
Il litorale era considerato, prima dell'esplosione delle vacanze di massa della seconda metà del secolo scorso, tutto libero. Era detta spiaggia libera, ma non perché si potesse fare quel che pare liberamente; era libera da concessioni che ne definivano l'uso. Ne restano adesso solo piccoli spicchi difesi pure con difficoltà dalle invasioni degli stabilimenti balneari che neanche la Bolkestein, direttiva n.2006/123/CE, con la complicità della politica che difende le corporazioni, riesce a regolamentare. Prima le regole impedivano di lasciare il proprio ombrellone e sedie sull'arenile, bisognava che i fruitori della spiaggia ogni mattina li posizionassero nel luogo scelto per rimuoverli alla sera. Era così che si andava a prendere i bagni, come si diceva, di sabbia e di mare, con l'ombrellone che il capofamiglia aveva sotto il braccio mentre raggiungeva, con il resto del suo gruppo, l'arenile scelto. Altri però, i signori, utilizzavano carrozze con servitù al seguito per fruire di spiagge e dei migliori confort per quanto allora possibile. Il personale provvedeva a sistemare tende ed ombrelloni che permettevano di cambiarsi, alimentarsi mentre, si racconta, per gli altri, il costume si poteva prenderlo in affitto al mare, dai primi bagnini tuttofare.
Iniziarono ad aumentare le esigenze di sempre più numerosi bagnanti che, dall'entroterra e dai centri industriali del nord, raggiungevano le coste, e con i numeri che aumentavano iniziò una offerta di servizi sempre più organizzata. Questi non riguardavano più solo la sistemazione di sdraio ed ombrelloni ed attività di sorveglianza sul mare e di salvataggio. Ogni bimbo ricorderà con terrore l'esposizione delle famigerate bandiere rosse, che significavano senza alcun appello niente bagno, o bianche che invece indirizzavano tutti verso l'acqua e verso interminabili bagni interrotti però dalla pelle raggrinzita delle dita che bisognava esibire a richiesta dei controllori per poter continuare i giochi d'acqua. Era questo un segno considerato nell'immaginario di ogni bimbo come un alleato contro di loro delle bandiere rosse. Iniziarono anche a diffondersi chioschi con offerte di bibite fresche, gelati e granite, grazie ai blocchi di ghiaccio che giornalmente i distributori consegnavano agli aspiranti esercenti attraverso lunghi parallelepipedi trasportati su carretti che venivano consegnati attraverso l'uso di tenaglie di ferro che ne guidavano lo scivolamento. Erano i rumori della consegna di questi blocchi che accompagnavano l'attesa dell'alba. Ogni anno almeno una volta era tradizione, anche non nel giorno di San Giovanni, recarsi ad attendere il sorgere del sole che in Adriatico nasce sul mare e che il 24 di Giugno pare lavarsi con i giochi delle prime luci secondo antiche credenze legate a riti ancestrali. Esperienze ricche di emozioni anche ben ripagate da colori ed atmosfere tra mare, cielo e spiaggia altrimenti difficilmente conosciute.
I chioschi ebbero successo e si ingrandirono con offerte più complete anche di ciambelle, bomboloni o pizzette e gelati con anche i primi carrettini attrezzati oppure con i venditori ambulanti con scatoloni a tracolla il cui strillone ne annunciava l'arrivo.
Il Paese dopo una difficoltosa ricostruzione iniziava a conoscere un progresso sempre più marcato e si trasformava nei comportamenti anche per la diffusione di mezzi di locomozione come motorini ed auto. Diventò più agevole raggiungere il mare ed i centri nati sulla costa che vi si affacciavano. Questi da Maggio cambiavano completamente la loro fisionomia del monotono centro invernale per passare ad agglomerato ricco di attività e frequentazioni numerose che inducevano una economia ricca per il moltiplicarsi delle presenze.

Uno di questi centri molto frequentati era Silvi Marina, nota anche per la presenza della Torre del Cerrano che ne diventò simbolo, malgrado fosse sul confine con Pineto, l'altra cittadina balneare ugualmente apprezzata meta turistica. La Torre fu realizzata intorno al 1500 ed era una delle postazioni di avvistamento che il Regno di Napoli commissionò per istituire una rete in grado di allertare per tempo in caso di incursioni saracene o turche. Oggi ospita eventi culturali ed è sede del centro studi, dell'area marina protetta e del museo del mare. Era fra l'altro posizionata proprio in corrispondenza del porto di Hatria, un centro importantissimo per i commerci dell'epoca. Di questo porto che favoriva gli scambi legati ad una città d'arte e ricca di prodotti come era Atri, ne sono ancora visibili i resti sommersi poco a largo.
Oltre che simbolo dei luoghi la Torre diventò meta per le passeggiate di ogni ragazzino in vacanza in quegli anni. Era una ritualità, o forse una scusa, che doveva essere ripetuta ogni anno ed anche una occasione, tra una raccolta di liquirizia e l'altra, per cercare di rafforzare i legami con le fanciulle da corteggiare. Il ricordo di Paola e Carla di Avezzano è ancora vivo; la prima brunetta e l'altra una biondina dagli occhi azzurri che trascorrevano a Silvi Marina le vacanze come ogni anno, conosciute grazie alla comune amicizia con Fabrizio con il quale dividevano il Classico. Insieme a Giancarlo, eravamo amici inseparabili in quegli anni, sia in estate che in inverno, le frequentavamo assiduamente durante le vacanze a Silvi Marina. Paola e Carla ci avevano concesso fiducia ed interesse, ricambiati con vicendevole partecipazione. Del resto a quell'età giovanile la ricerca di leggiadria vacanziera arricchita da carinerie ed abbronzature, che pure aiutavano molto l'estetica ed i rapporti, era la principale attività. Quello che non aiutava, ma si riteneva che lo facesse, era invece la raccolta di ceppetti –radici- di liquirizia che finiva, come nei film spaghetti western di Sergio Leone, penzoloni lateralmente alla bocca di ogni ragazzino pure ciucciato come fosse un mozzicone di sigaro. Mancavano però il piglio di Clint Eastwood o di Lee Van Cleef, come pure la colonna sonora di Ennio Morricone….ma la fantasia di ognuno suppliva comunque.
Quelle passeggiate verso la Torre che partivano con grandi entusiasmi e speranze, dovevano superare la sgraditissima “barriera” del centro di raccolta ittico, che era appena fuori paese verso la Torre, con i pesci che un mare ancora generoso regalava a pescatori ed al commercio. Però, sulla riva, in corrispondenza del centro di alaggio delle barche della piccola pesca, confluivano sciami di vespe richiamate dal pesce da scaricare. Le vespe venivano travolte dalle onde e sparse tutt'intorno sulla sabbia finissima. Malauguratamente il pungiglione degli insetti rimaneva ben eretto pronto a regalare dolorosissime punture a chi li calpestasse. Anche da morte quegli insetti incutevano rispetto con il loro fastidiosissimo ricordo rilasciato alla pianta del piede di coloro che passeggiando le calpestavano. Praticamente impossibile, anche conoscendone il pericolo, tentare di evitare quel dolore, le vespe morte erano un tappeto difficile da evitare se si voleva procedere. Quante speranze affettive interrotte da quei maledetti pungiglioni! Quell'inconveniente doloroso significava fine della passeggiata almeno fino a quando qualcuno capace non avesse estratto il pungiglione ponendo fine al dolore.
Del resto la Torre aveva ed ha ancora un fascino tutto suo, fatto di storia ed anche di esperienze che l'avevano vista come scenario per un incontro sentimentale, un bagno o un primo bacio, come pure altri tentativi invece infruttuosi. Altre storie nella storia durante il percorso arricchivano il fascino dei ricordi. Non era raro incontrare piccoli gruppi familiari di pescatori veri o improvvisati con la Sciabica.

I professionisti locali si riconoscevano per la naturalezza dei movimenti e per i muscoli ben scolpiti, abbronzati ed in mostra evidente con la loro tonicità per lo sforzo compiuto per governare la rete. Gli improvvisati erano invece per lo più turisti che chiedevano di aiutare sperando anche in un qualche segno di riconoscimento con concessione di parte del pescato catturato. Era evidente la loro scarsa attitudine che manifestavano nei movimenti, ed anche negli abbigliamenti, non certo all'apparenza destinati abitualmente a quelle attività come nei pescatori veri, ed ovviamente tralasciando la parte relativa alla muscolatura. La sciabica da spiaggia era una rete con due terminali lunghi che erano sorretti da due legni posti verticalmente in modo che l'estremità bassa sfiorasse il fondo come pure la parte della rete che era piombata mentre la superiore era sorretta a galla da una serie di galleggianti colorati. La rete terminava in un sacco a trama più fitta e l'azione di pesca si concretizzava attraverso una estremità mantenuta verso riva mentre l'altra sospinta da un pattino, o da un piccolo gozzo a remi, veniva distesa verso il largo a formare un arco. Allora i pesci si avvicinavano molto alla riva e non era raro circondare branchi di cefali, pure di grosse dimensioni, o papalina anche detta novellame, oppure piccole orate, mormore, aguglie a seconda del periodo, più difficili le spigolette, piccoli sgombri, alici, suri e lanzardi o altro pesce azzurro di piccole dimensioni che comunque garantivano sapide fritture. La tecnica consisteva nel circondare i pesci e tirarli velocemente a riva evitando di sollevare la rete che doveva sfiorare il fondo per evitarne la fuga . Dopo le rituali spartizioni e la fine del pescato nelle sempre numerose fritture, se le catture fossero state generose, finivano a riempire i carretti che le donne dei pescatori offrivano alla vendita percorrendo le stradine della cittadina annunciandosi gridando: pesce!
Altre immagini, questa volta solo fotografiche perché molto più antiche, avevano arricchito il mito ed il fascino della Torre. Ricordi che provenivano da storie diverse ma comuni negli effetti. Queste potevano anche essere facilmente esempi di fatica, e la Torre faceva da unione geografica tra quella dura nel mare e l'altrettanto durissima sui monti di pastorizia e transumanza. Una foto storica ne è emblema. Uno scatto del 1938 del fotografo rosetano Italo Del Governatore che indica come quell'area costiera fosse uno dei bracci del tratturo che portavano i transumanti verso la dogana di Foggia.

Sulla zona della Torre e dell'area marina protetta insisteva inoltre il percorso ferroviario a contraddistinguere la costa; con una strada ferrata che divideva pinete e centri abitati tra una parte litoranea ed una più interna. La ferrovia con i treni ad alta percorrenza che sfioravano la Torre, vuoi per i rumori ed il pericolo per ogni attraversamento, sminuivano la bellezza del posto ma anche rappresentavano per i viaggiatori abruzzesi di ritorno verso il sud, un annuncio di aver quasi raggiunto casa. Si finì quindi con il farci l'abitudine malgrado l'impatto enorme ma poco gradito.
Anche Silvi Marina non sfuggì ad essere divisa dalla strada ferrata, ne fu anche caratterizzata e sopravvisse malgrado gli innumerevoli passaggi a livello che scandivano le chiusure molto frequenti con i ripetitivi suoni di avvertimento. Adesso tra sottopassaggi, pinete salvaguardate e costruzioni che si ebbe l'accortezza almeno di contenere nelle cubature per larga parte, il paesaggio non è molto cambiato rispetto ad un tempo. Solo superficialmente si avrà però l'impressione che tutto sia rimasto come a mezzo secolo prima, con i pini marittimi nelle pinete limitrofe e gli oleandri che arredano un centro urbano che è stato cementificato solo in antiche costruzioni fin sulla spiaggia. Per il resto abitazioni che sembrano inserite nel contesto spiaggia- pineta-strada ferrata, con le colline rigogliose alle spalle dove spiccano vigneti a spalliera ben curati e dal verde luminoso in questo periodo estivo che guarda con favore alle prossime vendemmie. Con gli anni ed il sopraggiunto benessere erano mutati anche i comportamenti e gli abbigliamenti, costumi di lana con bretellone e culotte a mezza coscia venivano sempre più sostituiti da costumi che coprivano sempre meno e dai materiali variopinti. Iniziarono a diffondersi tra le donne più emancipate i primi bikini e si attrezzavano i primi stabilimenti balneari con servizi sempre più orientati alle esigenze dei vacanzieri. Il passaparola fece il resto sul successo turistico della cittadina che fu una vera esplosione di presenze che si consolidavano di anno in anno e che spingevano verso l'Abruzzo gruppi di bagnanti festosi non solo dall'entroterra ma anche dalle zone industriali del nord alla chiusura per ferie delle fabbriche. Vi era a Silvi Marina, molto attiva e contesa dai pretendenti clienti, una Casa del Maestro che offriva a questa categoria di lavoratori ed ai loro familiari accoglienza e servizi alberghieri e di spiaggia a prezzi contenuti per quel tipo di servizio erogato. Un riconoscimento di quei tempi alla valenza di quella professione dedicata alla formazione delle nuove generazioni.
L'esodo vero però era rappresentato dai molti che sulle prime auto come le 500 giardinette stracolme di bagagli, spesso con nonni al seguito a cui era affidata la cura dei bimbi, affrontavano lunghe trasferte per raggiungere case di pescatori, per lo più, prese in affitto mensile o per l'intera stagione. Si trascorrevano al mare i mesi estivi con la convinzione che tale pratica ritemprasse dalle fatiche e consentisse una crescita sana ai bimbi, e così era. Uno di quei vacanzieri, un ancora fanciullo Giulio Rapetti, era un habitué con la sua famiglia che si muoveva appunto, come raccontò, su quelle 500 giardinetta. Solo dopo si apprese, con la notorietà giunta a fissare il personaggio Mogol, che quelle esperienze avevano ispirato pezzi storici. Era nata una musica detta leggera ma che leggera proprio non era. Anzi adesso quei pezzi così coinvolgenti per più di una generazione sono considerati poesia anche da soggetti che non erano nati quando Mogol-Battisti erano costantemente in testa alle classifiche. Dalle vacanze del “milanese” a Silvi Marina, poi divenuto ricercato “ paroliere”, nacquero La Canzone del Sole o La via degli oleandri che approdò a Sanremo con Gianni Bella nel 1991. Dai ricordi di quelle vacanze si ebbe un contributo per le “bionde trecce e gli occhi azzurri e poi” oppure quel “mare nero” divenuto anche inno ambientalista. Furono anni anzi decenni, di un turismo in crescita con quei sottofondo musicali e con esempi impossibili da dimenticare in cui la vocazione musicale di quegli anni divenne spiccata e li caratterizzò come una colonna sonora. Attecchirono così i primi dancing anche a Silvi Marina che videro ospitare un giovanissimo Lucio Dalla impegnato in una serata a La Bussola. Uno stabilimento balneare di giorno, in quei tempi, e pista da ballo la sera limitata dai rami di un canneto rinsecchito che ne delimitava gli spazi. Immancabili torme di ragazzini tutt'intorno, tra i quali anche noi, a sbirciare le coppie che danzavano allargando gli spazi tra una canna e l'altra della recinzione. All'arrivo del personale della sicurezza tutti in fuga prima che si concretizzassero le promesse di scapaccioni. Alle percosse dei guardiani sarebbero sicuramente seguite quelle, più vigorose, dei genitori per cui, via come fulmini sparpagliati sull'arenile sperando che l'oscurità avrebbe protetto la fuga come per fortuna avveniva; ma forse la determinazione dei guardiani in fondo era pure benevola.
La vocazione danzante del centro si consolidò ulteriormente negli anni successivi. Frequentatissimi dalla bella gioventù dell'epoca i locali La Silvanella di Americo Tucci ed il Niagara che ospitarono le esibizioni dei migliori interpreti musicali del periodo a partire da una giovanissima Raffaella Carrà per seguire con Patty Pravo, Ornella Vanoni, le gemelle Kessler, ma anche i Pooh ed i Camaleonti e tanti altri.
Sulle passeggiate ma anche sui bagnanti più sedentari e comunque su tutti, alitava sempre il dolce profumo delle preparazioni alla liquirizia della Saila. Venivano prodotti caramelle e confetti di gran successo regalati al commercio da quell'industria e dall'altra, sempre in zona, dei Menozzi. Quel brand divenuto famoso concesse il nome quale sponsor per il trofeo di tennis, famosissimo in quel periodo, denominato appunto Trofeo Saila cui partecipavano turisti, classificati e non provenienti dalla regione ma anche da altre località del Paese che approfittavano per giocare e trascorrere qualche giorno al mare con le famiglie al seguito.
La vita delle vacanze scorreva veloce per i ragazzini bagnanti, a cui si univano però anche i locali, e tra giochi di spiaggia interminabili, tra piste con biglie coloratissime, quelle con le foto degli assi del ciclismo le più ambite, il mio Balmamion della Molteni vinceva spesso, vulcani e costruzioni fantasiose di sabbia, si sciamava per una pizzetta all'Ideal, per chi poteva un giro in risciò affittato per far colpo sulla ragazzina cui si era interessati. Non mancavano, ma erano molto ricercate, le golosissime ciambelle fritte alla crema, le abbiamo riassaggiate in questi giorni da Itaca, lo stabilimento balneare più a ridosso de La Torre dove per pranzo Roberto ha preparato delle impareggiabili alici fritte, rigatoni ai frutti di mare e la classica ricca frittura mista di pesce ed ortaggi. Come se non fosse passato l'oltre mezzo secolo che ci divide dalle esperienze precedenti proposte sempre su quelle spiagge da quel caratteristico personaggio noto all'epoca come “decimo dan”.
Altro consueto appuntamento per i vacanzieri di quegli anni era l'incontrarsi con le relative famiglie in abito buono alla messa domenicale alla Stella Maris, una colonia marina tenuta da personale ecclesiastico che accoglieva bimbi per offrirgli periodi di vacanze al mare. Alternativa per quella ritualità alla quale difficilmente ci si sottraeva era la chiesa dalla lunga scalinata sulla nazionale che a fine funzione si trasformava in gradinata per lo scambio di chiacchiere e saluti tra i fedeli che si incontravano di nuovo, dopo essersi conosciuti in spiaggia, prima della cena domenicale che normalmente era la più frugale di tutti i pasti. Dopo cena, prima, forse, del supplemento di passeggiata con gelato, occorreva mettere fuori dall'uscio altrimenti niente colazione, le bottiglie cilindriche vuote del latte. Erano recipienti a bocca larga che al mattino, grazie alla centrale del latte e ben sigillate dal velo in alluminio, erano distribuite con precisione sulla quale ogni fanciullo contava.

La Torre di quelle vacanze è ancora lì, intatta e se mai con tutto il suo fascino, anzi pure accresciuto per essere circondata adesso da una area protetta fatta di dune, pino marittimo e mare. Sono dune che ospitano anche il Fratino, un piccolo trampoliere, il più piccolo ed elegante, chiamato in dialetto “curri curri”, e chi lo ha visto in movimento ne comprende il perché. È specie migratoria su tutte le coste dello stivale e sulle isole, si ciba di insetti, molluschi e vermi che cerca smuovendo il terreno con le zampe. Nidifica sulle dune sabbiose tra marzo e fine luglio in piccoli avvallamenti che ricopre con piccole pietre e conchiglie. L'azione protezionistica, attivata dalle convenzione di Berna e Bonn, ha ottenuto i suoi effetti tanto che la specie non è più rara come nel passato. La si potrà trovare lungo le spiagge, anche nei pressi di quelle più affollate, e la si noterà per bellezze ed eleganza di veloci movimenti del volatile che lo portano a spostarsi per proteggersi dagli intrusi.

A conclusione della storia di ricordi, un finale dal sapore amaro, dopo gli entusiasmi ritrovati in questi giorni nella visita alla Torre per mare bello, dune protette, buon cibo, accesso in spiaggia regolamentato anche da attività dei balneatori rispettosi dell'ambiente. Tutto è stato messo in discussione, il giorno successivo, dalla vista che si coglie dal belvedere di Silvi Paese o Silvi Alta. Un vista impareggiabile con tramonto sulla Torre, sul mare, sulla lunga pineta e spiaggia, guastata da una grande area cementificata a ridosso della ”S.S. Adriatica” per accogliere un centro commerciale dalle enormi dimensioni. Costruito per giunta senza prevedere utilizzo di materiali non impattanti. Una visione che è davvero un pugno in un occhio per qualsiasi osservatore. Una scarsa, questa volta, lungimiranza da parte di chi non ha pensato alle conseguenze, magari spinto dall'assicurare profitti per gli imprenditori, non curandosi del prezzo da pagare all'ambiente ed all'intera collettività. Proprio per giunta quell'ambiente che ha fatto, malgrado piccoli errori compiuti quando si aveva meno conoscenza, rispetto e coscienza, le fortune del centro di villeggiatura e della costa intera di questa bella parte dell'Adriatico. Un'altra delusione sulle speranze che quei ragazzini e vacanzieri riponevano in un futuro che purtroppo solo in parte è stato possibile realizzare.
Emidio Maria Di Loreto
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