Transizione ecologica e comunità energetiche

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Nel complesso ma necessario passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, l’Italia sembra percorsa da un attivismo dal basso.
Al momento non v’è certezza del raggiungimento degli obiettivi anche perché il nuovo governo ha fatto capire che la direzione è quella di uscire dalla crisi economica, costi quel che costi per l’ambiente. Il ponte sullo stretto, un disastro; il rigassificatone a Piombino, le incursioni sul nucleare. Mi sembra già un programma il nome del dicastero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e il ministro Pichetto Fratin che parla di «Talebani del green» e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che si esprime con termini come «ambientalismo ideologico».

La consapevolezza sembra invece riscontrarsi nell’assunzione di auto responsabilità da parte proprio di quelle fasce di popolazione che più di altre stanno sopportando le conseguenze degli aumenti dei costi energetici. Mi riferisco al numero crescente di comunità energetiche che stanno nascendo sul nostro territorio nonostante le molte difficoltà incontrate, dovute principalmente all’assenza dei decreti attuativi.

Vediamo allora in dettaglio come si articola l’intero pacchetto normativo che regola il percorso da compiere per la transizione ecologica che, ricordo, dovrà avvenire per ogni Paese della UE entro il 2030.
Il 15 dicembre 2021 è entrato in vigore il decreto legislativo che recepisce due direttive: la RED II (2018/2001) e la IEM (2019/944). La prima di queste stabilisce che entro il 2030, come abbiamo visto, a livello europeo le energie rinnovabili dovranno incidere per almeno il 32% sul quantitativo di energia consumata. L’Italia parte già svantaggiata perché a livello di produzione siamo fermi al 18% contro la media degli altri paesi UE stabilizzata al 19,7% [1]. Il decreto legislativo, va detto, pur raccogliendo molte delle richieste arrivate dalle imprese di settore e da alcune associazioni per facilitare lo sviluppo delle energie rinnovabili, presenta ancora notevoli zone d’ombra che andrebbero eliminate proprio per favorire la massima semplificazione delle procedure per avviare la parte attuativa.

Lo dice chiaramente Andrea Poggio, responsabile “Mobilità sostenibile e stili di vita” presso la segreteria di Legambiente, riferendosi proprio alla presenza di questi ostacoli:

«È proprio il rilancio quello che si fa fatica a vedere nel testo uscito dal Governo. Da tre mesi ad un anno per firmare i decreti attuativi e, soprattutto, l’obbligo di passare per Ministero [il MITE, Ministero Transizione Ecologica, ndr] e Regioni per definire finalmente le aree idonee dove poter installare pannelli solari, generatori eolici e impianti a biogas. Il timore è che le rinnovabili siano ancora vittime dei veti incrociati tra le Regioni e i diversi Ministeri e Sovraintendenze» [2].

La seconda direttiva della quale ho fatto menzione, la IEM, ha come scopo principale quello di adattare il mercato elettrico della UE ai cambiamenti tecnologici e strutturali già in atto, prevedendo per la prima volta, un nuovo soggetto giuridico tra quelli in grado di garantire questa svolta e cioè le REC (Renewable Energy Community), o Comunità Energetiche, la cui configurazione tende perciò a stimolare la costituzione di una comunità di persone accomunate dall’intento di generare un impatto positivo sul proprio territorio, attraverso la produzione e il consumo collettivo di energia.

Tirando le fila del discorso, appare evidente come in prospettiva futura se non addirittura immediata, da questa “rivoluzione verde” che viene dal basso, non si può non vedere la richiesta di una più forte saldatura di quei legami e di quella coesione sociale in parte sgretolata dalla pandemia, che ha aggravato le già esistenti diseguaglianze. Questa correlazione tra innovazione tecnologica da una parte e bisogno di ritrovarsi come comunità unita dall’altra, fa emergere anche in maniera chiara come sia ormai irrinunciabile proteggere oltre l’ambiente beni come la salute, il lavoro e – forse prima di tutte le altre – l’istruzione.

Che questi valori facciano comunque ancora parte del nostro patrimonio culturale, lo dimostra il numero di comunità energetiche – circa cento – esistenti sul territorio nazionale e gli sforzi dei soggetti ideatori ed attuatori per farle funzionare.

Uno tra i primi progetti nazionali di “comunità energetica rinnovabile” (REC) va ascritto al piccolo comune di Turano Lodigiano, 1.600 residenti in Provincia di Lodi, con l’ausilio tecnico di Sorgenia S.p.A. Ebbene, amministrazione comunale (in rappresentanza delle 23 famiglie, 1 parrocchia e 9 utenze comunali che hanno aderito all’accordo) e azienda energetica hanno dato vita alla costruzione di due impianti foto voltaici di potenza complessiva di 45 kW che produrranno non meno di 50.000 kW/anno, permettendo quindi sia di produrre l’energia necessaria per la comunità sia di mettere a disposizione di alcune famiglie quantitativi in eccesso. Infatti spiega Mario Mauri, direttore vendite e soluzioni energetiche della utility:

«Più si consuma energia nel momento in cui l’impianto produce – quindi durante le ore di sole in caso di fotovoltaico – più si guadagna. Il vantaggio in bolletta è tra il 20 e il 40% ma, contando gli incentivi statali che saranno ripartiti tra i soci, si può arrivare a un risparmio fino all’80%» [3].

Un’altra esperienza è quella che nasce dal progetto promosso da Legambiente a San Giovanni a Teduccio, quartiere periferico di Napoli Est, in collaborazione con la Fondazione Con il Sud – istituto nato per favorire processi partecipati di transizione ecologica dal basso e ridurre la povertà energetica – che hanno provveduto ad installare un impianto solare capace di produrre 53 kW di cui beneficeranno 40 famiglie.

Che la sfida partita dal Sud sia importante, ce lo ricorda Mariateresa Imparato, presidente regionale di Legambiente:

«Questa sfida rivoluzionaria, resa possibile dalle direttive europee, può aprire opportunità importanti per aiutare le famiglie del quartiere, insomma una rigenerazione importante delle periferie” anche se, ricorda la presidente «Il nostro impianto è stato bloccato per sei mesi dalla Soprintendenza nonostante fosse in periferia e visibile se non con un drone» [4].

Spostiamoci in Sardegna, dove due piccoli comuni poco distanti fra loro nel Medio Campidano, Ussaramanna (poco più di 500 residenti) e Villanovaforru (696 abitanti), hanno acceso la miccia per la rivoluzione energetica dell’isola. I due primi cittadini hanno le idee molto chiare in proposito. Maurizio Onnis, sindaco di Villanovaforru, analizza con lucidità la situazione subito dopo aver installato nell’autunno del 2021 l’impianto fotovoltaico:

«A quel punto la comunità energetica era fatta; c’era l’associazione, c’erano i soci, c’era lo statuto. L’unica cosa che mancava era il contatore, che spettava all’Enel installare », un vero “tappo” al reale utilizzo dell’impianto che ha indotto il sindaco a pensare che: «Né i grandi player energetici né la politica vogliono le comunità energetiche rinnovabili. Enel non ha voluto dirci quali cittadini erano serviti dalla cabina di bassa-media tensione di riferimento e abbiamo dovuto scoprirlo noi con un sondaggio» [5].

Anche il sindaco di Ussaramanna al suo secondo mandato, Marco Sideri, è pienamente consapevole di aver costituito, con la creazione della “comunità energetica”, un sistema virtuoso grazie al quale il piccolo comune contribuisce all’abbattimento di agenti inquinanti con 26 tonnellate di CO2 in meno. Le sue intenzioni non sono state fiaccate nemmeno dalla lunga attesa di poter vedere in funzione l’impianto, al quale manca solo l’allaccio finale già in calendario per novembre 2021!

«Lo scopo di questo progetto era di far diventare i cittadini protagonisti di qualcosa di innovativo oltre avvicinarli sempre di più alle tematiche ambientali. L’obiettivo di lungo periodo è quindi quello dell’autosufficienza energetica, per un ulteriore abbattimento dei costi in bolletta e per un futuro sempre più green» [6].

Dopo la Sardegna, la Sicilia. A Caltanissetta, in uno dei capoluoghi fanalino di coda della Regione, sta nascendo la prima comunità energetica dell’isola grazie agli sforzi organizzativi del presidente di un comitato di quartiere affiancato da Italia che Cambia, associazione di promozione sociale.

Appare evidente come questo fermento organizzativo di comunità, pubbliche amministrazioni, stia a dimostrare che la sensibilità verso i problemi di sostenibilità ambientale siano enormemente cresciuti e forse non c’è da stupirsi se il fenomeno non venga pubblicizzato più di tanto. È un nuovo modello organizzativo che cerca spazio per affermarsi e, come tutte le novità, ha bisogno di tempo anche per bilanciarsi. Però bisogna fare anche molta attenzione a chi tenterà di bloccare questa rivoluzione quasi silente che sta lentamente ribaltando il modello tradizionale dei rapporti tra chi produce e chi consuma. Il possibile passaggio da un modello verticale ad uno orizzontale dove i consumatori – cioè i cittadini in senso lato – si conoscono, si parlano, producono e rivendono, non farà di certo felici gli attuali detentori dei sistemi di produzione.

Stefano Ferrarese

[1] https://greenreport.it/news/economia-ecologica/red-ii-in-italia-e-legge-lormai-vecchia-direttiva-ue-sulle-rinnovabili/#:~:text=La%20direttiva%20Red%20II%20stabilisce,%2C%20fermandosi%20ovvero%20al%2030%25, 22 ottobre 2022
[2] Andrea Ballocchi, https://www.lumi4innovation.it/rinnovabili-norme-red-2-in-italia/, 7 dicembre 2021
[3] Giulia Cimpanelli e Cecilia Mussi, https://www.corriere.it/tecnologia/22_settembre_26/comunita-energetiche-cosa-sono-crearle-dec40477-d6f0-4f05-b6d2-8a648d344xlk.shtml, 26 settembre 2022
[4] https://legambiente.campania.it/2021/03/09/a-napoli-la-prima-comunita-energetica-ditalia/, 20 ottobre 2022
[5] Francesco Bevilacqua, https://www.italiachecambia.org/2022/04/comunita-energetiche-sardegna/, 28 aprile 2022
[6] https://www.radiox.it/programmi/un-caffe-a-radio-x/comunita-energetiche-e-fonti-rinnovabili-un-caffe-a-radio-x-con-marco-sideri/, 19 maggio 2022

 

 

 

 

 

 

 

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