
Quando penso alla storia musicale de The Zen Circus e in particolare agli ultimi tre lavori, penso alla figura di artista a cui fa riferimento un personaggio de Il torto del soldato di Erri De Luca: «l'artista deve essere umile di fronte alla realtà per la responsabilità di rappresentarla, anche se sfigurata». L'umiltà sta nella convinzione che alla base del racconto dell'esistenza, singola e più spesso collettiva e generazionale, c'è la convinzione assoluta che, come diceva Monicelli, “la speranza è una trappola” e “l'innocenza non esiste” aggiungerei da Nati per subire. E forse la stupidità umana è il caposaldo di questa convinzione e contro la quale Andrea Appino, Karim Qqru e Massimiliano “Ufo” Schiavelli continuano a battersi con questo “rock da sussidio di disoccupazione”.
The Zen Circus qualche giorno fa hanno pubblicato Canzoni contro la natura, l'ottavo disco della loro carriera, il terzo in italiano dopo Andate tutti affanculo (2009) e Nati per subire (2011), e per portalo alla luce hanno fatto a meno di tutti dal produttore al fonico. Il suo fluire è determinato dall'istantaneità, marchio di fabbrica di una band che sul palco riesce sempre a trascinare verso di sé il pubblico.
È un'opera di grande spessore perché si muove anche con altri spartiti e che in qualche momento va anche oltre la spontaneità. Albero di tiglio, a metà dell'opera, è un saggio di quanto creativi possano essere gli Zen senza che sia un esercizio di stile. Poetico per quel capovolgimento della figura di Dio, “Voi credeste io fossi fatto/ A vostra immagine e somiglianza/ Perché lo avete letto sul libro/ Che vi siete scritti da soli/ Io non ho mai avuto un figlio/ Come potrei io che sono un tiglio” e per quei tre minuti strumentali che nascono in sordina e vedono arrivare i cori battenti con un rock progressivo prima e space poi che personalmente mi riconduce ai Muse di Resistance.
Il disco si apre con l'arpeggio di chitarra di Viva e il suo folk-rock sempre coinvolgente, compreso un chiaro omaggio a Rino Gaetano, per raccontare quanto sia sfaldata la società e quanto le persone normali vivano un'esistenza grama. Anche la successiva Postumia conduce i vessilli, musica e parole, degli Zen; tre minuti e mezzo che suonano bene e c'entrano un tema, ricorrente e che viene usato per giustificare nefandezze sociali, quello delle sovrapposizioni e dei conflitti tra generazioni con il sottofondo dell'assenza della speranza perché “il futuro me lo bevo per non pensarci”.
Un altro gioiello è Canzone contro la natura con quel tambureggiare iniziale e lo sventagliare delle chitarre del ritornello a indicare la strada ad un atto di accusa contro l'umanità che ha violentato la natura e con uno sviluppo orwelliano di animali organizzati per sterminarci. Il titolo si ispira alle parole di Ungaretti pronunciate durante un'intervista a Pasolini e che al termine del brano stesso potete ascoltare in tutta la loro profondità e verità.
E poi Vai vai vai! Tra folk, punk e divertissement che in qualche momento mi ricorda Il bandito e il campione di Francesco De Gregori, mentre il brano L'anarchico e il generale è ancora più esplicito nella citazione perché c'è Il Pescatore di Fabrizio De André della PFM.
Dalla frontiera sud degli Stati Uniti giunge Dalì, la storia di un senza tetto a rappresentare i tanti homeless e anarchici emarginati e dimenticati, “alla fine un dissidente per sua stessa vocazione è destinato alla persecuzione”.
Degna chiusura dell'album è la splendida ballata, nata nel ricordo di una serata unica alla baia del Silenzio, Sestri Levante con un linguaggio e liriche meno immediate ed esplicite, ma altrettanto coinvolgente.
Ancora un lavoro da incorniciare per questo gruppo bandiera dell'indie nostrano.
Non vi curate di noi e ascoltate!
Ciro Ardiglione
genere: folk-rock
The Zen Circus
Canzoni contro la natura
etichetta: La Tempesta Dischi
data di pubblicazione: 21 gennaio 2014
brani: 10
durata: 40:59
cd: singolo
[1] Erri De Luca, “Il torto del soldato”, Feltrinelli, pag. 66
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