
Sono trascorsi poco più di due anni da quando si svolsero le prime elezioni libere dopo la caduta del regime di Ben Ali e la Tunisia è di fatto paralizzato e impossibilitato ad incamminarsi verso la democrazia e una maggiore giustizia sociale.
Dopo la rivoluzione del gennaio 2011 c'è stata una continua escalation della violenza, secondo molti osservatori, è ascrivibile ai movimenti jihadisti e al mancato contrasto del governo, che ha portato prima all'assassinio del segretario del Partito dei patrioti democratici Chokri Belaïd e poi, nel luglio scorso, all'uccisione di Mohamed Brahmi dirigente del Fronte popolare e deputato dell'Assemblea costituente. Da allora la protesta delle opposizioni si è fatta serrata costringendo il governo e il partito islamista Ennahda ad accettare l'idea di un passo indietro. Una delle principali accuse nei confronti di Ennahda è quella di voler imporre un'agenda islamista in un paese con la più diffusa tradizione laica del mondo musulmano.
Tunisia. La signora Basma Khalfaoui (Khalifawi), vedova di Chokri Belaïd, ad una manifestazione. Foto Cristina Mastrandrea
Nonostante le proteste, manifestazioni e violenti disordini che percorrono tuttora le strade delle città non c'è stata una deriva da scontro frontale come in Egitto o peggio da guerra civile come in Siria o Libia. Qui ha forse influito un ruolo più neutrale dell'esercito tunisino.
Il 5 ottobre scorso dopo una snervante trattativa Rachid Ghannouchi, leader del movimento islamista Ennahda, per conto del governo firmava il Piano di Riconciliazione Nazionale con Al-Mwaldi Al-Riyahi, membro di primo piano del Forum Democratico per il Lavoro e la Libertà, che lo faceva a nome dell'opposizione. Un ruolo determinante in questi passaggi è stato svolto dall'Unione Generale del Lavoro Tunisina (UGTT) il sindacato che con i suoi cinquecentomila iscritti è sempre più dentro al dibattito politico del paese.
A questo accordo non hanno apposto la firma il Congresso per la Repubblica (Cpr), partito del presidente Moncef Marzouki che ha presenziato comunque alla cerimonia e altri quattro partiti minori.
Questo accordo prevede la formazione di un nuovo governo indipendente e di natura tecnica la cui composizione deve essere negoziata e che avrà pieni poteri. Il primo passo e cioè le dimissioni di quello attuale non è stato ancora fatto nonostante le promesse in varie occasioni . Gli obbiettivi da portare a termine saranno l'approvazione della Costituzione, la legge elettorale e il calendario delle prossime elezioni.
Il 25 ottobre dopo vari rimandi il segretario generale Ugtt ha potuto annunciare l'avvio dei colloqui riservati dichiarando: «Oggi è un giorno importante nella storia della Tunisia. Il mondo intero ci guarda e si aspetta che ce la facciamo e noi abbiamo registrato il nostro primo successo con il lancio ufficiale del dialogo nazionale».
Tunisia. Tunisi. Quattro calci in piazza della Kasbah dove risiede il Primo Ministro. Foto Cristina Mastrandrea
Vedremo se nei prossimi giorni la situazione si sbloccherà per affrontare quei temi dove il governo del partito islamista Ennahda ha fallito, dallo sviluppo economico, alla disoccupazione, alla corruzione, all'occupazione delle cariche, alla nuova organizzazione istituzionale, fino all'inattività quando non alla copertura delle violenze a vari livelli da parte degli estremisti religiosi. L'economia tunisina potrebbe non ricevere 1,74 miliardi di dollari dal FMI sospesi a giugno per le mancate riforme generando ulteriori problemi per il futuro del paese.
Non va dimenticato che il terrorismo si è rafforzato e che si sono aggravati gli scontri tra l'Esercito e i militanti legati ad al-Qaeda lungo il confine occidentale con l'Algeria che mettono a repentaglio il controllo del territorio.
Vedremo già dalle prossime settimane se questo accordo sarà una vera chance per il popolo tunisino e la sua rivoluzione.
Pasquale Esposito
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