
Tempo, Spazio, Essere. Non tempo, Non Spazio, Essere. Perché l’Essere c’è. Nonostante tutto.
La storia della performance, pur essendo relativamente breve è estremamente ampia e variegata. Tanto che il termine performance si potrebbe intendere come una sorta di gigantesco contenitore, in cui far rientrare anche fenomeni abbastanza diversi tra loro. Performance è l’arte che accade.
Partendo da questa premessa, direi che l’Installazione Performativa 4:10 del Teatro in un Metro Quadrato, collettivo costituito da Paola Ponti, Carlo Andreasi, Sara Zamperlin, Giampietro Dalzini, Roberto Bonotto, Andrea Arzenton – detto Ghost, è una performance molto complessa nella sua essenzialità.
Alcuni dei tratti essenziali di 4:10 si possono evincere sia dal modo in cui viene definita: Installazione Performativa; sia dal nome del collettivo stesso che l’ha creata T1MQ. Infatti, la dizione Installazione Performativa, contiene in sé la dimensione installativa del lavoro che, come si evince dal nome: Teatro in un Metro Quadrato, è costitutiva della ricerca artistica del collettivo stesso. Inoltre, come suggerisce sempre il nome del collettivo, 4:10 è una performance legata al teatro. Certo, un teatro che ha ben poco a che vedere con quello tradizionale, dal momento che non richiede necessariamente un pubblico, né tantomeno degli attori professionisti, ma solo quel metro quadrato rivendicato nel nome del gruppo e costituito da una pedana di legno portatile.
4:10 ribalta la prospettiva del teatro tradizionale dal momento che fa del pubblico il protagonista della scena, nonché l’attivatore del lavoro. Per citare gli artisti, 4:10 “propone una ricerca volta alla narrazione dell’IO con attività artistica che si risolve attraverso diversi linguaggi espressivi.” In altre parole, 4:10 attuando questo ribaltamento tra pubblico e artista, costringe inevitabilmente lo spettatore, colto di sorpresa, a porsi l’ineluttabile domanda: “Chi sono e cosa facci Io qui?” Insomma, lo costringe ad una riflessione critica sull’essere e l’esserci.
In particolare, a mio parere, due sono le principali direzioni su cui 4:10 intende focalizzare l’attenzione. L’essere, inteso come lo stare, il presenziare, l’esserci. E il qui ed ora, l’hic et nunc, il momento presente.
L’importanza del momento è messa in evidenza proprio dal titolo della performance: 4:10. Un orario preciso, ma decisamente anomalo, quasi non classificabile. 4:10 rappresenta, come precisato dagli artisti, una sorta di “non tempo”, in bilico tra la notte e il giorno. Nella mia visione, proprio per questo suo collocarsi tra l’inizio e la fine, oppure tra la fine e l’inizio, 4:10 è un orario che, in quest’ottica, si eleva al di sopra della contingenza stessa, per diventare un simbolo dell’esserci. Quindi, più che “non tempo” direi che 4:10 si pone “oltre il tempo”.
4:10 è un progetto aperto, dinamico, in fieri; nato il17 giugno 2018 con l’obiettivo di rappresentare simbolicamente “un’Occasione di Libertà da cui far nascere qualcosa di nuovo”, per usare le parole degli autori. Intento estremamente poetico e profetico, potremmo dire oggi, considerando che solo due anni dopo, nel 2020, siamo stati a lungo privati delle occasioni di libertà. Anche se, penso che lo spazio di libertà a cui si riferiscono gli artisti di 4:10 sia uno spazio per lo più mentale e identitario. Personalmente, lo definirei con le parole di Massimo Fagioli, psichiatra e psicoterapeuta, “La libertà di essere esseri umani” che si ritrova nel profondo e sano rapporto con se stessi e con gli altri.
4:10 è un’installazione dinamica che mette al centro la persona, facendole vivere al massimo un momento e, in quel preciso istante, inducendola a fare i conti con se stessa e con chi le sta di fronte. Non credo all’idea di scissione dell’essere umano, quella perpetrata da Freud, per cui ciascuno di noi dovrebbe nascondere e tenere a bada un certo e pericoloso Mr Hyde. Credo, però, che, in un mondo ricco di stimoli, in cui si è continuamente sovraesposti, sia più che normale proteggere il proprio io interno, giocando con un immagine esterna, sociale o pubblica, che dir si voglia, che sveli, a seconda delle circostanze, molto, poco, ma difficilmente tutto, del proprio essere. In questa direzione mi ha fatto riflettere la distinzione tra Profilo e Identità sviluppata dal collettivo, per cui il primo è piatto e generato da un assemblaggio di convenienza. Mentre, la seconda è tridimensionale, frutto di progressive sedimentazioni.
In occasione dell’episodio romano, presso la galleria Z2o Sara Zanin, il progetto performativo è stato rafforzato dal video documentario della prima volta di 4:10 sull’Altopiano di Bassovizza – Trieste, in cui “Carlo Andreasi e Roberto Bonotto danno luogo alle 4:10 ad un Nuovo Punto Identitario” e da un libro d’artista sempre relativo alla città di Trieste e alla nascita del progetto. Entrambi intitolati 4:10, a testimonianza di come 4:10 sia un’opera complessa, “direzionata a + infinito”, che in ogni episodio presenta qualcosa di nuovo e che si nutre di diversi linguaggi espressivi e svariati riferimenti filosofici. In questa versione romana ne ho notati due in particolare. Da una parte, Marc Augé nella ricerca non solo di un non luogo ma anche di un non tempo. Dall’altra, un pensiero di matrice orientale che mi riporta alle radici della meditazione, in cui l’obiettivo è proprio quello di esserci, qui ed ora.
Mi colpisce e mi piace che in 4:10 l’azzeramento del tempo e dello spazio siano funzionali all’emergere della persona; perché, come dimostrato dalla performance, “al di là della voglia di cose”, per esserci non c’è bisogno di nulla, se non del coraggio di cogliere e vivere le occasioni che la vita ci pone.
Ludovica Palmieri
z2o Sara Zanin Gallery – Roma
21-22 maggio 2022
dalle 18 all’alba
4:10
Teatro in un Metro Quadrato
Paola Ponti, Carlo Andreasi, Sara Zamperlin, Giampietro Dalzini, Roberto Bonotto, Andrea Arzenton
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