
L’assegnazione del Nobel per la pace all’Unione Europea è un grande riconoscimento per tutti i cittadini dell’Unione e un’occasione di riflessione.
Dal 1972, l’Inno alla gioia (musica di Beethoven e testo di Schiller) è stato scelto quale inno europeo.
“Alle Menschen werden Brûden”: tutti gli uomini diventano fratelli.
Strasburgo, Parlamento d’Europa. 8 agosto 12. Foto Ciro Ardiglione
L’assegnazione del premio Nobel per la pace all’Unione Europea dovrebbe essere vissuta con orgoglio da tutti i cittadini dell’Unione.
Le ombre di questi anni, legate alla profonda crisi economica che stiamo attraversando, non sono dissolte con questo semplice atto.
Le perplessità e i dubbi, ciclicamente espressi da più parti, sul reale valore politico e sociale – oltre che economico – dell’Unione Europea, non sono dissolti da una pagina gloriosa.
Di sicuro, il premio contiene un monito e offre un’indicazione.
Sarajevo, lapidi dei morti durante l’assedio alla città. Foto Lorena Franzini. Agosto 2012
Il monito riguarda il compimento di un reale percorso d’integrazione europea quale barriera a facili rigurgiti nazionalisti, e addirittura razziali che attraversano di sovente il vecchio continente.
L’indicazione, oserei dire quasi brutale, è che indietro non si torna per almeno due buoni motivi:
il primo punto è che siamo a metà dell’opera e non si possono gettare alle ortiche i sacrifici fatti per la volontà di evitarne di nuovi;
il secondo è legato alla memoria del passato con le drammatiche divisioni, guerre e distruzioni che hanno caratterizzato la storia europea di non molti anni fa.
Il più lungo periodo di pace che l’Europa conosce è anche derivato dalle devastanti vicende delle due guerre mondiali, dei più assurdi regimi dittatoriali della storia, delle divisioni legate all’imperialismo e al colonialismo.
Mostar, casa sventrata a causa dei bombardamenti. Foto Lorena Franzini. Agosto 2012
La guerra non appartiene ai libri di storia e all’obbligo d’istruzione; la guerra è la messa in forse del futuro, delle attese, dei progetti e anche degli amori di ogni singolo individuo coinvolto.
Questo dobbiamo far comprendere ai nostri giovani; questo dobbiamo ricordare con costanza e dedizione.
L’Europa, con le sue mille contraddizioni storiche e attuali, è uno spazio simbolico oltre che commerciale; è una riflessione sull’idea di futuro che intendiamo perseguire.
Il Manifesto di Ventotene, superbo punto di riferimento per qualunque definizione di un ideale europeo, fu elaborato da Spinelli, Colorni e Rossi nel 1941, nel pieno di una guerra, nel pieno di una tragedia mondiale e personale, nel pieno di un periodo buio.
I grandi sogni nascono nell’amarezza e nella paura e indicano una via d’uscita, un orizzonte nuovo, una strada da percorrere.
L’Italia, dalla sua Costituzione Repubblicana e dalle azioni dei suoi governanti del dopoguerra, si è collocata nel novero delle nazioni che hanno avuto a cuore il disegno di un’Europa unita.
Una nazione semidistrutta e tutta lanciata alla ricostruzione ha intravisto, nei trattati che hanno segnato i passi della costituzione di un’Unione Europea, le tappe decisive anche del suo sviluppo.
Oggi in un’Italia avvilita dalla crisi di una politica ridotta a latrocinio o a scarsa capacità di progetto, con il peso di una crisi economica disastrosa, gli italiani possono gioire per questo premio Nobel, vedendo in esso uno sprone a riconquistare una visione alta della politica che sappia essere insieme realismo e speranza, amministrazione e progetto, buongoverno e ricerca di un bene comune.
Antonio Fresa
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