The Rolling Stones. Sono immortali, ne abbiamo le prove

The Rolling Stones in concerto
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Quello che è successo dalle 21.16 della sera del 21 giugno 2022 allo stadio San Siro per due ore e un quarto non è descrivibile a chi non era lì, sotto quel palco. Perché più che altro si tratta di sensazioni, come sempre avviene di fronte a eventi popolari e culturali di queste dimensioni, di questa portata emotiva, in modo speciale dopo due anni di fermo forzato.

Una botta di adrenalina e ritorno alla Bibbia della musica che nessun altro spettacolo al mondo può offrire. E questo perché Mick, Keith, Ronnie, i superstiti di 60 anni di storia dei , hanno messo in quel pugno di canzoni pagine vere e proprie di leggenda musicale che in questi sei decenni sono entrate nell'immaginario collettivo del globo terrestre, anche di chi non sa nemmeno cosa sia il rock'n'roll. E questo è un potere rimasto ormai solo a loro, che stanno per toccare gli 80 anni, e a pochissimi altri. La sensazione è che avresti potuto portarci chiunque, anche il timoroso nerd che per una vita è rimasto chiuso in una biblioteca a studiare la stagione degli amori degli insetti del centro Africa senza mai accendere una radio, e comunque, pure lui, ci avrebbe trovato qualcosa che aveva già sentito.

Dopo il doveroso e doloroso omaggio a Charlie Watts (sostituito bene da un rulleggiante Steve Jordan), è partita una Street Fighting Man al fulmicotone che ha incendiato lo stadio come una torcia incandescente, con Jagger incapace di stare fermo, letteralmente indemoniato, a prendere in pugno 60mila cuori e farli suoi. 19th Nervous Breakdown ha introdotto le vibrazioni dell'anima scatenate dal fiume in piena di Tumbling Dice. I riff di Keith sono qualcosa di unico e inconfondibile durante questo e altri brani, quelle mani ormai deformi sanno ancora imprimere un suono che nel tempo solo lui ha estratto da una chitarra elettrica, come un vero marchio di fabbrica. Ma è la presenza scenica di Mick a incantare l'intero stadio. Per chi scrive, Out of Time, è stata la canzone della serata, e forse della vita. Meravigliosa nella sua cinica commozione verso l'amore. Con tutto San Siro a seguire le braccia ondeggianti di un Jagger che nemmeno la Covid è riuscita a mettere al tappeto. È la canzone che è rimasta più nella testa di chiunque io abbia incontrato dopo lo show e in quel momento, ognuno dei 60mila si è sentito al posto giusto nel momento giusto, si è sentito come non si sarebbe sentito in nessun altro posto al mondo. E chi ne è rimasto fuori, non si riprenderà questa cosa mai più. Dead Flowers, Wild Horses (nessuna ragazza qui ha resistito al bacio al suo accompagnatore, se ce l'aveva, se non ce l'aveva, e nemmeno se si trattava del vecchio alcolizzato zio pazzo odiato da tutta la famiglia; gli uomini soli si sono accontentati invece dell'abbraccio sudato all'amico di sempre o allo sconosciuto di passaggio), You Can't Always Get What You Want; con un trittico così cosa si può scrivere? Meglio tacere. Living in a Ghost Town è stata l'unica concessione al repertorio più recente, uscita durante il primo lockdown, ha retto bene il confronto con dei classici che ormai non sono più nemmeno classici, sono il Sacro Graal del rock'n'roll. Il rock-blues inconfondibile di Honky Tonk Women ha surriscaldato un pubblico in visibilio al punto giusto per lasciare poi lo spazio delle due canzoni, spezzacuori e semiacustiche del solo Keith Richards accompagnato alla chitarra da Ronnie Wood, You Got the Silver e Connection. Due brani buttati lì a testimoniare una carriera solista che non teme il confronto con nessuno. A tratti i crateri di rughe nella roccia del volto di Keef sembravano diventare torrenti d'acqua per qualche lacrima, ma qui è solo suggestione di chi di lacrime cominciava a non averne più. Mick, che si è lanciato in diversi discorsi in italiano fino a citare Dante e “il caldo simile al quinto girone dell'inferno” ha preparato con maestria il celeberrimo finale; Miss You, Midnight Rambler (Jagger all'armonica è il blues), Start Me Up, Paint It Black, Sympathy for the Devil e Jumpin' Jack Flash. A un certo momento dal microfono posto alla pedana centrale in mezzo al campo l'indomito 79enne si è lanciato in una corsa verso il palco che difficilmente sarebbe riuscita al fan più giovane in platea. I bis hanno demonizzato prima il terrore della guerra attraverso Gimme Shelter – sensazionale duetto vocale con la corista nera Chanelle Haynes – e poi liberato i corpi con la scontata, ma mai superata, Satisfaction.

Cosa dire? Cosa cazzo dire????? All'uscita del concerto ho incontrato rocker in evidente stato di trance (atteggiamento psicofisiologico caratterizzato da fenomeni quali insensibilità agli stimoli esterni), il musicista torinese Renato Tammi su tutti. E ne avevano ben d'onde.

I Rolling Stones sono immortali, è vero. Ne abbiamo le prove. Crediamoci. Perché scomparsi questi mostri sacri il rock'n'roll non riempirà più nessuno stadio nel mondo, lasciando spazio alla musica campionata creata al computer e venduta dalle Tv ad Internet attraverso il canale-fogna dei Talent Show. Niente di tutto questo sarà più replicabile. La piccola consolazione è che chi c'era potrà raccontarlo a degli ignari e distratti nipoti e pronipoti, mentre guardano entusiasti un trapper qualsiasi dimenare il fondoschiena sul tablet.

Marco Quaroni Pinchetti

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