
Donald Trump continua con la sua politica di confronto brutale con tutti coloro che sono, o semplicemente possono trovarsi, sulla strada degli interessi americani e personali. In queste settimane il confronto con l'Europa sembra essere diventato un vero è proprio scontro.
Al G7, tenutosi in Canada lo scorso giugno dove erano presenti le quattro nazioni (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) più potenti del vecchio continente, Trump ha sostanzialmente irriso i partner arrivando tardi e andandosene prima e ponendo l'accento sulla opportunità del rientro della Russia in senso al consesso e sullo storico incontro con il leader nordcoreano Kim Jong-un. A proposito della Russia va sottolineato che sono gli Stati Uniti a continuare a spingere per le sanzioni, mentre se ne chiede la riammissione al G7 dopo che nel 2014 era stata estromessa in conseguenza dell'annessione della Crimea.
La mancata firma sulla dichiarazione congiunta soprattutto perché non ha voluto il riferimento all'espressione “sistema basato su regole” chiarisce quanto la sua diplomazia non sia un insieme di rapporti multilaterali ma di prove di forza tra due contendenti.
L'indebolimento passa anche da un Europa incapace di rispondere all'unisono e con la messa in atto di azioni concrete e passa anche da una strategia di scontro con le singole nazioni, facilitato dalla disparità delle posizioni.
L'esempio più clamorose è il comportamento nei confronti della Gran Bretagna sul tema della “soft” Brexit, avendo di fatto sostenuto le tesi del ministro degli Esteri Johnson che si è dimesso perché «il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili. Così ci avviamo ad assumere lo status di una colonia dell'Ue». Ma cosa ancor più grave è la dichiarazione di Trump secondo il quale il piano di Theresa May di mantenere una stretta relazione economica con l'Ue, dopo la Brexit, “probabilmente ucciderà” un accordo di libero scambio con gli USA.
Aveva detto tempo addietro che la Nato è “obsoleta”, ma la questione sono le spese che le nazioni europee spendono o meglio non spendono – secondo il credo di Washington – per l'organizzazione militare. Era richiesto un impegno del 2% del Pil per le spese per la difesa (sarebbe meglio dire per la guerra), ma ora l'asticella sembra esser posta al 4% come ha detto lo stesso presidente americano. Ha lasciato il meeting della Nato raccontando tra tweet e conferenza stampa di aver ottenuto quanto voleva, ma di fatto è stato smentito dallo stesso segretario generale della Nato Stoltenberg che ha spiegato come i 41 miliardi di stanziamenti aggiuntivi erano già previsti.
Il suo modello negoziale sembra abbia previsto nel caso della Nato anche qualche affermazione circa l'uscita degli USA dall'organizzazione se non avesse ottenuto quello che voleva. Una baggianata insostenibile prima perché è una struttura che favorisce gli americani tenendo, di fatto, sotto controllo l'Europa e secondo perché il presidente USA non può con nessun atto decidere di uscire dalla Nato ma deve farlo il Senato.
Come dicevamo qualsiasi struttura multilaterale fa venire l'orticaria al presidente Trump, e così oltre alla Nato anche l'Organizzazione mondiale per il commercio che ha obbiettivo l'abbassamento delle tariffe e stabilisce le modalità con cui gli stati possono avviare misure protezionistiche, è sotto assedio tanto che da tempo gli Stati Uniti bloccano alcune nomine all'interno dell'organizzazione proprio per ingessare tutti i processi.
All'interno della guerra commerciale un posto privilegiato rischia di assumerlo la Germania. In questo caso il presidente ha usato una mano ancor più pesante accusando la Germania di «essere prigioniera della Russia», aggiungendo «i tedeschi hanno chiuso le le loro miniere di carbone, hanno abbandonato il nucleare, e così alla fine dipenderanno per il 60%-70% dal gas naturale russo». Non bastasse ha ricordato il fatto che un ex cancelliere social democratico, Gerhard Schroeder sia uno degli amministratori di un'azienda energetica russa. Dal settembre 2017, in effetti, Schroeder è presidente di Rosneft azienda petrolifera statale russa.
Nel mirino, oltre alle importazioni di gas dalla Russia, ci sono le auto importate dalla Germania negli USA che con un dazio del 20% il costo per i tedeschi si potrebbe aggirare tra i 5 e i 20 miliardi di dollari. In generale lo squilibrio commerciale a vantaggio della Germania supera i 50 miliardi di dollari.
Mi sembra di capire che la strategia del presidente sia quella di indebolire l'Europa spostando l'asse del potere a vantaggio degli Stati Uniti che potrebbero confrontarsi più facilmente con le altre superpotenze.
Pasquale Esposito
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