Tassare i profitti delle multinazionali per sanare i bilanci

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A tutti noi è sempre più chiara l'estensione planetaria del Datagate con il suo strascico di invasione profonda nelle vita delle persone attraverso la “collaborazione” di aziende di molti settori non ultimo quello dei social media sul web.
I giganti di internet sono da settimane sotto l'occhio del ciclone per un altro grande buco nero delle loro attività. Stiamo parlando di evasione ed elusione di un ammontare stratosferico di tasse che non sarebbero state versate agli erari di tutto il mondo. I metodi usati sono i più disparati e vanno dalle strutture societarie complesse all'uso di a leggi che favoriscono certi comportamenti fiscali grazie ad attività di lobby in grande stile.

Le parole del consigliere Eric Schmidt, pronunciate a fine 2012, sono assolutamente chiare per capire quanta parte sia legata a legislazioni amiche: «Quello che facciamo non è evadere le tasse: si chiama capitalismo. […] Siamo molto orgogliosi della struttura che abbiamo messo in piedi, basata sugli incentivi che i vari governi ci offrono per operare nelle loro giurisdizioni» [1].
Secondo alcune stime l'evasione totale delle e dei più ricchi ammonterebbe a circa 1.000 miliardi di dollari all'anno. Una cifra che corrisponde a circa 1.000 dollari per ogni famiglia vivente sulla Terra.
Il presidente della Commissione Europea in conclusione al recente vertice si è espresso dicendo che «è una questione di equità: ogni anno l'evasione e l'elusione fiscale rappresentano una perdita di gettito di mille miliardi di euro, pari alla spesa annua per la salute di tutti gli stati membri» [2].
Sono cifre che oltre a rendere ridicole le affermazioni per cui non ci sarebbero disponibilità finanziarie nel per lo sviluppo o per i servizi pubblici essenziali come istruzione pubblica e sanità, evidenziano l'enorme disuguaglianza esistente senza nemmeno uno straccio di giustificazione economica vista la crisi imperante.

In questi giorni Google è sotto accusa per la scarsa contribuzione al monte tasse in Gran Bretagna grazie all'argomentazione che l'azienda ha sede in Irlanda. Nel Regno Unito l'azienda del motore di ricerca più diffuso al mondo ha fatturato 11,5 miliardi di sterline tra il 2006 e il 2011 a fronte dei quali ha pagato tasse per soli 10 milioni equivalente allo 0,09% contro una media delle tasse, nello stesso periodo, per le aziende tra il 26% e il 30%.
Margaret Hodge la presidente della Commissione della Camera dei Comuni che in Gran Bretagna si sta occupando del tema ha spiegato che non si tratta solo di individuare i comportamenti di Google, Starbucks e ma che l' è un problema molto più ampio tra le multinazionali in un contesto economico globalizzato [3].

è accusa dal Senato americano di non aver pagato tasse per l'incredibile cifre di 74 miliardi di dollari attraverso la creazione di due società in Irlanda dove far arrivare una buona fetta dei ricavi perché verrebbe agevolata da un'aliquota del 2%.

I cosiddetti grandi del alla prossima riunione dovrebbero avere come tema da sbrogliare proprio questo dell'evasione delle corporations. A dirlo è David Cameron premier britannico.
Immagino che il tema verrà discusso e come di consueto qualche compromesso al ribasso verrà trovato ma è difficile immaginare una risoluzione equa fino a quando esisteranno aziende di queste dimensioni sempre in grado di trovare soluzioni con ogni mezzo  e che, quando vengono colte con le mani  nel sacco, risultano troppo grandi per fallire.
Come è accaduto per la crisi delle banche dopo la bolla scoppiata negli USA a pagare saranno i soliti noti.
Pasquale Esposito

[1] Lorenzo Longhitano, “Non solo Apple: ecco gli altri furbetti digitali”, www.wired.it, 22 maggio 2013
[2] Valentina Longo, “Una tax policy per le multinazionali, l'ultima frontiera dell'Unione”, www.europaquotidiano.it, 23 maggio 2013
[3] “MPs recommend comprehensive inquiry into Google's ‘unconvincing' tax affairs”, www.guardian.co.uk, 13 giugno 2013

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