
Non c’è nessuna ragione economica né politica né tantomeno etica che possa giustificare lo straripare della ricchezza nelle mani di pochi individui. Non solo, la continua rapina perpetrata ai danni delle classi meno abbienti del pianeta oltre ad essere un’ingiustizia e causa di sofferenze, morti comprese, di miliardi di persone è anche uno dei motivi del disfacimento dell’ecosistema derivando il tutto dalla logica del profitto.
E di tutto questo sono complici i dirigenti politici in moltissime parti del mondo. Tra questi ci sono molti al governo che ancora si professano di sinistra e magari si richiamano a ideologie tradizionalmente anticapitaliste.
«Le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale» [1].
Quello che avete appena letto è l’inizio dell’articolo su Oxfam Italia che introduce il Rapporto WORKING FOR THE FEW appena pubblicato dall’associazione no-profit che si occupa di povertà e disuguaglianze. Siamo alla vigilia del World Economic Forum che si apre il 20 e dove si concentra il bel mondo che accumula ricchezze e intende plasmare la quarta rivoluzione industriale.
Il Rapporto Oxfam da una visione completa di un modo dove regnano sovrane sperequazioni e povertà e questi fenomeni sono andati crescendo anche dopo la crisi che dal 2008 ha sconvolto le economie di mezzo mondo e aveva messo a nudo le responsabilità di una finanza sempre più criminogena.
Nel 2010 erano 388 i miliardari più ricchi che detenevano patrimoni dello stesso valore di quello della della metà più povera del pianeta. Nel 2014 erano 80, mentre oggi sono 62. Stiamo dicendo che 3,6 miliardi di persone messe insieme hanno la stessa ricchezza di 62 miliardari e per i quali i loro patrimoni è aumentato di più di 500 miliardi, mentre la metà più povera vedeva diminuita la sua già misera ricchezza del 41%.
L’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012.
Attualmente quasi il 50% della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale il cui reddito ammonta a 110.000 miliardi di dollari e cioè 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo.
I paesi che hanno visto un accaparramento particolarmente spiccato da parte dell’1% dei “paperoni” sono li USA, la Cina e il Portogallo dove hanno più che raddoppiato la loro percentuale sul totale della ricchezza nazionale dal 1980. Anche i paesi considerati più egalitari come la Svezia e la Norvegia hanno visto l’1% più ricco accrescere di oltre il 50% della loro quota sulla ricchezza della nazione.
Un sondaggio effettuo dalla stessa Oxfam in sei paesi (Spagna, Brasile, India, Sudafrica, Gran Breagna e USA) spiega come di fatto è diffusa nella maggior parte degli intervistati l’idea che leggi e regolamenti sono confezionati per concedere benefici ai ricchi.
Sempre nel Rapporto si scrive che la «concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi comporta indebite influenze politiche, che in ultima analisi, priva i cittadini dei redditi derivanti dalle risorse naturali, produce politiche fiscali inique e incoraggia pratiche di corruzione, e sfida i poteri regolamentari dei governi».
E come scrive Andrea Baranes «in questo quadro, di quale ripresa, di quale crescita, di quale economia parliamo? Tralasciamo l’insostenibilità ambientale e persino l’ingiustizia sociale. Guardiamo unicamente le conseguenze economiche. In uno studio recente l’Ocse ricorda che le diseguaglianze hanno causato una perdita di oltre 8 punti di Pil in vent’anni. Un’enormità. Il motivo è semplice: se famiglie e lavoratori sono sempre più poveri, calano i consumi e quindi la domanda aggregata. Una “soluzione” è indebitare famiglie e imprese per drogare la crescita del Pil. È il modello subprime, un’economia del debito che può funzionare per qualche anno, finché inevitabilmente la bolla non scoppia» [2].
Non mi sembra possibile che questi processi di concentrazione possano avere fine con leggi e regolamenti che cambiano se non si mette la museruola al profitto che è diventato l’unico parametro da considerare in una società
Pasquale Esposito
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