
Rispetto a quelle che potrebbero essere le aspettative del grande pubblico, la mostra curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti non è una mostra “block-buster”, dal momento che non si focalizza sulla produzione più conosciuta dell'artista. Ma, al contrario, senza tralasciare il periodo della maturità, propone un affascinante focus sui primi anni della carriera artistica di Vincent Van Gogh, “facendo luce” sul suo esordio, caratterizzato da opere piuttosto buie.
Palazzo Bonaparte apre le porte all'attesissima mostra: Van Gogh Capolavori dal Kröller-Müller Museum, forse la più grande esposizione post pandemia, realizzata dopo un attento ed approfondito lavoro di studio e ricerca durato ben cinque anni.
Grazie al generoso prestito del Kröller-Müller Museum, l'esposizione di Palazzo Bonaparte – che si compone di cinquanta opere, tra dipinti e disegni – guida il visitatore alla scoperta di alcuni aspetti della ricerca artistica e della personalità di Van Gogh meno conosciuti. Mettendo in risalto lo stretto legame tra l'evoluzione della sua pittura e la parabola della vita; evidenziando come e quanto il contesto ne abbia influenzato la ricerca in termini di soggetti e tavolozza.
La mostra si articola in un esauriente percorso cronologico che ne ripercorre, in quattro sezioni, le tappe principali della vita: l'Olanda, Parigi, Arles, fino a Saint-Rémy-de-Provence e Auvers-sur-Oise. L'itinerario viene aperto da una sezione introduttiva, dedicata al Kröller-Müller Museum, preziosa per contestualizzare la temperie culturale in cui queste magnifiche opere vennero raccolte. Come sottolinea la curatrice Francesca Villanti, Helene Kröller-Müller fu la prima, grande collezionista del pittore, dal 1908, anno in cui acquisì la prima opera fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1939.
Nei primi cinque anni olandesi, la pittura di Van Gogh è caratterizzata da tinte cupe e da soggetti legati alla vita rurale ed operaia. Egli, pur continuando a disegnare molto con la matita, mostra una grande padronanza nella tecnica pittorica. I suoi riferimenti dell'epoca sono Millet, Dubigny e, più in generale, i pittori della scuola di Barbizon, con cui condivide l'interesse per i soggetti umili, di cui mette in risalto le precarie condizioni di lavoro, come in Donne nella neve che trasportano sacchi di carbone, 1882. La sensibilità del pittore, sinceramente vicina ai personaggi ritratti, emarginati e sofferenti, emerge nelle opere che oltre a descriverne il disagio materiale, ne esprimono lo stato emotivo.

carboncino, acquarello opaco e inchiostro su carta velina, 32,1×50,1 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands
Nel 1886, spinto dalla necessità di confrontarsi con la vivace scena artistica della capitale, si trasferisce a Parigi. È il momento dell'inaugurazione dell'Ottava mostra Impressionista a cui partecipano anche Seraut, Signac e Gauguin; artisti dalla cui tecnica e cromie viene immediatamente folgorato.

Parigi, aprile – giugno 1887
olio su cartone, cm 32,8×24
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands
Sono di questo periodo opere come: Vaso di Fiori, un escamotage per esercitarsi nell'uso e accostamento dei colori; il celebre Autoritratto del 1887, opera cardine della mostra che qui viene presentata per la prima volta dopo il restauro. Dalla gamma cromatica schiarita e dai colori puri, accostati direttamente sulla tela, si evince come Van Gogh abbia assimilato la lezione neo impressionista, senza tuttavia aderire in toto alla corrente. Il suo stile è libero e disordinato non segue le rigide direttrici di Seraut, i colpi di pennello sono spessi, solidi, si muovono con disinvoltura sulla tela, andando così a restituire non solo l'aspetto, qui particolarmente fiero, del pittore, con lo sguardo profondo, scrutatore e malinconico, ma anche la sua tumultuosa personalità.
L'arte di Van Gogh non è etichettabile, egli non rientra in nessuna specifica corrente. Così, stanco della vita Parigina, sente il bisogno di andare oltre per esprimere la sua creatività. Nel 1887, ad Arles, la luce e gli abbacinanti colori diventano il centro della sua ricerca; come se rappresentassero un contraltare limpido alla cupezza interiore che lo stava, gradualmente, consumando. A differenza degli impressionisti, non intende descrivere la realtà ma utilizzare la pittura per rappresentare altro. Si fa più forte la ricerca di un parallelo con la musica, come a voler comporre, con i colori, una sinfonia. In questo periodo, l'acuirsi della malattia gli procura gravi crisi ma nei momenti di pace, egli riesce ad abbandonarsi all'arte, raggiungendo così quella da lui stesso definita la “nota alta”. Nel 1889 cerca rifugio alla Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence. Dove, nei momenti di libera uscita, continua a dipingere capolavori.
In mostra è esposto Il Burrone, un'opera che, nella mia ottica, rispecchia una visione benevola ed olistica della natura, tanto che l'elemento umano ne viene integralmente assorbito. Le rocce, vengono smussate dalle pennellate di Van Gogh, come se si stessero fondendo, perdendo l'originaria durezza. La natura restituita dal pittore è avvolgente, immanente ma non minacciosa; come se, nella sua immensa sensibilità, avesse intuito che la psicosi non deriva dal rapporto con la realtà materiale, ma con una realtà umana malata: anaffettiva e violenta, in breve disumanizzata. Lui che aveva bisogno di continue conferme, che era riuscito, nonostante tutto, a sviluppare un linguaggio artistico peculiare, decise di seguire il consiglio del fratello e di affidarsi alle cure del dottor Gachet, ad Auvers-sur-Oise, dove morì pochi mesi dopo.

Saint–Rémy, dicembre 1889
olio su tela, 73,2×93,3 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands
La vita di Van Gogh è breve ma intensa, la fortuna successiva: immensa. Questa mostra rende giustizia ad entrambe e rappresenta un appassionante viaggio

Auvers-sur-Oise, luglio 1890
olio su tela, 63,3×53,7 cm
© Kröller-Müller
alla scoperta di Vincent più che di Van Gogh. Attraverso le opere e i preziosi strumenti di approfondimento, come: i video focus di Costantino D'Orazio e le didascalie, arricchite da acute descrizioni che citano le parole dell'artista, tratte dalle numerose lettere che scrisse al fratello, il pubblico ha l'occasione di entrare in confidenza con l'uomo, più che con il personaggio.
L'epistolario, così come le opere di Van Gogh, sono giunti fino a noi grazie alla lungimirante intelligenza di due donne che ne intuirono il genio e l'elevatissima capacità artistica: Johanna Bonger ed Helene Kröller-Müller. Alla prima, moglie del fratello Theo, va riconosciuto il merito di aver compreso immediatamente il valore delle opere ereditate e di aver messo in atto una brillante strategia per farle conoscere ed apprezzare (di PR si direbbe oggi); oltre che di aver curato la pubblicazione delle sue numerose lettere. Alla seconda, quello di aver intuito l'umanità e la sensibilità artistica di Van Gogh e di esserne stata la prima, appassionata collezionista.
Del resto, a queste due figure che colsero la carica umana e l'enorme sensibilità dell'artista, in grado di esprimere con la sua pittura i sentimenti essenziali della vita, si deve anche questa mostra che, altrimenti, non sarebbe mai stata realizzata.
Ludovica Palmieri
Palazzo Bonaparte – Roma
8 ottobre 2022 – 26 marzo 2023
Van Gogh
Capolavori dal Kröller-Müller Museum
a cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie