Un naufragio quasi dimenticato: la nave Struma nel 1942

relitto di nave
history 6 minuti di lettura

«De ce? Perché?» si è chiesto David Stoliar, ebreo rumeno, per tutta la sua lunga vita. «Perché sono sopravvissuto solo io e tutti gli altri, tutti quei ragazzi, quegli uomini, quelle donne, quei bambini, no?».
Il Corriere della Sera del 25 febbraio 1942 riportava la notizia di due piroscafi turchi affondati nel Mar Nero dai Russi. Nel sottotitolo si leggeva: «Uno dei vapori, carico di ebrei, silurato. Si ignora la sorte degli 800 passeggeri». Il testo dell’articolo raccontava brevemente della Struma, così si chiamava l’imbarcazione affondata, senza rendere conto fino in fondo del dramma iniziato in realtà mesi prima, nella città rumena di Costanza, e senza menzionare gli altri responsabili di un naufragio tragico che poteva essere evitato.

Serenade for Nadia di Zülfü LivaneliNon è una storia molto conosciuta, quella della Struma. Io ne ho sentito parlare per la prima volta leggendo il romanzo Serenade for Nadia dello scrittore turco Zülfü Livaneli, che inserisce il racconto del naufragio in una trama di fantasia. Terminato il libro ho subito cercato notizie su quel fatto, sperando che non fosse vero, che fosse frutto dell’immaginazione dell’autore come il resto. Ma non è così. Quell’imbarcazione, normalmente destinata al trasporto del bestiame sul Danubio, aveva davvero lasciato il porto di Costanza il 12 dicembre 1941, dopo essere stata affittata dalla Nuova Organizzazione Sionista, un gruppo fondato dall’attivista dell’ultradestra laica Ze’ev Jabotinski.

A bordo, quasi 800 ebrei che fuggivano dalle persecuzioni feroci del regime filonazista e antisemita di Ion Antonescu. Alla fine del giugno dello stesso 1941 la città di Iasi era stata teatro di un pogrom terribile, anch’esso non sufficientemente noto, che aveva visto la morte di 13.266 ebrei. La vita per la grande comunità ebraica di Romania, la terza in Europa dopo quelle di Polonia e Unione Sovietica, era diventata impossibile, l’aria irrespirabile, tanto da spingere centinaia di persone a pagare un prezzo esorbitante per salire su un vecchissimo e malconcio piroscafo diretto in Palestina, dove speravano di rifarsi una vita degna di essere vissuta.
Fin da subito il motore si bloccò, la nave non partì. I doganieri rumeni sopraggiunsero con un rimorchiatore, facendosi consegnare orologi, anelli e le poche cose di valore che i fuggiaschi avevano portato con sé, e riuscirono a fare ripartire la Struma. La salvezza sembrò farsi vicina e il miraggio di quel sogno di futuro fece passare in secondo piano le terribili condizioni a bordo: un solo bagno, due scialuppe, niente acqua, il terrore di muoversi e far ribaltare l’imbarcazione. Ne ha raccontato il già menzionato David Stoliar, allora diciannovenne imbarcato con la fidanzata Ilse. Suo padre gli aveva pagato il biglietto, voleva salvarlo certo che in Palestina, allora sotto mandato britannico, sarebbe stato accolto.
La prima tappa prevista dal viaggio era Istanbul. Lì, si pensava a bordo della Struma, sarebbero stati consegnati i visti per l’emigrazione in Palestina, quella Terra che era davvero una grande Promessa. In vista della costa turca, però, il motore andò di nuovo in avaria. Si chiesero soccorsi, le autorità turche rimorchiarono l’imbarcazione nel Bosforo e la misero in quarantena. E qui cominciò la vera tragedia.
I visti per quelle persone non c’erano, di fatto essi stavano entrando illegalmente in Palestina, in contrasto con le disposizioni del Libro Bianco britannico che dal 1939 aveva fortemente limitato l’immigrazione ebraica. I turchi volevano che la nave venisse riparata per poi farla proseguire per Haifa, ma gli inglesi si ostinavano a non dare l’autorizzazione. Il ministro degli Esteri Anthony Eden e l’alto commissario britannico in Palestina, sir Harold McMichael, si opposero. Erano tante, troppe le persone da accogliere, oltretutto per la maggior parte con il passaporto della Romania, nazione in guerra con la Gran Bretagna.
Il rimpallo di responsabilità tra le autorità britanniche e la Turchia continuò per settimane. Qualcuno riuscì a fare arrivare a bordo un po’ di cibo e medicinali, ma la situazione si fece sempre più disperata: era inverno, faceva freddo, le condizioni igieniche erano al di là dell’immaginabile e le malattie iniziarono a imperversare. Si immaginarono alcune proposte: far sbarcare i ragazzi più giovani, le donne, le famiglie, ma non si ottenne nulla. Sbarcarono solo quattro persone già in possesso dei visti palestinesi e una donna incinta. A un certo punto vennero fatte recapitare a bordo un centinaio di cartoline, in modo che i disperati potessero comunicare con i loro cari.
«Mia cara», scriveva Ozias Blank, economista appena trentenne, il 14 febbraio 1942, «sono a bordo della Struma davanti a Istanbul da due mesi con molti altri emigrati, con nessuna connessione con il mondo esterno, in condizioni terribili e con nessuna prospettiva. Ti chiedo: fate tutto quello che potete per salvarci, la nostra situazione è disperata». E poi aggiunse, quasi a giustificare quella che poteva essere giudicata come avventatezza: «Se non fosse stato per le fruste brandite dai seguaci di Hitler, 769 persone non avrebbero mai osato lasciare la propria vita alla mercé delle onde ostili e dei mari in tempesta, all’interno di un guscio di noce che stava faticosamente a galla a causa del proprio peso».
Il 23 febbraio 1942, dopo un ultimatum lanciato dalla Turchia agli inglesi che cadde nel vuoto, la terribile decisione fu presa. E allora, e mentre lo scrivo tremo e non posso crederci davvero, la polizia turca salì a bordo e tagliò gli ormeggi. La nave venne lasciata alla deriva a cinque miglia nautiche dalla costa e, con lei, qualunque senso di solidarietà umana, qualunque briciolo di civiltà. Il mattino seguente, il siluro di un sommergibile sovietico colpì in pieno la nave che colò a picco. Alcuni morirono subito, altri affogarono dopo ore nell’acqua gelata. L’unico superstite fu appunto David Stoliar, che resistette per 24 ore aggrappato a un rottame e venne salvato da una barca turca, portato in ospedale e poi, per due mesi e mezzo, in carcere per immigrazione illegale.
Stoliar morì più di settant’anni dopo, nel 2014, negli Stati Uniti, dopo una lunga, lunghissima vita senza smettere di domandarsi «perché?». In una delle sue testimonianze ha detto, pensando ai suoi compagni di sventura e alla sua fidanzata Ilse: «Penso a voi tutto il tempo e aspetto con impazienza il giorno in cui potremo riunirci. Spero che quel giorno non ci metta troppo ad arrivare».

Giuliana Arena

canale telegram Segui il canale TELEGRAM

-----------------------------

Newsletter Iscriviti alla newsletter

-----------------------------

Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

In this article