
Vi è un attore, mai esaltato nella considerazione gastronomica generale, che invece meriterebbe ogni diretta attenzione. È per lo più condannato ad un ruolo subalterno, mai protagonista, se va bene coprotagonista, ma solo perché il gourmand di turno ne sa molto, altrimenti avrebbe un ruolo limitato ad una semplice citazione quale ingrediente del piatto. Meriterebbe che gli fosse dedicata una elegia gastronomica, o almeno un'ode. L'ode al fagiolo non sfigurerebbe e nell'attesa che sia scritta… imbastiamo una storia che supplisca nel tesserne le caratteristiche.


È specialmente in questo periodo che si tenta di valorizzarne il pregio. Un Gennaio freddo ma ancora senza neve, quando nelle comunità contadine che resistono si portano a compimento le ritualità per l'uccisione del maiale. Anche in questi casi, con la cucina di un tempo e gli alimenti che il suo proscenio ripropone, il fagiolo c'è, abbinato con l'altro protagonista, la carne del maiale, ma determinante nel suo apprezzamento. Anzi secondo noi ha ruolo essenziale, sapientemente esercitato nel calarsi nella parte di componente comprimario di una pietanza apprezzata in convivialità. Lo si usa offrire per celebrare l'uccisione del maiale in molti eventi del centro sud, con una tavolata che vuole racchiudere significati antichi: il ringraziamento per una stagione nei campi che si chiude, l'atto propiziatorio di fortune legate verso le nuove produzioni, un segno di appartenenza ricordato con l'invito al banchetto di famiglia con il vicinato e le persone con le quali si è molto legati.

Le ritualità prevedono anche la preparazione delle carni che un tempo erano provvista salva-vita, leccornia adesso. Il piatto, cucinato da Maria Grazia e Amalia, nel rito al quale siamo stati invitati dopo tanti anni nel cuore dell'Abruzzo, in realtà è un connubio tra ingredienti di elezione, il fagiolo, e la carne appena macellata di un maiale alimentato con i prodotti della terra e preparata secondo usanze che si ripetono. Un fagiolo lessato, meglio se bianco, il cannellino o sue varianti i più apprezzati come la quarantnell', insuperabile quando la stagione è benevola; si tratta di una tipologia di cannellino a minor volume, crescita in 40 giorni e più storto, buccia più sottile, delicatissimo, che cuoce velocemente e che non richiede di essere messa a mollo in precedenza.
Come ogni fagiolo anche la quarantnell' è ancora più nobilitato se sottoposto ad una lenta cottura in pignatta …che borbotta in modo lento e quasi insignificante ai bordi del camino, anch'essa interprete di un ruolo all'apparenza secondario ma che tale non è. Sarà servita condita dallo strutto prodotto dallo spezzatino del maiale. Dovranno essere velocemente mangiati caldi, quasi ingurgitati per non consentire al limpido strutto caldo di raddensarsi per la temperatura che, raffreddandosi, lo ri-solidificherebbe in una cremina grigio chiaro che tende a saldare insieme fagioli e pezzi di carne, come a volerne sancire l'indissolubilità gastronomica.
È un limite, il raffreddarsi, perché la degustazione meriterebbe di essere assaporata con la stessa lentezza richiesta per la cottura del cannellino. Non sfuggirebbe l'inaspettata delicatezza di ingredienti che si qualificherebbero rozzi, dall'intensità gustativa stucchevole, e che invece, se preparati secondo le antiche usanze delle massaie che ne sapevano sempre una in più per nobilitare la tavola, risulta un fagiolo dalla delicata presenza. Ancora più delicata anche se sapida, la grassezza del lardo fuso. Inaspettata tenerezza della carne, brillante nello spezzatino per il suo umido e grasso intingolo, giusta consistenza dei fagioli che non hanno perso la buccia che però si frantuma alla leggera pressione della masticazione ed esplode rilasciando la cremosità della sua pasta interna senza competere ma esaltando il gusto della carne.
In bocca un concentrato degli odori e dei sentori tipici del legume, te ne accorgi in quei momenti così intensi di gusto …ed inducono la riflessione che sono semplicemente il ricordo che ha accompagnato la tua infanzia ed il periodo della tua crescita, quando con poco si otteneva tanto. Quando quegli odori conferiti dal fagiolo che lessava nella pignatta, riempivano ogni cucina, gli attribuivano un sentore che sembrava dolciastro anche se per correttezza sarebbe meglio dire un indefinito tra dolce e salato, tipico. Come il profumo buono, fragrante e austero delle madie piene di pane casereccio, non importa se caldo o raffermo. Per ottenere questo risultato occorre che la cottura del legume sia rigorosa, attenta e lenta. Solo al termine l'acqua di cottura deve risultare al minimo ed il calore del fuoco costante e mai violento, si intuisce da questo il valore della cottura in pignatta.

La scelta della carne per lo spezzatino spetta al porcaro (Lu pərcarə) il responsabile del sacrificio del maiale, colui che dirige le operazioni fino alla preparazione dei salumi. Saranno parti più ricche di grasso, tenere, che sono legate alla tradizione colorita del banchetto e denominate per questo “lu stuorciamuss” (storci il muso; fai il verso che indica cattiva qualità…per tentare di evitare che altri ne gustino; furbizia tutta contadina). Questo pezzo di carne può anche essere detto “dolcmurz” (boccone dolce) oppure murzsaproit'(boccone saporito).
Un tempo anche la carne, che aveva necessità di cottura lenta per poter rilasciare lo strutto, veniva cotta al fuoco del camino, in capienti tegami di rame: lu cutteur o cuttur, il tegame appeso alla catena all'interno del camino. Oppure in pentole, sempre di rame ma più grandi, posizionate su treppiedi di ferro, la callar, sotto la quale veniva spostato il fuoco a seconda delle necessità. Il condimento per lo spezzatino non va oltre il sale, chiaramente, un paio di foglie di alloro, rametti di rosmarino e spicchi di aglio rosso di Sulmona, leggermente schiacciati nel loro involucro, e così mescolati nella carne in quantità generose. Può essere aggiunta una mela della varietà meloncella o limoncella, che

con le sue note leggermente acidule aiuta a conferire eleganza al gusto finale. Appena giunge il momento di mettersi a tavola, i piatti saranno colmati di carne e fagioli, velocemente, sui quali a piacere si potrà aggiungere il peperoncino (detto sajttell') che si desidera. Immediatamente scatta nei commensali un irresistibile voglia, di riempirsi la bocca in cucchiaiate colme che, non hai finito di assaporarne una che già hai desiderio di imboccarne un'altra. Si scoprirà che daranno dipendenza…una sana antica dipendenza dalla ritualità da osservare annualmente: sarà responsabile di godimento per corpo e spirito.
Forse le numerose varietà di fagioli sono la ragione per la quale non vi è un prodotto simbolo di successo ma una eguale notorietà che, per essere divisa in tanti tipi, alla fine non risulta eccellere come meriterebbe. Anche i nomi identificano prodotti diversi creando confusione, la varietà denominata poverelli può indicare, a seconda delle zone, sia il cannellino bianco che un simile-borlotto di piccole dimensioni. Stessa cosa per quella denominata a pane, che indica a volte una varietà rampicante rossa, di dimensioni più grandi dal gusto pastoso e più intenso, ma può anche essere bianca oppure marroncino come nel caso del bianco di Frattura. Poi anche le forme fanno differenza: i famosi tondini del Tavo, il tipo che ha forse raggiunto le “quotazioni” più elevate in prezzo e considerazione, i tondini Aquilani meno famosi dei cannellini di Onna e Paganica, luoghi che pure contavano su altre qualità anche queste dette a olio.
Il bianco di Frattura, probabilmente il più ambito e nobile per essere coltivato esclusivamente a 1300 m s.l.m., bassissima resa e quantità ottenute in modo quasi eroico che hanno la particolarità di crescere solo nella loro zone. La produzione, che ha stagionalità diversa nei quantitativi, ha anche conferito una strana fama a queste tipicità che hanno la caratteristica della grande variabilità produttiva: si osservano quantitativi sufficienti alternati ad altri in cui è difficile… riottenere i semi per la coltivazione successiva. Di conseguenza anche i prezzi sono variabili e sono legati quindi sia alle condizioni climatiche favorevoli ma anche all'altitudine in cui sono coltivati e quindi alle difficoltà di lavorazione. È condizione di comune condivisione anche che più in quota si salga e più le caratteristiche dei prodotti migliorano.

Ogni fagiolo, in ogni zona di produzione, ha il suo abbinamento prediletto. Ad esempio i prodotti di eccellenza di Colfiorito troveranno splendido binomio in padella con le cipolle di Cannara, così come i bianchi di Frattura, che crescono esclusivamente alla vista del cuore del lago di Scanno, saranno inseparabili dall'aglio rosso di Sulmona per lo più cucinato in padella con la sua camicia. In Toscana una scelta infinita di specialità che incuriosiscono il gourmand e sui quali spicca la cottura al fiasco e la tipologia detta zolfino di Pratomagno, oppure gli occhini ed il famoso fagiolo Lucchese. Altrettanto famosi, in Lucania, fagioli di Serconi o, in Campania, i fagioli di Controne – le cui piantagioni si inerpicano sotto i monti Alburni – che si esalta semplicemente lesso con l'olio prodotto nelle stesse zone.
Gli esempi del resto sarebbero infiniti e quindi, via lungo il nostro stivale con tutte le zuppe possibili, i minestroni, le paste fatte in casa in minestra per poi soffermarsi sulle ricche cotiche e fagioli, e le padellate di salsicce cavoli e fagioli oppure rape e fagioli e finanche fagioli e patate che mai deludono. Chi non ha avuto occasione provi peperoni e fagioli, semplicemente, meglio se in padella nera, quelle in ferro di un tempo che si ripongono sempre un po' unte. Quando la trasgressione decide di espletarsi in completezza però ecco che il cannellino viene sostituito con la varierà a pane e rampicante, quella colore rosso scuro di dimensioni più grandi e a pasta più…”castagnosa” e dal gusto più deciso del cannellino. È la tipologia giusta per un abbinamento impegnativo ma appagante come non mai, in padella con un poco della sua acqua di cottura, fegatazzo fresco sbriciolato e rosolato prima che sia raggiunto dai fagioli, aggiustamento di sale e peperoncino alla bisogna, e poi generose cucchiaiate del pasticcio fumante che ne deriva su una fetta di quel pane fatto in casa di cui nella madia di poc'anzi, se raffermo e bruschettato leggermente ancora meglio.

Non resta che completare la degustazione con un Montepulciano d'Abruzzo meglio se giovane, di quello che ogni casa contadina che si rispetti produce ancora per il fabbisogno familiare … e degli amici. Avrà un profumo che pare creato per questo abbinamento, si fonderà con l'aromaticità del fegatazzo e dell'aglio, peperoncino e sale con il quale è condito, sublimando in un mix di gusto che le papille gustative di ognuno, se potessero parlare, direbbero di aver atteso quell'evento dalla loro nascita.
A conclusione di questa esperienza servirebbe solo una nevicata per la passeggiata successiva, come pure qualche volta è capitato, da condividere in amicizia, nello spirito indotto dalla tavolata procurata dalla festa per il porco che ha rispolverato le radici più profonde. Una nevicata e le temperature che, quanto degustato, consente di sfidare senza troppe perplessità. Soddisfatti della consapevolezza che si sia dato compimento ad un ciclo naturale degli eventi. Una celebrazione che meglio non si potrebbe delle risorse che ci arrivano da madre natura e dal sudore e lavoro che ha consentito, a legumi e carni, di essere così doppiamente apprezzato.
Emidio Maria Di Loreto
la foto di copertina: Aia per preparazione fagioli secchi Collezione privata Fernando Saccoccia
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