
Teresa Sapey, detta “la vulcanica” (per la sua iperattività creativa), è un'Architetta italiana, torinese, con un affermato Studio di portata internazionale in Spagna. Madrid.
Laureata in Architettura al Politecnico di Torino, quindi in Belle Arti alla Parson School of design di Parigi. Poi altri Master in Italia e Francia, per approdare alla fine in Spagna. Perché non in Italia?
Ciò detto, riprendo la mia personale ricerca sulla coincidenza possibile tra Arte e Architettura, da qualsiasi parte provenga. Si tratta di due ambiti culturali ancora vissuti in autonomia.
Questa volta cercando di guardare oltre il visibile nell'Arte e nell'Architettura di Teresa Sapey.
L'Arte deve conquistare spazio e l'Architettura deve far entrare l'Arte dentro i suoi spazi, fino ad espandersi ancor più essa stessa, in senso urbanistico sufficiente. E alla fine diventare Arte totale. Con un processo che sembra avere origine dall'Arte, perché ambito più esteso, vario, più flessibile, non specializzato. Ma che dall'Architettura potrebbe ricevere, all'inverso, nuova linfa.
L'attenzione si focalizza, ancora una volta, su un'Artista/Architetta Donna, che dimostra, con forza tipicamente femminile, l'assunto della sintesi possibile tra Arte ed Architettura, soprattutto grazie ad alcuni speciali parametri, ideali e strumentali al tempo stesso, antichi e moderni, utilizzati con spirito nuovo. Tra questi i colori, la creatività senza preconcetti, la semplicità, la curiosità. L'emozione come filo conduttore sinergico primo e ultimo. In una parola Teresa Sapey.
Evocatrice del latente e risorgente spirito femminile. In tutto.

La Donna sta sempre più uscendo dal buio di inferni paralleli del passato e da un presente ancora incerto. Non solo per effetto del suo spirito di rivalsa, quindi solo per pareggiare, quanto per esprimere qualcosa di più e di originale, grazie alla sua maggiore sensibilità di genere. In una diversità che moltiplica gli effetti, piuttosto che separare secondo ingiuste gerarchie verticali.
D'altra parte il maschilismo appare oggi esausto. La supremazia logora questa volta chi la ha esercitata da troppo tempo, cioè da sempre. Non un ricambio, ma un affiancamento vivificatore.
In Teresa Sapey notiamo subito che la voglia di Arte è più forte di quella di Architettura. Istinto femminile spontaneo? L'Architettura diventa una conseguente espansione naturale, inevitabile. È la contraddizione di un processo generale proveniente dal lobo logico-razionale, ma prodotto, in particolare, dall'opposto lobo emozionale. E viceversa. La Donna ne è particolarmente dotata.
O il contrario da Architettura ad Arte? Non credo. Sarebbe come tornare indietro, nel mondo dove l'Architettura detta regole imposte al resto (maschilismo) e l'Arte resta in una nicchia ibrida.
Del resto non è più tempo di distinzioni classificatorie improduttive. Nel contemporaneo il nuovo obiettivo è quello della unificazione coerente, attenuando le divaricazioni culturalmente divergenti. Ed è questo quello che propone Teresa Sapey.
È ciò che la stessa Teresa afferma “… io volevo essere Artista e poi ho deciso di fare l'Architetto per comodità… Insomma, l'A di amore unisce Arte e Architettura in “Armonia“…
Un'affermazione che non può che essere di una Donna.

Teresa Sapey insegna alla Universidad Camilo José Cela di Madrid in uno specifico laboratorio di ricerca artistica, con riflessi immediati nel design, potremmo dire totale. E non poteva essere diversamente: Arte con scatti successivi di qualità a salire, dagli oggetti minuti e mobili, fino all'Architettura fissa (non rigida), come design emozionale ed emozionante sempre più in grande. Senza precisi limiti di proporzione. Con dinamicità reale e ideale al tempo stesso.
D'altra parte design, nella sua accezione più generale ed astratta, è inteso come il contenuto primordiale delle cose, l'archetipo innato, che sta sotto/sopra e dentro/fuori rispetto a tutto. Il supporto dell'inconscio è indipendente dall'oggetto ristretto o esteso. In tutti i casi è oltre la funzione pratica. È sintesi massima tra struttura mentale profonda e strumento tangibile.
Sembra così di entrare dentro ambiti più reconditi. Tipo quello dello psico-design, che significa, in modo assai più specifico, fusione tra arte, psicologia e design. Che si esplicita soprattutto attraverso il misterioso linguaggio dei colori. Probabilmente non è questo il personale percorso di Teresa Sapey, ma il paragone sembra adatto a spiegare il passaggio psicologico che Teresa Sapey compie, quando partendo dal mondo dei colori, come imprimatur, arriva al design, come sintesi costrutto progettuale. Alla fine diventando un ciclo chiuso, ma ripetibile. Anche al contrario.
I colori per Teresa Sapey diventano, così, più che uno strumento, un vero e proprio mondo espressivo. La stessa Teresa dice: il “colore è materia”, e continua “è vita, come la luce”. Direi che per lei è anche una forza, vivificata dall'emozione. Di certo non semplice decorazione.
Emozioni e colori sono i sensori massimi del cuore. Nella cassetta dei suoi strumenti di fantasia i colori, sono scivoli anti-attrito, all'interno di un ciclo scorrevole ed impalpabile.

Il colore diventa espediente necessario nei suoi progetti di architettura degli interni, che, però, in lei sembra che diventino immediatamente esterni. Cioè Architettura estrusa.
Possiamo anche pensare ad un salto dell'Arte introitata, lanciata fuori fino all'Architettura. Un arredamento dilatato fuori scala. I risultati, comunque considerati, rispettivamente diventano composizioni singole, autonome. A scalare inverso.
L'Artista/Architetto uomo è, viceversa, più deciso, sia nei confronti dell'Arte che dell'Architettura, a differenza della Donna per la quale il transito è più naturale. L'uomo tende più decisamente all'aspetto costruttivo. Sente di più soprattutto il presente attualizzato. Abituato all'azione, piuttosto che alla manipolazione astratta delle emozioni nette, ancestrali.
L'Architettura per Teresa Sapey sembra, invece, un procedimento creativo più introitato, più lungo, con movimento light, che si concretizza nella idea materia e, quindi, nella materia bruta. Prima l'atto creativo fantasioso, poi la sua lenta-immediata materializzazione, che, comunque, non sfugge alla sua idea astratta primaria. Trattenuta (meditata/sentita), poi lanciata in avanti. I colori di Teresa Sapey hanno questo compito. Sono dinamici, corrono, o insegnano a muovere.
Potremmo dire che l'Architettura di Teresa Sapey è un atto superlativo di creatività in progress senza stalli, al livello iper-emozionale costante. Che gira, avanti e/o indietro, rispetto all'idea originaria. Con un sensibilità poi alla fine totalizzante, quando si trasferisce, in particolare all'Architettura. Che per questo diventa atto unico finale. Che è pronto a ripetersi.
Teresa Sapey si è distinta per una speciale attenzione per l'Architettura dei Non luoghi. I Parcheggi, le passerelle, gli spazi funzionali interni, alcune piazze anonime, quando utilizzate solo come cerniere di traffico o altro di strettamente funzionale. È stata denominata da Jean Nouvel “Madame parking”, in particolare grazie al suo suggestivo progetto del parcheggio dell‘Hotel Puerta de America a Madrid. Dove i colori trasformano in primario un luogo secondario.
Anche

ha avuto una iniziale tendenza verso l'Arte (pittura), alla fine propendendo per l'Architettura, pur rimanendo fedele all'idea che l'Architettura è “Arte visiva, e produzione di immagini“. Per cui il suo giudizio nei confronti Teresa Sapey è pertinente.
Il contenuto massimo del contesto artistico/architettonico di Teresa Sapey è per intero custodito dentro la scatola misteriosa e simbolica del suo Studio, aperto nel 1990 a Madrid – TS Studio. All'interno di questo scrigno è conservato tutto il senso delle sue manifestazioni. Il tema leggibile dall'esterno è movimento emozionale, come nastro trasportatore dinamico dell'intero mondo di Teresa Sapey.
Vi opera un Gruppo multidisciplinare affine al suo modo di pensare e sentire. Mosso da una uniforme e speciale curiosità, che è la molla di tutto, ispiratrice profonda dell'Arte stessa. Sia pure riportata a progetti e fatti materiali, come idee che devono essere inevitabilmente trasportate nel concreto. Anche qui “per comodità”, parafrasando analoghe dichiarazioni di Teresa Sapey.
Nel progetto del più celebrato parcheggio (parcheggio dell‘Hotel Puerta de America a Madrid), i colori vincono il grigio del nonluogo insignificante. Non occorrono più i soliti segnali tecnici di movimento delle Auto parcheggiate, perché sostituiti dai colori, che trasformano l'insieme delle cose, dando la sensazione che sono i colori stessi a muovere tutto, le Auto, e non i loro motori.
Sulle pareti perimetrali, sui pavimenti, e i soffitti, i colori vivaci rompono la funzionalità astratta degli spazi squadrati pilastrati, anonimi. Che idealmente si trasformano in altro da loro.
Immagino per assurdo che possa trattarsi di uno strano bar per Auto, dove sono le stesse Auto a sorseggiare l'aperitivo. Le persone diventano estranee a questo gioco, trasformandosi esse stesse in mezzi meccanici, muovendosi tra un'Auto e l'altra. Saranno poi catturati dalla luce vivace dei colori, e accompagnati fuori automaticamente dal simbolismo dinamico dei colori.

Anche nelle hall degli Alberghi, e nei loro spazi cosiddetti funzionali, i colori assumono un analogo effetto, addirittura più stravagante. Diverso da quanto succede comunemente negli abituali Alberghi. Le persone sono trasportate in spazialità trasposte dai colori ed arredamento interno. L'Albergo diventa viaggio, esaurito sensazioni ribaltate, portandoci lontano, dive volevamo.
Tutto avviene dentro, volando insieme alle scie dei colori della fantasia estrema. Sostare alle Stations dei loro simboli e ripartire. Senza uscire.
Alcune forme sono intrinseche ai colori, inscrivendosi in fantasiose sagome, che scambiano effetti visivi, con idee e parole. Come succede, per analogia lontana, nella cosiddetta poesia grafica contemporanea, quando le parole e i versi assumono ordini grafici stabiliti dalla mente, originando un misto di nuova forma visiva poetica complessa. Il testo diventa immagine.
Non esistono colori preferiti per Teresa Sapey, perché sono frutto di emozioni e di particolari momenti. Entra in ballo il tempo della casualità fantasiosa, ulteriore strumento a disposizione per modulare le emozioni. Aumenta in altro modo il senso della dinamicità.
Eppure tutto questo è all'insegna della estrema semplicità, fondamento base dentro lo stile di Teresa Sapey.

Guardando più attentamente le immagini del parcheggio dell‘Hotel Puerta de America a Madrid, ho provato alcune mie personali sensazioni, che vorrei provare ad esprimere, anche con il rischio di travisare. Quando Teresa Sapey parla di colori come “materia” un immaginario ed assurdo scambio metafisico tra gli involucri reali e i colori che li avvolgono. Quest'ultimi mi sembra diventino i veri elementi cementificati, mentre gli originari e veri elementi edilizi, a loro volta, si trasformano in evanescenze immateriali, come decorazioni postume, ribaltate. Invertendo.
Conclude Teresa Sapey: «Condivido con d'Annunzio l'intuizione che la vita possa essere solo vissuta tragicamente e che quindi anche professionalmente sia necessario far vibrare ed emozionare.…., e poi sorprendere come faccio io con i parcheggi che ho realizzato. Non ti aspetteresti mai di scoprire del vero design in questi luoghi residuali e lugubri».
Eustacchio Franco Antonucci
Per le foto si ringrazia lo Studio di Teresa Sapey. La foto di copertina è di Lupe de la Vallina
Bibliografia navigante
TS studio Teresa Sapey – teresasapey.com
Fabrizio Meris e Gloria Maria Cappelletti, Teresa Sapey “Il colore è materia”, http://www.grazia.it/casa/design/teresa-sapey-il-colore-e-materia, 12 aprile 2012
Luigi Prestinenza Puglisi, Teresa Sapey – tutte le volte che ne abbiamo parlato, http://www.artribune.com/tag/teresa-sapey/, 10 ottobre 2017
Ernestina Rossotto, http://www.psico-design.com/
Emanuela Pulvirenti, Se il testo diventa immagine, http://www.didatticarte.it/Blog/?p=2336, 16 marzo 2014
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