Tecnologia nello sport, VAR e polemiche

calcio
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“Non si può chiedere al falco di chiudere un occhio”. La sintesi geniale è di Angelo Carotenuto, e rende benissimo il senso della contesa che sta caratterizzando il calcio, soprattutto in Inghilterra, sul tema dell’utilizzo del VAR.

In un decennio, dalla famosa mano di Henry che a fine 2009 costò all’Irlanda di Trapattoni il Mondiale sudafricano fino a oggi, il calcio è entrato nel futuro. Ci sono stati prima gli arbitri addizionali, poi la Goal Line Technology, poi con l’arrivo di Gianni Infantino alla presidenza della Fifa l’accelerata per la più grande rivoluzione che il pallone abbia vissuto, quella del VAR.
Eppure sono bastati pochi anni e già c’è chi chiede la restaurazione, o almeno la riflessione, magari un passo indietro. Colpa tra l’altro dei fuorigiocodi naso“, come li ha definiti Aleksander Čeferin, presidente di una Uefa che non ha mai digerito del tutto l’introduzione della tecnologia.
Si chiede tolleranza, che un gol non venga annullato dal VAR per un fuorigioco di un centimetro (stranamente però è molto raro che venga fatto l’esempio opposto: un gol buono per un centimetro restituito dal video-replay), che non si stravolga lo spirito del gioco spezzettandone il ritmo e sospendendone le emozioni.

È vero, è comunque una mano umana a posizionare la linea del “guardalinee elettronico” e il software che lo elabora non esclude l’errore al 100%, ma i Var sono già istruiti a cambiare il verdetto del campo solo di fronte all’evidenza e – se di margine di errore si tratta – allora ce lo ha anche la Goal Line Technology, eppure assumiamo per buono il suo responso.
Se un difensore salva sulla linea e il pallone non la supera del tutto – aggiunge Carotenuto – non ci sono voci che si sognano di chiedere il gol” e – cambiando sport – “a nessuno viene in mente di dare del pignolo a Occhio di Falco se al servizio Federer pizzica la riga“. Già, cambiando sport: probabilmente si sta solo scoprendo ora quanto il calcio sia diverso dagli altri e disabituato alla precisione e alle interruzioni, e che sul fuorigioco si riversa un’insofferenza che in realtà avrebbe più diritto di cittadinanza in altre situazioni.

Tornando ad esempio all’Uefa e allo scontro ormai sempre meno nascosto con la Fifa: l’estate scorsa il Liverpool si è aggiudicato la Supercoppa Europea grazie all’ultimo rigore parato dal suo portiere avanzando irregolarmente al momento del tiro. Ma ormai si era scatenata la festa e il VAR non è stato fiscale, una filosofia che piace appunto all’Uefa ma molto meno alla Fifa. Che però le regole – attraverso il diritto di veto nell’International Board – le detta.

Eppure si è andati avanti così: con i legislatori del calcio a fare i “pignoli” e gli organizzatori della competizione più importante (la Champions, e chissà cosa succederà ai prossimi europei), a fare spallucce. Poi ci sono le singole federazioni, i singoli campionati. E c’è ad esempio l’Inghilterra, che se potesse – ormai è chiaro – del VAR farebbe direttamente a meno. L’Italia sta nel mezzo: prova a eseguire gli ordini rigorosamente ma con un percorso che finora è stato molto irregolare, fatto di frenate e accelerate, a volte apparendo in balia degli isterismi degli stessi protagonisti, per non parlare di quelli mediatici e dei tifosi.

Il 2020 sarà però l’anno di una novità importante: la Centrale Var unica a Coverciano, attraverso la quale sarà molto più agevole creare un gruppo di video assistenti coeso e allineato sul livello a cui fissare la famosa “asticella” del “chiaro ed evidente errore“. Aumenteranno nel tempo i “Var pro“, ex arbitri destinati soltanto alle revisioni video, e senz’altro l’uniformità di decisione ne gioverà. Sempre tenendo presente la premessa: il calcio e il suo regolamento non sono il manichino ideale per il vestito del VAR, qualcosa qua e là scapperà sempre e la mano del sarto farà comunque la differenza.

Lorenzo Fontani
Giornalista Sky Sport, esperto di regolamenti e conduttore della rubrica “Regoliamoci”

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