
Ai tempi della politica via Twitter, come quella del presidente americano, è difficile fare valutazioni immediate su quanto va accadendo. Il tweet «Abbiamo sconfitto l’Isis in Siria, l’unica ragione di essere lì», preannuncia l’uscita dal pantano siriano delle forze armate americane. Addirittura fonti del governo avrebbero dichiarato alla Reuters che il piano di ritiro dei militari sarebbe previsto tra 60 e 100 giorni.
Ma il fatto che questa decisione, come da diverse parti è stato spiegato, non è stata condivisa e coordinata con il resto dell’amministrazione che conta, a cominciare dal Pentagono, men che mai con gli alleati della Nato, lascia intuire che Trump possa fare da qui a qualche ora o giorno un passo indietro o magari aggiungere dei distinguo che consentano di prendere tempo.
Del resto una delle accuse ad Obama, in politica estera, è stata quella di essersi ritirato troppo presto dall’Iraq danneggiando gli interessi del Paese. Da più parti, adesso gli rimproverano la stessa cosa: il ritiro delle truppe dalla Siria, anche perché l’Isis non è stato definitivamente sconfitto, è un errore almeno nei tempi. Gli stessi esponenti del Partito repubblicano, «i senatori del GOP hanno espresso critiche feroci al vicepresidente Mike Pence mercoledì per la decisione del presidente Donald Trump di ritirarsi dalla Siria […] Il senatore Lindsey Graham ha detto a Pence che è stato “offeso personalmente” nel leggere la decisione dal notiziario piuttosto che ascoltarla direttamente dal presidente o dai suoi assistenti» [1].
Vedremo se nei prossimi giorni saranno confermate la decisione e i tempi di abbandono della Siria da parte dei 2.000 soldati americani. L’area che da sempre Trump aveva considerato di competenza russa, viene lasciata nelle mani del dittatore Bashar al-Assad, parziale vincitore della guerra anche con l’uso di armi chimiche e con il fondamentale supporto delle forze armate di Mosca e soprattutto viene data mano libera al presidente turco Erdoğan che da settimane parla di una prossima operazione militare a est dell’Eufrate, cioè nella zona attualmente controllata dalla coalizione Usa-Pk. Se finora un conflitto che coinvolgesse due membri della Nato non era pensabile ora il ritiro degli americani e del loro appoggio sul campo ai curdi finirà con l’avviare l’ennesimo spargimento di sangue, distruzioni e l’ulteriore migrare di profughi.
In Turchia, al confine della Siria, vivono già quasi quattro milioni di profughi siriani che il governo turco gestisce «bisogna ammetterlo, con grande efficienza» [2] anche grazie ai sei miliardi di fondi che l’Ue ha consegnato ad Ankara, il rischio è che invece di attenuarsi la guerra riesploda.
Tornando alla decisione di Trump, con il pretesto della sconfitta del califfato, qualche dubbio rimane, anzi “la decisione, ancor prima che l’ISIS sia sconfitta sul campo, può provocare una massiccia rinascita dell’ISIS entro la fine di quest’anno“, secondo Nicholas Heras del Center for a New American Security [3].
È di queste ore la notizia che l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) «ha rilasciato dati dai quali emerge che l’Isis ha ucciso circa 700 prigionieri negli ultimi due mesi nelle zone orientali del Paese. Un bilancio che, per forza di cose, non può essere verificato in maniera indipendente sul terreno» [4].
È una vittoria anche della Russia e «i funzionari russi hanno espresso cauta soddisfazione per la decisione di Trump. La Russia ha descritto a lungo la missione americana in Siria come illegale perché non è stata approvata dal governo di Assad. […]. Ma a Mosca c’era anche scetticismo sul fatto che gli Stati Uniti avrebbero effettivamente dato seguito alla decisione. Lo stesso presidente russo Vladimir Putin ha precedentemente annunciato i ritiri russi dalla Siria, ma l’esercito russo rimane attivo lì» [5].
Se le richieste per rimanere in Siria di Macron contano poco o niente, va detto – a proposito dell’effettivo ritiro – che non è chiaro nemmeno da un altro punto di vista: l’Iran. Trump ha avviato una feroce campagna contro Teheran, ha buttato alle ortiche un accordo che funzionava e ora lascerebbe la presenza del suo nemico numero uno del Medio Oriente incontrastata? O come scrive Rampini «tutto ciò accade in un contesto di ritirata più generale dell’America. Il petrolio arabo non le serve più: ora esporta il suo, […].Significa che le flotte militari Usa nel Mediterraneo, Golfo Persico e Oceano Indiano, presidiano rotte petrolifere vitali per l’Europa, l’India,la Cina, il Giappone, Ma non più per gli Stati Uniti» [6].
Pasquale Esposito
[1] David Brown, Gregory Hellman e Burgess Everett, “Republicans rip Trump’s surprise Syria withdrawal in meeting with Pence”, https://www.politico.com/story/2018/12/19/trump-us-troops-in-syria-1068734, 19 dicembre 2018
[2] Marco Ansaldo, “Turchia, il confine dei profughi «Per noi è tempo di ripartire»”, la Repubblica, pag. 13, 20 dicembre 2018
[3] Missy Ryan, “L’amministrazione Trump prevede di ritirare immediatamente le truppe americane dalla Siria, dicono i funzionari”, https://www.washingtonpost.com/world/national-security/trump-administration-plans-to-pull-us-troops-from-syria-immediately-defense-official-says/2018/12/19/4fcf188e-0397-11e9-b5df-5d3874f1ac36_story.html?utm_term=.261fcaa5dabb, 19 dicembre 2018
Paul Sonne, John Wagner, Josh Dawsey, Brian Murphy e Karen DeYoung a Washington, Anton Troianovski e Natalia Abbakumova a Mosca e Liz Sly e Louisa Loveluck a Beirut hanno contribuito a questo rapporto.
[4] “Gli Usa ritirano le truppe dalla Siria ma il Pentagono si oppone”, https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-12-19/gli-usa-ritirano-truppe-siria-ma-pentagono-si-oppone-155140.shtml?uuid=AECQxW2G, 19 dicembre 2018
[5] Missy Ryan, ibidem
[6] Federico Rampini, “«L’Isis è stato sconfitto» Trump si ritira dalla Siria e abbandona gli alleati”, la Repubblica, pag. 12, 20 dicembre 2018
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