Supplici la modernità di Euripide. Con Maria Spazzi parliamo di scenografia

Supplici di Euripide regia Serena Sinigaglia

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Parole di duemila e cinquecento anni fa risuonano al Carcano per merito di Serena Sinigaglia e un manipolo di appassionate attrici.

Quelle di Euripide e delle Supplici sono parole ancora attuali, necessarie. Raccontano di guerra, di pace, della vecchiaia, della democrazia, dei giovani. Parlano del tentativo di un'etica che ancora non abbiamo costruito, ossessionati dall'orgoglio e dalla paura.
La regia di Supplici è impeccabile, accompagnata da una scenografia superba. Ma che cosa non è impeccabile in questo gioiello creato da Atir? Sono impeccabili i costumi, impeccabili le luci in grado di esaltare il buio, le ombre, gli umori crepuscolari e luttuosi del testo.

E che testo e che parole.
E ancora la nostra arroganza e ci crediamo più sapiente dei celesti.
Al mondo non esiste una felicità perenne.
Ti invito figlio mio e stare attento al divino.
È l'attento rispetto delle leggi a tenere unite le comunità degli uomini.

Il popolo quando governa si rallegra di avere per sudditi dei giovani cittadini. Ma un re li considera nemici e temendo per il proprio potere sopprime i migliori e quelli che brillano di più per intelligenza. Ma come può essere forte uno stato quando si mietono e falciano i giovani come le spighe di un campo a primavera?
Quando il cittadino è chiamato a votare la guerra, nessuno pensa che la morte toccherà a lui, pensa che riguardi gli altri. Ma se la morte balenasse davanti agli occhi al momento del voto, la Grecia frenetica di guerra non avrebbe mai rischiato la propria rovina. Noi uomini, sappiamo tutti qual è il migliore tra due argomenti, cos'è bene e cos'è male, conosciamo quanto la pace sia migliore della guerra. La prima è amica delle Muse e nemica della Vendetta, si rallegra di una bella prole gioisce della ricchezza. Ma noi, sciocchi, accantoniamo la pace e scegliamo le guerre, assoggettiamo i deboli, l'uomo opprime l'uomo, la città opprime la città.

Queste alcune che delle parole che Euripide consegna alla storia. Il pretesto narrativo è semplice bisogna seppellire i morti. È un dovere morale farlo. Sembra che Euripide voglia dirci che solo in questo modo si possono onorare i vivi. È un testo terribile quello delle Supplici. Lo è perché l'uomo in duemila e cinquecento anni non è cambiato. Ha ancora fame di guerra, è ancora malato degli stessi mali dell'uomo di un tempo.

A ben pensarci le parole di Euripide riempiono di dolore, di sofferenza, proprio perché testimoni che nulla è cambiato e che la storia continua a ripetersi. Forse è proprio per questo che ha deciso di mettere in scena le Supplici per quel suo bisogno di confrontarsi con i fantasmi e gli orrori del tempo. Perché la frase di Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri Serena l'ha fatta propria, e non vuole per sé stessa quel sonno e quei mostri.

Supplici di Euripide regia Serena Sinigaglia
Supplici di Euripide regia Serena Sinigaglia. Foto Brambilla Serrani

Le parole scritte ad Atene in un passato ormai lontano, alla radice della nostra cultura e della nostra storia non hanno perso nulla della loro veemenza.
Serena Sinigaglia ha fatto un vero capolavoro. Non per niente per questo spettacolo nel 2022 le è stato conferito il premio della critica dall'Associazione nazionale dei Critici di Teatro (ANCT). Era da tempo che non vedevo una messa in scena così convincente, in cui ogni elemento sembra trovare la giusta collocazione, il giusto equilibrio. In Supplici si avverte cura, una ricerca profonda, un'attenzione minuziosa ai particolari, alle parole, alle musiche, al cantato ricreato con rigore filologico.
I cori riempiono i volumi e gli spazi del Carcano, trascinano lo spettatore in un'atmosfera onirica, evocativa, che sembra ipnotizzare. Il tutto è giocato su una scena nuda e cruda, costituita da un tumulo di materiali semplici da cui emergono radici e terra. Quel tumulo di volta in volta diventa altare, pulpito, pretesto per esaltare la tridimensionalità della scena e una recitazione che esalta la coralità dell'interpretazione delle attrici di Atir.

A sipario chiuso con Maria Spazzi

Tu lavori spesso con Serena Sinigaglia, firmi da tempo le scenografie dei suoi spettacoli. Del tuo lavoro amo la semplicità e il rigore formale. Come hai lavorato con Serena per raggiungere i risultati delle Supplici?
Come sempre all'inizio Serena mi chiede un confronto, mi chiede aiuto nel definire lo spazio, nel creare un ambiente che potesse in questo caso supportare la potenza delle parole di una tragedia, che comunque non è uno spazio quotidiano. Quindi prima di tutto ho tentato di fare questo artificio con i poveri materiali della scenografia, che sono legno e cartapesta, cioè cose finte. Per riuscire a decontestualizzare dallo stato di realtà in cui giace il palcoscenico che è un pezzo di luogo in cui siamo. Per riuscire a dare la sensazione che si possano dire quelle parole là. Prima di tutto questo, cosa che la scenografia deve fare sempre. È un compito basico. In particolare per Supplici Serena mi chiedeva un luogo che fosse sacro e anche offeso, un posto offeso. Un posto che fu alto ma che poi è stato offeso. Allora avevo immaginato che cos'è che subisce questo profondo tradimento che è raccontato in Supplici. Perché Supplici è la storia di un tradimento, ambiguo, mascherato. Non si capisce bene, perché infatti è mascherato. Ma gli effetti sono manifesti perché c'è il luogo, l'ambiente devastato che poi è il nostro mondo. Quindi c'è un pezzo di terra, un residuo di terra inaridito da tantissimo tempo. Infatti, come sai, la vicenda si apre con l'interruzione di un rito, un rito di aspersione dell'acqua sul suolo. Questo genera una scelta, la scelta di non portare avanti questa aspersione. Le conseguenze sono il luogo che ho cercato di creare, che è come un reperto archeologico di una terra che fu e che ora non è più curata, non è più coltivata.
Poi ho lasciato agire questo protagonista, il protagonista della mancanza dell'acqua. C'è questo rito che non è stato fatto. Se in un mondo manca l'acqua cosa succede al mondo? Quali sono le conseguenze implicite di questo dato materico. Io lavoro con i materiali. È proprio il mio supporto. Quindi mi sono lasciata portare da questo dato semplice. Che cosa resta del mondo se non viene compiuto il rito tratteggiato all'inizio della tragedia? C'è anche un atteggiamento emotivo.

Hai un atteggiamento emotivo verso la tragedia, verso le Supplici?
Verso i materiali.

Che cosa ti affascina del lavoro con i materiali?
Innanzitutto che sono veri e che mi prescindono, che io non posso costruirli sempre. È come lavorare con il mistero della realtà. Infatti cerco di lavorare con materiali veri o almeno raccontare dei materiali veri, terra, legno. Vedrai terra, radici secche e questa sostanza nera e vischiosa. Che è quello che c'è invece dell'acqua, cose semplici. Perché mi piaceva quel materiale, perché i materiali sviluppano conseguenze a priori da quello che posso decidere io. Cerco di seguire le loro relazioni. È più un'osservazione che una invenzione. È un tipo di alchimia.

In parte mi stai parlando del meccanismo della scrittura.
Bravo.

Perché a un certo punto tu segui le parole che hanno una loro vita, una loro necessità, che prescinde molto spesso dall'autore.
Il mio lavoro mi piace molto perché è un'esplorazione. È un'osservazione di quello che accade se tu metti alcuni ingredienti. Quindi sono libera, almeno mi pongo con un atteggiamento libero dal controllo.

Nelle Supplici secondo la lettura che ne dai c'è un tradimento, il tradimento del pianeta.
Alla fine sì. Ed è un tradimento che ha inizio tanti, tanti anni fa, probabilmente all'epoca in cui furono scritte le tragedie. Il dolore che portano le supplici poteva essere gestito in due modi. Alla fine viene gestito nel modo che la tragedia racconterà, ma è una scelta. Questo è un aspetto molto interessante di questo testo.

Nel momento in cui l'uomo accede alla tecnologia inizia a tradire il pianeta?
Lo tradisce nel momento in cui l'uomo smette di gestire il dolore. Smette di gestire il dolore attraverso l'attraversarlo.

Gianfranco Falcone

Teatro Carcano – Milano
dal 14 al 19 febbraio
Supplici
di Euripide
regia di Serena Sinigaglia
traduzione di Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi
drammaturgia a cura di Gabriele Scotti
con Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Debora Zuin
cori a cura di Francesca Della Monica
scene di Maria Spazzi
costumi e attrezzeria di Katarina Vukcevic
luci di Alessandro Verazzi
assistente alla regia Virginia Zini
assistente alle luci Giuliano Almerighi
musiche e sound design di Lorenzo Crippa
movimenti scenici e training fisico a cura di Alessio Maria Romano
assistente al training Simone Tudda
produzione ATIR, Nidodiragno/CMC, Fondazione Teatro Due, Parma
con il sostegno di NEXT ed. 2021/2022
Progetto di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo
in collaborazione con Cinema Teatro Agorà, Cernusco sul Naviglio

 

 

 

 

 

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