
Con una certa dose di incosciente interesse, ho deciso – cogliendo l'occasione offerta dall'Asian Film Festival di Roma [1] – di approcciare l'ultimo film del 2022 di Daniel Palacio, The Monkey and the Turtle. Anche se nel frattempo sembra si stia approssimando l'uscita di un altro suo lungometraggio [2], si tratta – ad oggi – della fatica più recente del cineasta filippino presentata agli spettatori europei.
Le note di presentazione dell'opera recitavano genericamente e sinteticamente come il film raccontasse di una competizione politica che diventa «terreno di confronto in cui non sempre chi ha i migliori ideali riesce ad ottenere ciò che merita». Un po' poco per essere attratti irresistibilmente ma abbastanza per provare curiosità.
Daniel Palacio è nato nel 1979; racconta storie di vita del suo paese, le Filippine, e si sta accreditando progressivamente – in questi ultimi anni – tra i talenti emergenti del cinema asiatico. Non che sia facile vedere i suoi film – né in sala, né sulle piattaforme, Festival a parte – o che sia così popolare nel web; eppure, il suo nome comincia ad avere una certa notorietà. Presentato come allievo del connazionale Brillante Mendoza al Festival di San Sebastian, nel 2017 [3], Palacio – che aveva già prodotto due cortometraggi – ha esordito con una storia sociale tra documentario e finzione: Pailalin/Undeground il titolo del film, nel quale si racconta la misera vita di una famiglia senzatetto che vive in un cimitero, come ahimè succede – incredibilmente ma drammaticamente – in diverse parti del mondo. A questo primo lavoro hanno fatto seguito The Brokers – nel 2021 – ed il lungometraggio (piuttosto disturbante, per la verità) dal titolo Kaliwaan, del 2022.
Con The Monkey and the Turtle Palacio evoca una storia popolare filippina, resa celeberrima dalla versione che Jose Rizal – un vero e proprio “padre della patria” – pubblicò in inglese nel luglio del 1889 [4]. I due animali protagonisti, in questo caso, sono assunti a metafora del rapporto tra i prepotenti che si credono astuti (la scimmia) – simbolo del potere corrotto – e gli arguti (la tartaruga), che riescono rimanere integri ed a cavarsi dalle situazioni difficili grazie alla propria arguzia. Anche se non sarà proprio così, in questa storia di politica locale corrotta, non priva di assonanze con le storie di corruzione e malavita presenti ad ogni latitudine, anche in casa nostra.
Tutto si svolge in vista di una competizione elettorale – in una cittadina di provincia, Catatagan – per l'elezione del sindaco. Un giovane idealista, interpretato dal premiato James Blanco, prova ad organizzare qualcosa per venire incontro alle esigenze dei pescatori e delle comunità locali, ma sarà presto vittima delle attenzioni interessate della competitor favorita, una donna di ghiaccio, moglie del precedente sindaco e – come lui – espressione del potere malavitoso che controlla senza scrupoli persone e territorio. In un piccolo centro, tutti si conoscono e si fa strada la possibilità che questa volta davvero la tartaruga possa sconfiggere la scimmia. L'anziano conduttore di una radio locale contribuirà da par suo a rappresentare fedelmente gli sfidanti, intervistandoli senza piaggeria e scatenando la furia cieca del potere mafioso. Tra paesaggi per noi esotici e sequenze quasi documentarie, assistiamo ad un continuo apparire e sparire di mazzette di banconote variopinte, alla materializzazione di poliziotti fiancheggiatori dei malavitosi e alla chiusura stringente del cerchio della violenza sulle speranze di mutare la realtà. Ideali, tradimento e violenza segnano questo film, amaro eppure testimone della necessità di non cedere all'intimidazione, alla sopraffazione e alla brutalità. È il ritratto difficile di un paese – le Filippine – che sembra avere riavvolto il canovaccio della storia ed essere ritornato là dove sembrava invece avere imboccato la strada del cambiamento.
Su questi argomenti, ho rivolto alcune domande a Daniel Palacio.
Grazie Mr. Palacio per questa conversazione. In Italia ed in Europa il suo nome inizia ad essere conosciuto grazie ai Festival, ma in pochi hanno avuto occasione di vedere i suoi lavori precedenti, assai difficili da reperire anche sulle piattaforme specializzate. Lei viene accreditato come un nome emergente del cinema filippino ed è stato apprezzato al recente Festival di Roma, dove il suo film è stato premiato per la performance di James Blanco. Le chiedo aiuto: che cosa consiglierebbe di vedere ad uno spettatore italiano – oltre ai suoi film, ovviamente, e sempre che si tratti di film reperibili – per approcciare il cinema del suo paese?
I film di Lino Brocka e Brillante Mendoza sarebbero i migliori da guardare, sono espressione di un cinema ancorato alla realtà e che affronta i problemi attuali del paese.
Come ha iniziato ad occuparsi e a fare cinema? Qual è stata la sua “epifania” nei confronti del grande schermo?
Il cinema ha iniziato ad ispirarmi da quando avevo cinque anni, quando mio padre mi portava al cinema. Si assicurava che seguissi la storia, spiegandomi ciò che non capivo, sussurrandomi all'orecchio mentre guardavamo il film. Da lì, la mia passione per i film è cresciuta e le mie capacità di narrazione si sono sviluppate mentre realizzavo storie illustrate su carta. Non ho mai frequentato una scuola di cinema formale, ma la mia sete di imparare il cinema era così forte che ho appreso il montaggio, la cinematografia e la regia da autodidatta, attraverso libri e video online. La mia grande occasione è arrivata quando sono entrato a far parte della squadra di Brillante Mendoza e Armando Lao: sono loro che mi hanno dato l'opportunità di sviluppare maggiormente le mie competenze.
The Monkey and the Turtle ruba il titolo ad una celebre storia popolare delle Filippine – simile alle fiabe di animali di Esopo ben conosciute in Europa– da cui il proverbio «La scimmia può essere intelligente, ma può ancora essere ingannata», che compare tal quale in un passaggio del film. Se ho ben capito, la scimmia è il potere corrotto, dal quale – anche se purtroppo spesso si soccombe ad esso – si può comunque provare a sfuggire o a fare in modo che non ci porti via l'anima. Ho capito bene?
È proprio così. Provo a raccontare anche come l'avidità e la corruzione abbiano avvolto la società, spingendo persino – talvolta – le stesse tartarughe ad evolversi in scimmie. Quanto vorremmo tutti quanti che il proverbio potesse essere ancora una possibilità nel nostro tempo.
Il suo film – che mi è sembrato avere anche un taglio documentaristico – racconta una storia di politica locale e di brutale corruzione, con passaggi drammatici e personaggi molto credibili. Quanto e cosa c'è dell'attualità politica del suo paese nelle situazioni che descrive? Dalle notizie – assai saltuarie – che sono riportate dai (distratti) media italiani, sembra infatti che le Filippine non intendano voltare pagina. Anzi, hanno richiamato al potere la famiglia Marcos, alleata con i Duterte.
I politici sono superstar nelle Filippine. Il modo più veloce per guadagnare molto è in politica. La corruzione è stata normalizzata, il che è terrificante perché viene accettata come uno stile di vita. Verresti etichettato come un pazzo se dopo una carriera politica non diventassi ricco. Chi vorrebbe essere chiamato sciocco?
In questi ultimi anni abbiamo assistito un po' dovunque – anche in Europa e qui in Italia – alla affermazione di forze politiche che vengono genericamente qualificate “populiste”. Secondo lei esiste una cura (o più di una) per questa seria malattia delle democrazie che è il populismo?
Quando il divario tra poveri e ricchi è così ampio, specialmente nei paesi del terzo mondo, è quasi impossibile curare questa malattia. È stata per anni la retorica di tutti i politici, dai capi delle piccole città al presidente del paese e per loro ha funzionato perfettamente. Senza un'adeguata istruzione, lavoro, stabilità economica, il populismo non potrà mai essere eliminato. Temo anzi che peggiorerà sempre di più, come accade attualmente con i filippini più giovani che dimenticano la loro storia. Possiamo solo continuare a sperare.
C'è spazio per gli individui onesti in una società corrotta? E se c'è, è solo lo spazio della testimonianza destinata a soccombere? Sono queste le domande che mi sono posto alla fine della visione del suo film. Le risposte, ahimè, non mi sembrano ottimiste.
Oggi è molto pericoloso giocare alla tartaruga nel nostro paese, dove un semplice post di contenuto politico sui social media può far crescere le ali ai diavoli. Ci sono alcuni, però, che emergono come persone integre, dai buoni principi. Avranno bisogno di un grande aiuto e noi siamo lì per supportarli, con i nostri film e le nostre voci che lottano per farsi sentire.
La comunità filippina in Italia – una delle prime comunità immigrate, fin dall'inizio degli anni '70 – è al sesto posto per numerosità: più di 150mila persone. Si tratta di comunità abbastanza integrate ma ancora piuttosto gelose della propria identità e delle proprie tradizioni. Con saldi legami nel paese di origine. Che messaggio vorrebbe portare – se ritiene di doverne portare uno– ai suoi connazionali in Italia?
Dobbiamo restare saldi alle nostre radici. Non dobbiamo mai perdere la nostra identità, quello che ci caratterizza. Il nostro paese è bello grazie alla sua gente. Siamo stati colonizzati diverse volte, ma noi filippini siamo ancora qui, vivi e orgogliosi.
Paolo Sassi
The Monkey and the Turtle
Titolo originale: Ang Matsing at ang Pagong
Lingua originale: filippino
Sottotitoli: inglese
Paese di produzione: Canada
Anno: 2022
Durata: 111 min
Regia: Daniel R. Palacio
Sceneggiatura: Daniel R. Palacio e Armando “Bing” Lao
Fotografia: Jeffrey Icawate e Jerel Claveria Travezonda
Montaggio: Armando “Bing” Lao
Musiche: Gian Gianan
Scenografia: Ryan Faustino
Costumi, acconciatura e trucco: Ruffa Zuueta
Suono: Chuck Durana
Produzione: M1 Films
Interpreti principali
James Blanco: Vice Mayor Manuel Palma
Jana Victoria: Wilam Palma
Ryan Sandoval: Alvin Sandoval
Cataleya Surio: Cathy
Luo Veloso: Tatay Rudy
Raquel Villavicencio: Mayor Susan Buenaflor
Dido dela Paz: Victor Buenaflor
Peewee O'Hara: Clara
Jun Nayra: Goon Leader
Lito Capina: James
Rich Beatrice Myla Martin: prostitute
Savannah Jazz Palacio: Ava Palma
Kiel Ravev Icawat: Kiel Palma
[1] La ventesima edizione del Festival si è svolta a Roma dal 30 marzo al 5 aprile 2023. Cfr. https://www.asianfilmfestival.info/. Il film di Palacio ha ottenuto il riconoscimento per l'interpretazione di James Blanco come miglior attore.
[2] Notizie sull'uscita di un nuovo film dal titolo Hugot; https://www.imdb.com/title/tt27566294/?ref_=fn_al_tt_2.
[3] Cfr. https://www.sansebastianfestival.com/2017/sections_and_films/new_directors/7/653449/in. Una interessante intervista su questo primo lavoro di Palacio su Variety, https://variety.com/2017/film/festivals/san-sebastian-filipino-daniel-palacio-underground-1202570171/.
[4] Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/The_Turtle_and_the_Monkey.
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