
Il Guatemala, come il suo vicino ingombrante e violento Messico, rischia di finire nelle mani della criminalità della droga.
Il tema più pubblicizzato e discusso della lunga campagna elettorale è stato appunto la lotta al narcotraffico. Dopo il ballottaggio, col quasi il 55% dei consensi, il generale “mano dura” Otto Pérez Molina del Partido Patriota è stato eletto alla presidenza della repubblica.
Guatemala. Antigua. Foto Claudio Fiore
Da quelle parti né il vincitore né il suo sfidante Manuel Baldizón, l’imprenditore populista del partito Lider (Libertad democrática renovada) hanno minimamente preso in considerazione il War on drugs – Report of the global Commission on drug policy che la Commissione ONU ha diffuso lo scorso giugno e dove esperti hanno inequivocabilmente dichiarato che la guerra militare alla droga ha fallito in ogni parte del mondo.
Una campagna elettorale che invaso ogni angolo che potesse sopportare un messaggio e, considerando la povertà del paese, con delle spese folli. In barba a qualsiasi limite imposto dalla legge sono stati spesi più di 5 dollari per ognuno dei 7,3 milioni di elettori e cioè una cifra quasi doppia di quella delle presidenziali USA.
La campagna elettorale è stato anche teatro di violenze fino a contare alcune decine di morti che i possono collegare alla battaglia politica. Uno scontro che ha avuto i suoi risvolti anche nel corso delle votazioni stesse, da semplici irregolarità ad intimidazioni vere e proprie.
A questa tornata, per l’elezione del presidente, non ha preso parte la sinistra socialdemocratica di governo del presidente in carica Álvaro Colom Caballeros. Tutte le magistrature del paese hanno bocciato la candidatura della first lady Sandra Torres che aveva divorziato per aggirare i divieti costituzionali della candidatura per il presidente in carica e dei suoi parenti.
L’esclusione della moglie del presidente non ha ovviamente impedito al partito di concorrere per i 158 deputati, i 333 sindaci e relativi consigli municipali e per i 20 seggi al parlamento centroamericano. Elezioni che si sono svolte in contemporanea con la prima tornata per le presidenziali.
Il primo partito per numero di seggi (58) è risultato Partito patriota del prossimo capo dello Stato Pérez Molina, mentre al secondo posto troviamo la coalizione (Unidad nacional de la esperanza di Álvaro Colom Caballeros e la centrista Gran alianza nacional) del governo uscente 47 deputati. Con soli 14 deputati troviamo il partito dello sfidante Manuel Baldizón e con lo stesso numero di seggi il Compromiso, renovación y orden e cioè il partito del terzo arrivato al primo turno il professore universitario Eduardo Suger. A 13 deputati troviamo la Unión del cambio nacional di estrema destra. A seguire con 6 deputati l’alleanza tra Visión con valores e l’Encuentro por Guatemala dell’attivista per i diritti umani Nineth Montenegro. La Nobel per la Pace e leader maya Rigoberta Menchú con la sua alleanza avrà due deputati. La Menchú è direi il simbolo della scarsa rappresentatività delle elezioni in quanto unica candidata dell’etnía maya k’iche´ in considerazione del fatto che più del 60% della popolazione guatemalteca è di discendenza maya.
Nel governo delle realtà locali la maggioranza è andata invece alla coalizione del presidente uscente che quindi con i suoi deputati potrà continuare a giocare un ruolo importante per il paese.
Restano seri dubbi su come il paese affronterà il futuro al di là delle solite dichiarazioni sulla lotta alle sperequazioni, tra le più alte della terra, e alla povertà. Anzi la priorità data alla guerra alla violenza con altra violenza non lascia sperare nulla di concreto per queste popolazioni tra le più martoriate del pianeta. E visto quanto accaduto e sta accadendo nelle varie battaglie in corso tra Messico Colombia solo per fare due esempi nel continente.
Più di un milione di bambini al di sotto dei cinque anni sono denutriti e più della metà della popolazione è sotto la soglia della povertà con una percentuale che cresce enormemente tra gli indigeni. La violenza è una costante della vita di questo paese con oltre seimila omicidi nel 2010 e poco meno della metà collegati al narcotraffico.
Una violenza che è dentro la storia del Guatemala che tra il 1960 e il 1996 ha contato oltre 200mila morti e 40mila desaparecidos. E per la quale solo ora si vede qualche spiraglio di giustizia, con la sentenza dell’agosto scorso che, prima nel su genere, ha condannato a seimilasessanta anni di carcere quattro ex militari riconosciuti colpevoli dell’assassinio di 201 indigeni nel 1982.
Il neo eletto è stato generale dell’esercito e capo dell’intelligence che se nella sua biografia risulta come oppositore del tentato golpe del ’93, ma resta fortemente invischiato nelle storie di violenze perpretate dall’esercito ai danni dei civili nelle comunità indie e campesine, contro i guerriglieri veri o presunti e senza parlare dell’omicidio di Juan Gerardi Conedera, vescovo ausiliare di Città del Guatemala trovato assassinato il 27 aprile 1998 e di cui è stato sospettato essere il mandante.
Pasquale Esposito
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