recentemente, a causa della pandemia di SARS-CoV-2.
Il poeta Sereni, in sintonia con quanto i tempi annunciavano, ha interpretato la propria disperazione, sollecitata, inevitabilmente, dallo scivolare lineare delle età della vita e la cogente trepidazione per un incombente oblio circa l'eco degli avvenimenti storici ed intimi, dentro un processo di uniformazione degli individui, catapultati dal tempo dell'innocenza alla tempo del disincanto.
Allo stesso modo, appare necessario ricercare, oggi, dopo la tragica esperienza d'una sostanziale, reale precarietà della vita associata, causata dalla Covid-19, di non dimenticare o banalizzare, d'analizzare a fondo e comprendere ciò che è accaduto, di prospettare un credibile “mai più”. Impresa utile, soprattutto, a chi – come gli adolescenti-studenti -, sono stati catapultati, forzosamente, nella fenomenologia della “società del rischio” e che, in qualche modo salvati, hanno tempo per cicatrizzare le ferite razionalmente recuperando, dal turbinio di abbagli emotivi, un recentissimo nocivo passato evitando, consapevolmente, di rimuoverlo, eventualmente sospingendolo nel buio della dimenticanza.
É bene, dunque, che di quella esperienza se ne parli senza tabù, è bene che si entri in dialogo con le forme sociali tradizionali che hanno generato il malessere di vivere e la fatica di essere tutti – comunque – se stessi.
Occasione preziosa di conoscenza e “rielaborazione dei lutti”, è stata, nell'ambito delle iniziative formativo-culturali denominate “Cogito Ergo UniUrb” che, da anni, organizza Agorà, Associazione degli studenti dell'Università degli Studi di Urbino, la giornata del 5 Maggio 2023, quando, presso la Sala Incisori del Collegio “Raffaello” sono state proposte analisi e e si è realizzato un serio confronto tra esperti sul tema Il COVID e l'impatto sulla psiche dell'individuo.
La questione è finalmente posta nella sua indipendente problematicità e fornisce la possibilità d'approfondimento sul versante specifico d'una fenomenologia trascurata e che concerne la coazione al “ritiro sociale” ed “estraneità” nell'immaginario relazionale giovanile, che assume le sembianze d'una consistente messa in mora della socializzazione giovanile.
Con uno sguardo critico sull'esperienza pandemica, ma con un'attitudine analitico-propositiva, dai diversi ed interagenti punti di vista disciplinari e professionali espressi e comunicati al pubblico dai relatori intervenuti, è emersa una convergenza di vedute circa l'alterazione delle forme di vita e della qualità dei legami socio-affettivi.
L'emergenza socio-sanitaria ha realizzato una deformazione del modo consueto di intendere la prossimità sociale ed intergenerazionale. La drammatica circostanza ha reso evidente i limiti e fallimenti dei modelli epidemiologici e previsionali nell'epidemia di SARS-COV-2; ha, altresì, chiarito il valore del “lavoro di cura” in tempo di pandemia e delle pratiche di resilienza sociale agenti in tutti i servizi alla persona ed alla comunità; ha reso consapevole la comunità nazionale della immediata necessità di costruzione di un modello di Welfare socio-sanitario con un inedito perno intorno al quale far ruotare efficacemente, rendendolo efficiente, il “sistema di prevenzione”: si tratta di costruire una sorta d'area “ricerca e sviluppo” che si occupi scientificamente, in modo costante ed integrato alle strutture operative sul territorio, di salute pubblica, emancipandosi dal mero digital contact tracing.
Sul versante dei rapporti sociali, è innegabile una riconsiderazione dell'effettiva attivazione civica e della condivisione nell'era post-pandemica (un-locking communities) a fronte di un avvenuto rovesciamento delle priorità esistenziali individuali e dei gruppi sociali d'appartenenza, nonché di un sostanziale rivoluzionamento subito negli stili di vita della comunità nazionale, impattanti ancor più sull'infanzia, sui preadolescenti ed adolescenti. La costruzione sociale del rischio [1] per i minori, in particolare, va ricondotta ad una valutazione dialettica che eviti rappresentazioni improprie e deresponsabilizzazione. In altri termini, oggi si rivendica legittimamente una salvaguardia universalistica non più solo dell'integrità fisica, bensì un contestuale rispetto dei diritti relazionali e la conseguente realizzazione della cittadinanza sanitaria, mai più inciampando, politicamente, nel velleitario, incivile revanscismo eugenetico [2].
Sul tema, con riferimento all'iniziativa Cogito Ergo UniUrb, pare utile riproporre – ricordando le immagini di Papa Francesco che da solo attraversava una Piazza San Pietro deserta, era il 27 Marzo 2020 e tutto il mondo stava vivendo l'incubo della pandemia – le parole del Santo Padre, prima della benedizione Urbi et Orbi. Egli disse: «Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca … ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano con una sola voce e nell'angoscia dicono: “Siamo perduti”, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».
È possibile sviluppare così il ragionamento perché – riflettendo sull'esperienza diretta sviluppata negli anni della Covid-19 – se è vero che parte degli adulti ha vissuto con l'idea dell'essere sulla stessa barca e maturato la convinzione d'una sorta di soluzione/speranza incentrata sull'agire corresponsabilmente, quindi necessariamente insieme, ai preadolescenti e gli adolescenti, a partire dai bambini di 13-14 anni e comprendendo la fascia di età dei giovani adulti (dai 18 ai 30 anni), la situazione pandemica ha oggettivamente causato un brusco contraccolpo rispetto alle condizioni dell'apprendimento, alla progettualità di vita e alle stesse prospettive di studio e d'accesso al lavoro.
In alcuni Documenti e Rapporti specializzati si legge, concordemente, che rispetto alla fascia degli under 30 si rileva un aumento dei livelli di depressione e ansia, con correlate condotte d'autolesionismo, anche in forme estreme, legati all'esperienza dell'isolamento e alle incertezze rispetto alle prospettive di sviluppo nella socializzazione, di valenza emotivo-cognitiva, ma anche economiche e occupazionali.
In questi anni di emergenza sanitaria i consultori pubblici e privati accreditati presenti sul territorio hanno svolto un'azione di osservazione costante, accoglienza e supporto alle famiglie, rilevando una più estesa molteplicità di bisogni e un aumento dei segnali di disagio: 1) gestione emotiva delle implicazioni della pandemia, 2) conciliazione famiglia-lavoro, 3) fatica a sostenere i figli nelle fasi di sviluppo legati alle diverse fasce d'età, fenomeni di profonda fatica nella fascia giovanile.
Una nuova, ma non scelta quotidianità si è insinuata nella vita di tutti.
Va segnalata l'urgenza di interventi risolutivi circa l'emersione, tra le studentesse, di casi di anoressia nervosa, inserita da tempo (nel DSM 5, 2013) nella più ampia categoria diagnostica chiamata disturbi della nutrizione e dell'alimentazione la cui caratteristica principale è il rifiuto
del cibo. Inoltre, in coincidenza, si sono verificati nei giorni pandemici, con preoccupante incremento rispetto all'inizio dell'emergenza, ulteriori diffusi casi di panico, rispetto ad alcuni dei quali è stato necessario richiedere l'intervento del Servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica 118. Ancora. Vanno segnalati anche accertati casi di perdurante autolesionismo. È stato ed è, pertanto, utile intervenire con sollecitudine predisponendo quanto prima il Servizio scolastico C.I.C., lo sportello di ascolto al quale gli allievi e le famiglie che vivono situazioni di disagio di qualunque natura potranno rivolgersi per ottenere informazioni, supporto, consulenza e orientamento.
Per i soggetti adolescenti con sintomi di anoressia nervosa e con ricorrenti crisi di panico, essendo evidente che tali malesseri vengono esperiti come un'inaccettabile perdita delle capacità di controllo, è stata proposta e predisposta una serie di azioni: 1) coinvolgimento delle figure genitoriali e terze professionali (costituzioni di “tavoli di crisi” ad hoc); 2) adeguato aggiornamento/formazione professionale dei Docenti; 3) immediati incontri con le Dirigenze scolastiche e gli Uffici scolastici territoriali per studiare la forma migliore per “aggredire” il problema, con eventuale specifici sopralluoghi ed una esemplare reazione “diretta”. Dall'inizio degli Anni scolastici coinvolti dalla pandemia, ad oggi, si è fatto fronte, in scienza e coscienza, (alcuni Docenti, i Collaboratori scolastici ed il Referente di Plesso) a ricorrenti, quotidiane crisi di panico e correlate ai disturbi dell'alimentazione di studentesse (tali fenomeni hanno riguardato, prevalentemente, studentesse del primo biennio, ma con altrettanta virulenza, anche del secondo biennio e Classi quinte degli Istituti d'ordine superiore) pur dentro quel rassicurante “luogo comune”, agognato, definito come relazione educativa “in presenza”. A tal punto gravi da ritenere necessario e richiedere l'intervento del 118. Pertanto, è stata avviata una seria riflessione sul disagio giovanile – affrontato in modo tecnico-professionale ed in modo attento superando necessariamente i burocratici attuali limiti organizzativi del servizio scolastico (non ci si può limitare, ad esempio, a mandare uno psicologo in classe; si ha esperienza in questo …) – che si manifesta nel solco dell'età evolutiva caratterizzata da apparenza d'autonomia, idealizzazioni e laceranti frustrazioni.
Profondi cambiamenti sono in corso; dal lockdown patito all'odierna socializzazione “sterilizzata”, da nuove responsabilità che si sono imposte nella transizione identitaria adolescenziale, in particolare, ad una dimensione di incertezze sommate tra loro, sempre più ampia, in crescita esponenziale, alle sfide ricorrenti nel riorganizzare la vita quotidiana (aspetti che riguardano anche lo smembramento in diverse sedi della comunità scolastica) ed ai precari ambiti di serenità che si annunciano diuturnamente (dalla disgregazione dei nuclei familiari alle difficoltà economiche, dalla complessa ricerca d'amore e comprensione a figure prossimali inadeguate per
resistente egocentrismo).
Tutto ciò – evidente a chi sta, ogni giorno, nelle “trincee” scolastiche – si è manifestato, come avvinghianti vortici, spirali di angosce, paure, crisi che fanno soccombere anche l'amor proprio con senso di forte ansia e paura che i giovani scolarizzati possono provare di fronte a un pericolo inaspettato interiorizzato in grado di determinare uno stato di confusione ideomotoria, caratterizzata per lo più da comportamenti irrazionali e preoccupante degenerazione fisica e, infine, si è sovrapposta anche la percezione di aver intrapreso strade sbagliate.
Siamo in presenza di una psicosi collettiva che continua ancor oggi? Ancora presto per dirlo, ma la casistica inizia a confortare questa ipotesi. Il trend è inequivocabile: l'eziologia indica che le “informazioni” ricevute negli ultimi anni (rischio epidemico, progetti esistenziali incapsulati nella precarietà, legami “liquidi”, autonomia personale inficiata) hanno fatto breccia nell'intimo provocando allarme interiore e stati alterati di coscienza.
Del resto, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha confermato, in sintonia con i pronunciamenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 30 Gennaio 2020 i primi di casi di Covid-19 nel nostro Paese e a partire dalla prima metà di Marzo 2020 si sono susseguite serie di restrizioni governative volte a limitare la diffusione dei contagi, misure in parte ancora oggi vigenti a livello nazionale. Le limitazioni imposte dal Governo italiano hanno prodotto nell'intera popolazione improvvise, crescenti e intermittenti limitazioni delle libertà individuali e sociali, interrompendo per un tempo indefinito il consueto modo di vivere e stravolgendo la quotidianità di ciascuno. I pensieri e le emozioni prevalenti nella popolazione italiana sono state l'ansia, la tristezza, la paura, la vulnerabilità e infine la resilienza. Vanno, altresì, non sottaciute forme anche estreme di anomia, perdita di senso nel consumare l'esistenza in quelle condizioni.
Ricordiamo che Émile Durkheim, nell'opera La division du travail social (1893), definì anomiche quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà sociale. Il termine anomia, ἀνομία, ricordiamo, è composto da ἀ- privativa e poi νόμος, legge. Ecco, è certamente sostenibile l'idea che la diffusa circostanza di anomia sia il tratto caratterizzante la condizione giovanile durante l'articolata esperienza del distanziamento e della reclusione nelle dimore familiari. Il sociologo francese distinse tra la “solidarietà meccanica” (o istintiva; richiamo ad Aristotele autore della celeberrima definizione dell'uomo quale animale politico, πολιτικὸν ζῷον, politikòn zôon) delle società primitive e la solidarietà organica, cioè consensuale, tipica delle società più evolute.
La situazione anomica – ricordiamo che una situazione di anomia è del tutto abnorme, può prodursi solo in periodi di grave crisi – si verifica quando la rapidità del mutamento sociale non consente alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione normativa i propri componenti o buona parte di essi. Nell'assenza della legge, della regola o dell'ordine – una vera e propria deficienza della legge – la nozione di “anomia” viene ad essere utilizzata per indicare la deregolamentazione sociale, morale, oggettiva e soggettiva in itinere che rimane ancora oggi uno dei concetti più utilizzati in ambito sociologico.
Dal 2020 ad oggi, si è evidentemente verificato un eccesso di normazione restrittiva, quindi un'amplificazione del “controllo sociale”, non solo la percezione di esso, esemplificato dai diuturni provvedimenti governativi. Questi ultimi sono stati prodotti compulsivamente, incessantemente dagli Esecutivi succedutisi, ed hanno generato un'inedita forma di anomia – l'ipernormazione – consistente nella privazione di quell‘autonomia comportamentale e coscienziale che consente a ciascuno di sentirsi parte, di riconoscersi in quanto cittadino e non suddito, d'esercitare il pensiero critico e, quindi, sperimentare la responsabilità delle scelte.
Quando una lesione costituzionale si realizza ed è talmente profonda da delineare un artefatta, per certi versi ingiustificata ed indubbiamente mortificante, inedita riconfigurazione del confine di ciò che viene ad intendersi per “devianza”, si alterano i significati profondi dei legami interpersonali, dei rapporti sociali routinari o in via di consolidamento e/o in corso d'evoluzione, si interrompono processi esperienziali di crescita, si riducono le esistenze personali ad un'unica dimensione, quella biologica. A giudizio di molti, la scissione con la dimensione extragenetica, “artificiale”, socio-culturale della vita dal suo substrato biologico ha compromesso, si auspica non per sempre, per alcune generazioni la stessa idea di socialità, di ricerca del benessere stando insieme agli altri.
Portando a considerare i propri simili solo come fattore di rischio, ed essi stessi giovani portatori di pericolo di morte nei riguardi degli anziani, ha favorito l'installazione della malsana idea secondo la quale unicamente l'uniformità delle condotte sociali, peraltro coercitivamente indotta, restituisca l'integrità dei diritti, non più prodotti della civiltà giuridica e non, bensì concessione pseudodemocratica ottenuta come merce di scambio dimostrando d'accettare la claustrofobica disciplina socio-sanitaria.
Per affrontare in maniera adeguata il problema della “motivazione” ad agire, come problema specificamente etico, è opportuno assumere un punto di partenza ben preciso, diverso da quello che domina gran parte della tradizione filosofica [e psicologica]. Bisogna porre al centro della stessa riflessione sull'agire la dinamica relazionale. Dove “relazione” significa in primo luogo relazione con altro. Anche quando è il sé ad essere coinvolto in un rapporto con se stesso.
In questa prospettiva bisogna poi riconoscere alla struttura stessa della relazione un vero e proprio primato nello sviluppo di ciò che, appunto, chiamiamo «etica». Infatti, quest'ultimo termine indica l'ambito nel quale è riconosciuto all'opera, di volta in volta, un contesto relazionale: quindi l'ambito di ogni agire e di ogni pensare. E non è necessario sottolineare come questi modi di essere siano entrambi espressione e messa in opera di rapporti.
Riguardo al pensare basta far riferimento al termine logos, usato nel mondo greco per indicare non solo l'ambito dell'argomentazione e del discorso, ma anche una dimensione relazionale. Nel caso dell'agire basta tener presente che esso viene qualificato e giudicato proprio muovendo da ciò a cui si relaziona: si tratti ad esempio del suo fine o dell'intenzione che lo guida. Di ciò si occupa l'indagine etica. In quanto disciplina specifica, infatti, l'etica è chiamata in generale a riflettere sulla struttura e sui principi di quell'agire che, in quanto relazionato al «bene», viene definito «buono».
La struttura e i principi in questione sono tali perché concernono un agire che, per potersi proporre ed esplicitare, ha bisogno appunto di rapportarsi ad altro: a ciò che l'azione realizza, al suo stesso attuarsi, alla motivazione che la anima, al contesto in cui essa si viene a compiere, agli altri agenti e alle loro azioni con cui interagisce, al «bene» che la può qualificare, al «bene» a cui può volgersi. In altre parole: l'etica, come etica della e nella relazione, è sempre in e per altri. È etica del e nel plurale [3].
Ecco perché l'esperienza pandemica ha comportato l'anomia precisabile come uno stato di dissonanza cognitiva, una situazione di complessa elaborazione cognitiva in cui le idee, i valori e le credenze di un determinato soggetto o gruppo si trovano in contrasto funzionale tra loro [4].
Giovanni Dursi
[1] Ancora oggi, utile Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, il noto saggio del 1986 del sociologo tedesco Ulrich Beck, pubblicato in italiano da Carocci Editore nel 2000.
[2] Fonte: Voce enciclopedica dell'Istituto Treccani – “L'eugenetica è una disciplina che si prefigge di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell'ereditarietà genetica. Il termine fu coniato nel 1883 da F. Galton. Sostenuta da correnti di ispirazione darwinistica e malthusiana, l'e. si diffuse inizialmente nei paesi anglosassoni e successivamente nella Germania nazista, trasformandosi nella prima metà del 20° sec. in un movimento politico-sociale volto a promuovere la riproduzione dei soggetti socialmente desiderabili (e. positiva) e a prevenire la nascita di soggetti indesiderabili (e. negativa) per mezzo di infanticidio e aborto”.
[3] A. Fabris, Teoretica. Filosofia della relazione, Brescia, Morcelliana, 2010, pp. 84-85.
[4] Leon Festinger, A Theory of Cognitive Dissonance. California, Stanford University Press 1957 (tr. it. Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Franco Angeli, 1973).
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