
Con queste parole il nuovo allenatore dell’Italia Mr. Conor O’ Shea ha congedato la stampa alla fine dell’incontro con Tonga, l’ultimo della triade dei test match di Novembre.
Probabilmente, se il nostro XV avesse portato a casa la vittoria ci sarebbero stati saluti di altro tenore e tutt’altro entusiasmo, a conferma del fatto che quella con i tongani era una partita alla nostra portata (19 a 17 per i polinesiani).
La saga autunnale era iniziata all’Olimpico di Roma sfidando il feticcio dei tutti neri All Blacks, un test match capace di togliere il sonno ad allenatori e staff tecnico nella (vana) speranza di portare a casa un risultato decente. Ed invece alla fine è stato un 68 a 10 che ha riportato l’Italia indietro negli anni, quando gli azzurri (che temerari) davano le spalle all’ Haka stretti in cerchio in un Flaminio gremito, incassando più o meno lo stesso risultato di quest’anno o quando, più recentemente, a San Siro nel 2009, furono sconfitti con soli 14 punti di scarto. Una “petite mort” a confronto.
A Roma invece si è assistito ad un match scialbo, azzurro pallido, compensato da un nero fondente che ha offerto al pubblico un grande spettacolo di rugby. Per cultura ovale il pubblico del rugby apprezza questa grande bellezza che ha permesso all’esordio casalingo di O’ Shea di testare la pazienza dei tifosi ovali, come al solito, commoventi per i grandi applausi nonostante la distanza siderale dal rugby al top.
Archiviati gli All Blacks, il gruppo azzurro si è messo al lavoro per affrontare quella che si è poi rivelata essere la preda programmata del tris di Novembre, ossia l’antilope zoppa degli Springboks, il Sudafrica, ultimamente in crisi e che era reduce da una sconfitta a Twickenham contro l’Inghilterra una settimana prima di incontrare gli azzurri.
Abbiamo appreso dalla stampa specializzata di un incontro estivo tête-à-tête tra il nostro coach irlandese ed il capitano Parisse in un caffè parigino che ci piace immaginare avvolto in una coltre fumosa intrisa di voluttà cospiratoria.
Fatto sta che il colpaccio riesce a pieno, in una Firenze che alla fine degli 80′ sul green godrà della prima vittoria di una nazionale azzurra contro una delle maggiori potenze rugbystiche dell’emisfero sud.
Una battaglia convincente, per piano di gioco ma soprattutto per lucidità e tenuta mentale dei nostri che hanno mantenuto evidentemente ben piantato in testa il mantra della vittoria possibile, tant’è che si è avverata poi con un bel 20 a 18 per noi.
Dopo tanta gloria ovviamente tutti di corsa a pensare alla successiva e possibile doppietta di caratura internazionale, in un clima di danza propiziatoria in attesa di Tonga in quel di Padova, avversario (attualmente) sotto di noi nel rancking e quindi alla nostra portata.
Peccato che la partita è stata gestita con una tensione mentale diversa rispetto al precedente match. L’Italia non ha chiuso i giochi quando poteva prendere il largo nel punteggio, concedendo via via il ritorno in partita degli avversari.
Ma è stata anche brava a riprendere il filo della gara andando in meta dopo un cambio di mediana che ha portato un po di frizzante in campo. Peccato per un calcio di punizione a circa due minuti dalla fine: del possibile bis è rimasto solo il bell’acuto fiorentino.
Come non condividere il pensiero finale di Conor O’ Shea, il viaggio del suo gruppo è solo all’inizio e sarà lungo e difficile. Siamo certi che Conor da bambino deve aver sentito in Irlanda quel proverbio che più o meno con altre parole diceva: “ Una antilope non fa primavera”.
Appuntamento quindi per Domenica 5 Febbraio 2017 all’Olimpio per l’esordio nel Sei Nazioni con le nuove regole dei punti bonus: iniziamo subito con i dragoni gallesi di Mr. Warren Garland.
In attesa che un po’ di caldo scaldi i nostri cuori, nelle brume dell’inverno del nostro scontento.
Zobi La Touche
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