
Come ha scritto The Guardian, forse si è trattata solo di une tempête dans un verre d'eau o di a storm in a teacup (una tempesta in un bicchier d'acqua, ndr) quando si è paventata l'idea che le negoziazioni sulla Brexit sarebbero potute avvenire in francese, ipotesi immediatamente respinta dalla stessa Premier Theresa May alla fine del Consiglio europeo [1]. Ma è la dimostrazione del clima che si inizia a respirare sulle trattative, tempi e contenuti, per l'uscita della Gran Bretagna. Del resto il presidente francese, Francois Hollande, ha detto chiaramente che: «se la premier May vuole una Brexit dura, avrà anche negoziati duri per uscire dall'unione».
Questo Consiglio non prevedeva discussioni sull'argomento, ma inevitabilmente ha avuto molti momenti di confronto a margine dei temi in agenda. Prima degli incontri secondo una fonte citata dal Guardian riportava che «May vorrebbe che il risultato finale dei negoziati sulla Brexit fosse un Regno Unito forte come partner di un'Europa forte. La premier non vuole che l'uscita della Gran Bretagna vada a discapito degli altri Stati europei» [2].
Credo che alla fine dei giochi il risultato, al di là del clima e degli screzi tra forti personalità, gli interessi dei poteri economici e politici finiranno per convergere con buona pace dei contraccolpi per i cittadini. Altro discorso è quello di di un possibile inizio della disgregazione dell'Europa.
Il negoziato ufficiale potrà partire, come il resto dell'Europa chiede, solo dopo la ricezione della notifica di richiesta di uscita dalla Ue in base all'art.50. Gli inglesi a loro volta hanno chiarito che non ci sarà un altro referendum e che la notifica sarà presentata il prossimo marzo. Nonostante questi tempi lunghi la premier si auspica un'uscita semplice e con ottimi rapporti di libero mercato con l'Unione Europea.
Secondo James Sullivan, direttore e gestore di fondi senior presso Coram Asset Management se l'uscita «sarà senza forti traumi, “è nostra convinzione che la Brexit sarà l'inizio della fine dell'Unione europea e della moneta unica”. L'uscita del Regno Unito dall'Ue rischia di essere solo il primo passo verso la disgregazione dell'Unione Europea». La sua tesi è la conseguenza della diffusione in Europa di forze indipendentiste che andrebbero nella direzione dell'uscita e nel caso di Marine Le Pen, candidata alle presidenziali in Francia, che ha già chiesto un referendum [3].
Va fatto salvo il caso della Scozia, dove la Brexit ha spinto a il governo scozzese, guidato dai nazionalisti dello Scottish National Party, ha pubblicare una proposta di legge per indirne un secondo referendum sull'indipendenza scozzese dopo quello perso del 2014 [4].
Ma se si vuole evitare il disgregamento sicuramente l'Europa non potrà concedere aperture a Londra e la scelta del negoziatore nella persona dell'ex Commissario francese Michel Barnier non è felice per la Gran Bretagna. E così non si capisce perché mai Bruxelles debba andare incontro, per esempio, sul tema degli accordi commerciali che premono per la loro importanza nell'export britannico. E poi «le richieste inglesi sugli accordi di libero mercato, invece, potrebbero scontrarsi con dati di fatto legislativi: come si farà a garantire l'accesso totale ed incondizionato di merci e servizi del Regno Unito all'interno del mercato di libero scambio europeo se il Regno Unito non farà più parte dell'Unione? Un prodotto inglese per arrivare a Roma, Parigi, Bruxelles, Atene dovrà passare dalla dogana, avere certificati di origine e di conformità, passare attraverso controlli che non sono quelli in vigore tra gli altri 27» [5].
Intanto la Brexit alcuni effetti negativi li sta producendo ma non sono quelli catastrofici di alcuni analisti immediatamente prima e dopo il referendum.
Lo scorso settembre la Camera di commercio britannica (Bcc) aveva rivisto le stime di crescita del Pil del Regno Unito: per il 2016 dal 2,2% all'1,8%, per il 2017 dal 2,3% all'1% e nel 2018 dal 2,4% all'1,8%. Le incertezze sui tempi e quindi sui contenuti allenteranno gli investimenti e nel frattempo la sterlina ha perso terreno contro l'euro, il dollaro e contro lo yen. Se questo aiuta le esportazioni britanniche non basta alla crescita perché un aumento dell'inflazione rallenta i consumi delle famiglie.
Invece, secondo l'ONS (Ufficio Nazionale di Statistica) e l'ILO (International Labour Organization), sul fronte disoccupazione la Gran Bretagna ha avuto un tasso al 4,9% tra giugno e agosto, in sostanza stabile rispetto al trimestre precedente. Il tasso di occupazione è il più alto dal 1971 e cioè del 74,5%.
Non è detto che vada così nei prossimi mesi perché, ad esempio la società britannica Travis Perkins, numero uno nel Regno Unito nella fornitura di materiali edili, ha annunciato una drastica riduzione di posti di lavoro, «fornendo come motivazione proprio la congiuntura economica innescata dal voto del 23 giugno e l'incertezza sull'esito dei negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea» [5].
Pasquale Esposito
[1] Jennifer Rankin, “Theresa May says Brexit negotiations will not be carried out in French”, https://www.theguardian.com/politics/2016/oct/21/theresa-may-brexit-negotiations-language-french, 21 ottobre 2016
[2] “Hollande scalda il Consiglio Ue: «Brexit dura? Trattativa dura». E Renzi: «Ue preoccupa il mondo»”, http://www.repubblica.it/economia/2016/10/20/news/consiglio_europeo_brexit_renzi_migranti_commercio_russia-150212314/, 20 ottobre 2016
[3] Mariangela Tessa, “Brexit: «Primo passo verso disgregazione europea»”, http://www.wallstreetitalia.com/brexit-primo-passo-verso-disgregazione-europea/, 20 ottobre 2016
[4] Leonardo Clausi “La Brexit rilancia l'indipendenza, la Scozia presenta una legge”, , 21 ottobre 2016
[5] Faro Maltese, “Valanga Brexit su Londra: ora crolla pure Travis Perkins”, https://web.archive.org/web/20161020154857/http://www.trend-online.com/prp/brexit-travis-conti/, 19 ottobre 2016
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