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  • Siamo costretti a ricordare nuovamente l’art. 9 dello statuto della Regione Verde d’Europa, l’Abruzzo: «La Regione protegge e valorizza il paesaggio, le bellezze naturali, l'ambiente, la biodiversità e le risorse genetiche autoctone, l'assetto del territorio e il patrimonio rurale e montano, garantendone a tutti la fruizione; fa sì che le fonti di energia, le risorse e i beni naturali siano tutelati e rispettati; promuove l'integrazione dell'uomo nel territorio; […]» [1]. Quegli abruzzesi che lo vollero nello statuto furono sicuramente lungimiranti e magari non si sarebbero aspettato che, negli anni immediatamente successivi, il loro popolo avrebbe dovuto ricordare quelle indicazioni in innumerevoli situazioni di minacce ambientali. A partire dal disastro di Bussi, per continuare con la vittoriosa battaglia contro l’insediamento di Ombrina proprio di fronte la Costa dei Trabocchi, e proseguire con l’attuale irrisolto inquinamento di mare Adriatico e fiumi abruzzesi. È automatico quindi chiedersi se è corretto diffondere un’immagine di questa regione ad impronta green e se gli amministratori sono effettivamente consapevoli della risorsa che il mare e i monti d’Abruzzo rappresentano per la collettività. Oppure se la domanda da porsi è se, quegli stessi amministratori, abbiano invece scelto una valenza esclusivamente commerciale e quindi, più che all’ambiente, si strizza l’occhio al commercio promuovendo il dilagare di centri commerciali. Lo si dica chiaramente quale è la volontà politica e si persegua l’obiettivo in modo da non generare conflitti interpretativi su dove questa Regione vuole andare e su cosa lascerà a chi verrà dopo. Sicuramente l’occasione di esprimersi in modo chiaro sulla vicenda autostradale A 24 ed A 25 arriva a proposito, come poche altre volte è accaduto; per la verità i presupposti dovrebbero essere tali da segnarne il fallimento da subito. In realtà così non è e tenteremo di individuarne i pericoli e le ragioni che potrebbero riproporre una riconsiderazione sulla direzione futura che avrà la strada che l’Abruzzo vorrà percorrere. La storia di quella che è meglio nota come l’Autostrada dei Parchi ha origine subito controversa. Fin dal 1969, anno della realizzazione della tratta Roma L’Aquila, ed anche nei successivi 169 km che ne integreranno la realizzazione nel 1977. Altri 117 km completarono la rete autostradale sotto la gestione ANAS. Le controversie nascevano dalla lotta che intrapresero alcuni amministratori dell’epoca per non essere tagliati fuori da quella rete autostradale. Miravano all’ottenimento di caselli autostradali sul loro territorio affinché ne risultassero incrementati gli sviluppi economici di quelle terre. Una svolta la si ebbe nel 2003 quando, a seguito di gara europea, il gruppo TotoSpA ed Autostrade SpA, subentrarono nella concessione della A 24 e A 25. La nuova società si denominava Autostrada dei Parchi SpA. Solo però il 31 maggio 2011 il gruppo Toto acquisì,con il 98%, il controllo dell’Autostrada dei Parchi SpA [2]. È indubbio che la realizzazione di questa rete autostradale aveva avvicinato le sponde adriatiche a quelle tirreniche in modo utilissimo e, quel viaggio in treno da ricordare per la sua durata e per i panorami che si incontravano, diventò fruibile solo dal piccolo traffico locale per lo più di pendolari, lavoratori tra centri vicini, e studenti. L’A 24 ed A 25 risultavano invece molto utilizzate da compagnie di autobus per l’attività di trasporto di persone tra centri dell’Abruzzo costiero e Roma ed i suoi aeroporti. L’attenzione generale sulla gestione di questa tratta autostradale e le conseguenti polemiche arrivano quasi subito. Avvenne per un grave incidente in cui incorsero il 31 Gennaio del 2005 due autobus delle Ferrovie del Gargano. Si alzarono vibranti proteste e numerose accuse lanciate verso i gestori di quella rete dagli utenti e dalle popolazioni interessate. Iniziò anche un procedimento giudiziario. Quella volta perirono 5 persone e tanto più numerosi furono i feriti. L’incidente vide coinvolti due bus, 3 camion 6 auto e finanche un’auto della polizia. L’accusa era che, malgrado vi fossero stati ripetuti allarmi sul peggiorare delle condizioni atmosferiche e sulla sicura formazione di strati di ghiaccio, non erano state adottate le misure idonee per informare gli utenti o l’utilizzo in misura sufficiente degli adeguati mezzi spargisale. Queste proteste venivano rispolverate puntualmente ad ogni inizio di anno con l’aumentare delle tariffe dei pedaggi. Scendevano in campo puntualmente le associazioni di categoria e sindacati maquesto, non ottenendo alcun riscontro, aveva assunto oramai il sapore di un pro forma; un contentino da dare per almeno non far passare sotto silenzio. Il film veniva riavvolto e riproposto ogni inverno quando, puntualmente, il piano neve per garantire la fruibilità dei tratti durante il cattivo tempo, veniva sempre giudicato insufficiente in tema di spiegamento di uomini e mezzi con l’evidente scopo di evitare risparmi economici. Inoltre, ad ogni inizio anno, con l’aumento dei pedaggi le proteste trovavano rinnovato vigorenella convinzione che non veniva percepito nessun miglioramento dei servizi ed anche in questo caso il film veniva riavvolto pronto per essere riproiettato l’anno successivo. Realtivamente agli aumenti ecco cosa emerse in un documento di Confartigianato, Fiap, Assotir, Fai, Fita e SnaCasartigiani. L’aumento del 2016 è stato del 3,45% in uno dei momenti di recessione più grave del nostro paese.Questiquelli degli ultimi anni: +1,11% nel 2009,+4,78% nel 2010, + 8,14% nel 2011, + 8,06% nel 2012, +7,56% nel 2013, +8,28% nel 2014 e +1,5% nel2015. (3) Attualmente il pedaggio autostradale costa oltre 13 centesimi di euro a chilometro, cosa che lo pone tra i più alti del mercato con servizi per l’utenza mai significativamente migliorati. E veniamo quindi ai giorni d’oggi quando, come evidenziato dall’esposto di due avvocati di Pratola Peligna, Aldo Di Bacco e Giancarlo Santilli [4], siamo in presenza del mancato intervento manutentivo sulle strutture autostradali come dimostrato dalle foto prodotte dai due legali. Con questa iniziativa alla magistratura si chiede se è lecito che accada questo… L’incuria ha prodotto costi di manutenzione adesso alti, troppo alti evidentemente secondo il gruppo che ha la gestione di questa rete, e con ritorno sicuramente poco profittevole per i prossimi 30 anni circa di contratto. Cosa fare allora per rendere remunerativo il tutto. Il privato, senza che questo sia illegittimo per la verità ma sicuramente inusuale per modalità, senza cioè che il pubblico, gli amministratori, insomma senza che chi dovrebbe gestire i bisogni delle comunità ne abbia individuato la necessità, si fa carico di enormi costi progettuali e propone, attraverso una realizzazione faraonicadel costo di oltre 6 miliardi di euro, di sventrare l’Abruzzo a più alta concentrazione di bellezze naturali. Viene proposta la realizzazione di tunnel a doppia canna più corsia di emergenza nel numero di 10 per oltre 40 km , quasi 5 volte il traforo del Gran Sasso, oltre raccordi, caselli e quant’altro necessario alla riduzione di circa 30 km di percorso sulla tratta Roma Pescara.Questi trenta Km sono proprio quelli ad altissima necessità manutentiva. Lunghi viadotti che, l’incuria di chi avrebbe dovuto provvedere, ha reso forse davvero pericolosi per l’utenza. Sempre relativamente al traforo del Gran Sasso, preso a paragone per semplificare la comprensione, è utile ricordare che con la sua realizzazione si abbassò la falda acquifera di 600 metri. Inoltre l’opera prevede la demolizione del tratto Cocullo- Pratola Peligna ( vedi foto Gabriele Boh Vallera) ed il declassamento dei tratti Pratola Peligna-Vittorito ed Aielli Celano- Cocullo [5].
    movimento terra
    Ancora minacce ambientali in Abruzzo: le varianti autostradali A24 e A25
    di Emidio Maria Di Loreto
    3 Settembre 2016

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Reg. Tribunale di Roma n. 478/2010
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