
La recente rielezione alla Presidenza della Repubblica di Sergio Mattarella, il cui discorso d’insediamento in Parlamento è stato interrotto da ben 55 applausi (troppi per considerarli tutti realmente sentiti e in parte figli di una sorta di “pericolo scampato”), sembra aver palesato ancora una volta lo stato di estrema difficoltà in cui da tempo versa il quadro politico italiano. Le eterogenee e litigiose forze che appoggiano il Governo Draghi non si sono dimostrate in grado di trovare un’alternativa e Mattarella che, come è noto, a più riprese aveva chiarito di avere altri programmi per il suo futuro, di fronte alla pressante richiesta di quasi tutti i gruppi parlamentari non si è sottratto alle sue responsabilità in un momento molto delicato della storia italiana, figlio sì dell’emergenza Covid-19 ma anche di una sorta di crisi di sistema in realtà esplosa da più di dieci anni e, a quanto pare, non proprio sul punto di risolversi.
Valdo Spini, deputato al Parlamento per otto legislature fino al 2008, vicesegretario del PSI dal 1981 al 1984, politicamente vicino a Riccardo Lombardi, più volte ministro e sottosegretario, attuale presidente dell’Associazione delle Istituzioni culturali italiane (AICI) e della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, ha pubblicato un bel libro (Sul colle più alto) in cui, mostrando una notevole sensibilità storica, ha ricostruito le diverse elezioni dei presidenti dalle origini della Repubblica a oggi, tratteggiando le loro caratteristiche politiche e personali e provando a stilare un bilancio del loro operato, dai toni pacati anche quando non proprio positivo. La struttura del volume e la scrittura fluida facilitano la riflessione su momenti centrali della storia italiana anche perché Spini, alla fine di ogni capitolo dedicato ai singoli presidenti fino al primo mandato di Mattarella, si ritaglia uno spazio personale in cui, con ricordi e aneddoti, completa i diversi ritratti attraverso una ricostruzione su due piani o livelli. Uno prettamente storico (con un apparato di note opportunamente molto leggero); l’altro incentrato sulla memoria personale che, senza potersi sostituire alle imprescindibili fonti primarie (i documenti) e secondarie (i libri e i saggi), ne costituisce un arricchimento tutt’altro che marginale, utile a cogliere ancor meglio le atmosfere di fasi diverse dell’Italia repubblicana, spesso caratterizzate da drammatiche cesure.
La Repubblica italiana ha avuto due capi provvisori dello Stato (Alcide De Gasperi ed Enrico De Nicola, liberale giolittiano, eletto deputato nel 1909, Presidente della Camera al tempo della Marcia su Roma) e dodici presidenti. Luigi Einaudi (federalista, economista liberale, governatore della Banca d’Italia e ministro, anch’egli nel 1946 paradossalmente sostenitore dei Savoia); Giovanni Gronchi (tra i fondatori del PPI e della DC, favorevole all’apertura a sinistra verso il PSI ma sponsor di Fernando Tambroni, sostenuto dall’MSI nel 1960), Antonio Segni (componente della corrente democristiana dorotea, già ministro e Presidente del Consiglio, politicamente molto moderato e in stretti rapporti con il Generale Giovanni De Lorenzo, estensore del Piano Solo nel 1964 all’epoca della lunga e oscura crisi del I Governo Moro di centro-sinistra “organico”, ma nel 1950 primo firmatario di una riforma agraria attesa da tempo); Giuseppe Saragat (indiscusso leader socialdemocratico e artefice della scissione di palazzo Barberini dal PSI nel 1947); Giovanni Leone (avvocato democristiano spesso difensore di cause sbagliate, poco comunicativo e incisivo, alquanto distante dalla gente comune, il primo a dimettersi non per ragioni di salute ma per una dura campagna di stampa orchestrata dai radicali di Marco Pannella e dal settimanale L’Espresso su cui scriveva Camilla Cederna); Sandro Pertini (il coraggioso “presidente partigiano”, a lungo incarcerato dal fascismo, forse il più popolare anche se di carattere spigoloso, a cui Spini non a caso ha dedicato il capitolo più lungo); Francesco Cossiga (democristiano, Ministro dell’Interno all’epoca della strage di via Fani e dei drammatici 55 giorni che precedettero l’assassinio di Moro, istrionico, provocatore e affabulatore, custode come Andreotti di verità scomode, figura molto controversa, anch’egli dimessosi poco prima della fine del mandato, passato alla storia come il presidente “picconatore”); Oscar Luigi Scalfaro (proveniente dalla destra DC ma rivelatosi ben più versatile e aperto di quanto non si potesse immaginare, eletto subito dopo la strage di Capaci e poi inviso a Berlusconi); Carlo Azeglio Ciampi (ex militante del Partito d’Azione, come Einaudi già governatore della Banca d’Italia, Presidente del Consiglio nel 1993 e Ministro del Tesoro); Giorgio Napolitano (primo presidente ex comunista, il primo ad essere rieletto) e, appunto, Sergio Mattarella, entrato in politica dopo l’assassinio del fratello Piersanti (presidente della regione Sicilia) nel 1980, appartenente alla sinistra DC, deputato dal 1983 al 2008, ministro, poi giudice costituzionale e membro della Corte Costituzionale.
Persone molto diverse tra di loro, più o meno brillanti sul piano politico-culturale, non sempre vicine ai comuni cittadini e ai problemi della “vita reale”, differenti anche nel modo di interpretare il mandato assegnato loro. Qualcuno in modo quasi notarile, nel costante sforzo di non travalicare i compiti formalizzati dalla Costituzione (Einaudi); altri in maniera più politica, con l’idea di non rimanere chiusi nel palazzo e, con l’avanzare dei tempi, di innovare lo stile comunicando più direttamente con i cittadini senza dimenticare le sue origini, i sacrifici e le privazioni (Pertini). Non limitandosi al necessario dialogo con i capi di governo e i segretari di partito, ma entrando in aperto contrasto con alcuni di loro assumendo posizioni forti, polemiche e arrivando a scuotere, forse più di quanto oggi non si possa immaginare, un quadro politico-istituzionale apparso apatico e debole pure in passato. Indice, quest’ultimo, di una democrazia giovane e in via di consolidamento, fragile e non certo immune da pulsioni autoritarie favorite dalle molteplici incrostazioni del regime fascista, rese solide e durature da un ricambio molto parziale delle classi dirigenti in economia, nella magistratura, nell’esercito, nei servizi segreti e nelle forze dell’ordine, in settori strategici dello Stato e della società civile. Senza dimenticare la delicata collocazione internazionale dell’Italia nel complesso contesto della Guerra Fredda: in Occidente, ma con il più grande, organizzato e influente partito comunista dell’Europa “libera” e punta estrema del Sud del vecchio continente affacciata sul Mar Mediterraneo. Dunque un paese, l’Italia, inevitabilmente inserito in un costante e più ampio conflitto a bassa intensità con il blocco orientale guidato dall’URSS. Un conflitto caratterizzato, a più riprese, dal terrorismo politico e mafioso capace di alterare profondamente la dialettica democratica del paese e di condizionarne pesantemente lo sviluppo socio-economico e politico-culturale, frenando la tanto evocata modernizzazione di cui, ancora oggi, si parla troppo spesso dando ampio sfoggio di superficialità e di sterile retorica.
Spini riesce a far respirare la storia attraverso la rievocazione di episodi significativi, alcuni seri o addirittura drammatici, altri divertenti per non dire comici. Ai primi appartiene la rievocazione dell’ultimo colloquio del 10 giugno 1946 tra De Gasperi e il Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, al termine del quale il leader della DC, mostrando una grande determinazione, per far capire che dopo il referendum vittorioso del precedente 2 giugno la Repubblica non avrebbe più atteso, affermò: «Domattina o lei verrà a trovare me nel carcere di Regina Coeli o io verrò a trovare lei». Ai secondi appartiene la fotografia (non secondo tutti autentica), insieme triste e grottesca, che ritrae Leone fare le corna per scaramanzia, mentre visita i malati di colera all’ospedale Cotugno di Napoli nel 1973.
Nel libro si parla anche dei franchi tiratori, comparsi per la prima volta già nel 1948; della complessità delle trattative per arrivare a un nome condiviso, talvolta anche all’interno del partito di maggioranza relativa, cioè la DC; dei delegati regionali, compresi tra gli elettori del presidente (deputati e senatori) nel 1971 dopo l’istituzione delle Regioni; della nomina dei senatori a vita (anche in questo lo stile dei presidenti è stato diverso); del differente modo di interpretare l’atlantismo, di valorizzare il Risorgimento per rinforzare l’identità nazionale e ribadire la centralità dell’antifascismo, non proprio da tutti inteso come fondamento della Repubblica democratica; della diversa attenzione per la profondità della storia e per il suo rapporto con il presente e con il futuro; di chi, come Nenni, Fanfani, Craxi, Amato, Berlinguer, Merzagora, La Malfa, Prodi, Spadolini, Monti, pur non salendo al Quirinale, ha rivestito ruoli di primissimo piano nella politica; di II Repubblica e di un presente quanto mai incerto; dell’ingovernabilità (problema vecchio e nuovo), della frammentazione partitica e della crisi della politica, esplosa sì nel nuovo millennio ma già visibile almeno dagli anni Ottanta.
Tra le cose che questo libro ci ricorda con efficace semplicità, quindi, vi è la centralità delle radici di ogni tendenza e accadimento: soltanto chi non conosce o chi non ricorda la storia si sorprende ingenuamente di troppe cose, finendo per essere poco utile a se stesso e, nello stesso tempo (si può dire soprattutto), interpretando con miopia e scarsa lungimiranza le responsabilità che è chiamato a ricoprire in Parlamento, nei governi e ai vertici di una politica in crisi, ma della quale si avverte inevitabilmente, per non dire disperatamente, la necessità.
Andrea Ricciardi
Valdo Spini
Sul colle più alto.
L’elezione del presidente della Repubblica dalle origini a oggi
Solferino, 2021
pagg. 256
€ 16,00
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie