
Ho visitato anche quest’anno la Mostra di Arte contemporanea presso il Mu.Mi a Francavilla al Mare. Interessante come sempre. Arte in evoluzione. “Rinascimento figurativo”. “Tornare alla sacralità della pittura, della scultura, della fotografia, alla viva e vera figurazione…” ha detto Giustozzi, Curatore della Manifestazione. E Karl Kraus : “in presenza dell’arte la realtà è solo un’illusione ottica”.
Unica delusione è quella di trovare una mostra in spazi ridotti, ordinari (un percorso di stanze nell’antico Edificio San Domenico), lasciando inutilizzata la grande e spettacolare Sala ipogea del Mu.Mi, dedicata al pittore Francesco Paolo Michetti, il personaggio storico-artistico più rappresentativo della splendente cittadina balneare di Francavilla al Mare.
La grandiosità del salone principale è dovuto al fatto che vi si collocavano, e collocano ancora, due immense tele del pittore Michetti, che dipingeva in grande, su immense tele di similsacco e tenui colori, quasi appena accennati, che però (miracolo!) uscivano fuori dalle tele e risaltavano (ancora oggi) con una luce straordinaria, inaspettata, magica, difficile da rintracciare in altre opere così appena velate. Solo effetto della grande dimensione?
In Francesco Paolo Michetti del Mu.Mi si riconosce l’estrosità e la curiosità indagatrice del “profondo abruzzese”, ancora molto “riservato”. Coacervo ad una più generale indagine innovativa del tempo, interessata all’intero mondo umano-sociale locale e universale. Facilmente riportabile ad un’attualità contemporanea sconcertante.
Del resto si deve a Francesco Paolo Michetti, anche in questo un artista visionario e poliedrico, la consuetudine di un originalissimo “Cenacolo michettiano francavillese”, al quale partecipavano Gabriele D’Annunzio, lo scultore Costantino Barbella, il musicista Francesco Paolo Tosti, il pittore Basilio Cascella, i poeti letterati Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao. Pittura, Scultura, Poesia, Letteratura, Musica.
Il Cenacolo si riuniva presso l’antico Convento di Santa Maria del Gesù a Francavilla al Mare, acquistato e restaurato dallo stesso Michetti, ovvero nel mastodontico Studio d’Arte (distrutto con la guerra) dello stesso, dove dipingeva le sue gigantesche tele, o allestiva scenografie fotografiche ed altro. Chissà se la pratica dei cenacoli artistici può tornare utile anche oggi, nella attuale confusione artistica, viceversa in senso poliedrico armonizzante.
In particolare Michetti era dedito, girando in lungo e in largo il suo Abruzzo, a scoprire ed utilizzare, alcune novità tecnologiche del tempo, come la “prima tecnica fotografica”, già allora scavando nelle espressioni nascoste dei personaggi e dei volti, mettendo in risalto quello che c’era dietro e dentro. Analogo spirito contemporaneo, fino ad oggi perseguito, che muove l’Arte in tutti i modi e sensi. In ordine sparso o disordinato, comunque sia. Quindi parallela e costante successione di Arte in evoluzione nelle mostre Mu.Mi. francavillesi. Con particolare e ultimo riferimento all’atmosfera degli ultimi eventi drammatici, pandemici (e bellici?). In particolare evidenziando la sofferenza di una “ricerca correlata”, che ancora caratterizza lo spirito confuso del contemporaneo “attuale”. Ma anche in un modo assolutamente nuovo nel considerare la contemporaneità stessa in generale, già diversa da qualche anno fa.
Il titolo e il tema della mostra del 2022 è Figura Figurae, con il sottotitolo dannunziano Immagine delle Immagini. Il titolo fa intendere il ritorno ad un Rinascimento figurativo, ma con il significato assoluto di bellezza, forse in un certo senso sbiadita nelle ultime incertezze culturali. Restituire sicurezza espressiva allora? La citazione dannunziana, invece, intende riportare la forza massima della nuova figurazione alla immagine sacrale. “E il Corpus Domini era per tutti noi, cercatori irrequieti di un’arte nuova, il Verbo dipinto; era, nella nostra chiesa, l’immagine delle immagini”.
Novità di quest’anno è stata anche la procedura “a tema“, proprio a seguito di titolo e sottotitolo sopra indicati. Diversamente da come spesso succede nelle mostre lasciate alla libera scelta dei partecipanti. Poli-rappresentativa: temi diversi a confronto. “Tema: svolgimento!”, non certo un ritorno scolastico, ma un invito ad interpretare il particolare momento che stiamo attraversando, confrontandolo in modo anche emozionale. L’Arte può questo!
Altra novità è il “Michetti-Digital”, la possibilità, cioè, di votazione digitale aperta a chiunque, attraverso internet. Con l’intento, evidentemente, di un maggiore coinvolgimento di chiunque interessato o solo sfiorato dall’arte. Un metodo che abbandona lo sguardo esperto solo delle persone che frequentano assiduamente le mostre, esprimendo una conoscenza di élite.
Il vincitore della 73ma edizione del Premio Michetti è stato Velasco Vitali, di Bellano sul Lago di Como.
Artista netto, duro, con una velocità pittorica tipo-impressionista che cattura la natura che vede al momento. E che nelle tele presentate alla mostra, sono la testimonianza della esasperazione del “tempo morto”, chiusi nel lockdown della pandemia, osservando dalla finestra la natura del proprio giardino, anch’esso triste, espressione parallela del “fuori tempo”. Una natura quasi estranea allo spazio e al tempo. Sospesa.
L’oro scuro di fondo – serie di Quadri Goldwatch, Orologi d’oro -, soprattutto nel formato minore dell’opera vincitrice, appare come il “quadrante” di un orologio prezioso, cui toglie il valore stesso del tempo. La natura rappresentata sembra essa stessa contorta, più intricata del solito. Una sensazione di angoscia obbligata. Quello che salva, comunque è la visione onirica costante di Velasco, con l’idea essenziale che sono i sogni a riportarci alla vita, e, anche oltre, verso la libertà di pensiero e di sentimento.
Ad ogni buon conto la poetica artistica di Velasco per me più attraente è il suo interesse per il Paesaggio Cancellato, e più precisamente delle Città abbandonate, intese come rovine di insediamenti per vari motivi sfortunati che non sono più abitati e vissuti. Opere di Vitali, per esempio, contenute nella Mostra di Foresta Rossa, presso la Triennale di Milano del 2013. (417 Città abbandonate in tutto il mondo).
In effetti questo specifico interesse, che diventa rappresentazione passionale artistica eccezionale, oltre la sola parola, ha inizio con la tragica alluvione che ha distrutto parte della Valtellina nel 1987, lasciando distruzione ed insediamenti abbandonati. Che hanno subito suscitato emozione in Velasco, evidentemente già interessato ed affascinato, nel suo subconscio, dal mistero delle Città non più Città. Che hanno comunque un’anima in sospensione. Come nel limbo delle città né buone né cattive. Città semplicemente (?) abbandonate.
Solo un pittore affascinato dalla dorata malinconia di una natura guardata dalla finestra della pandemia aliena, può entrare nella nebbia evanescente delle città abbandonate. Che aspettano un riscatto. O forse con un solo destino: quello di aspettare.
La Foresta rossa è stata una iniziativa di Vitali, coerente con questo spirito, consistente nel voler rappresentare una serie di grandi tele dov’è alcune città costruite dall’uomo, non risultano più utili nel tempo e nello spazio, per cui abbandonate e dimenticate.
È da qui che queste diventano Città fantasma, e che diventano Luoghi non luoghi”, di cui si impossessano strane presenze malinconiche, che girano specchiandosi nelle pozzanghere, che diventano paludi. Alti grattacieli, che diventano evanescenze nella pittura di Velasco, che si innalzano nel cielo e sprofondano nei riflessi. Le sue tecniche, in questo caso, diventano più materiche e forse più veloci, per significare la drammaticità istantanea del dramma e melanconia dell’abbandono successivo, e che passano più rapidamente e lentamente a, tempo stesso.
Conservando il senso delle varie “identità” urbane che erano, immaginando quello che potrebbero ancora essere, anche in forma diversa. O mai. Le sole parole, o la stessa progettazione tecnica-urbanistica di recupero eventuale di questi particolari residui insediativi, non potranno mai arrivare a cogliere la profondità artistica, che solo un pittore, come Velasco, potrà raggiungere, invece, con intensità insolita, visiva. Lo sguardo può della parola.
Credo che Velasco sia l’unico artista di città abbandonate, che ha incrociato queste realtà assai particolari, superando lo stesso tema singolare, e raggiungendo un picco di espressività assoluta, di concrezione materica sciolta nel tempo stesso.
Foresta rossa come la Città di Pripjat, abbandonata a causa del disastro di Chenorbyl, dove gli alberi erano diventati rossi prima di morire per abbandono. O male incurabile. Città abbandonate come Bannack, Suakin, Varosha, Nova Cidade de Kilamba, Grand Bassam, Kayakov. Città abbandonate del mondo intero, e che esprimono, quindi, il mistero planetario senza confini. Come i tristi paesaggi della pandemia globale.
Le tele dei cani vaganti di Velasco Vitali sembrano esprimere la solitudine di questi paesaggi urbani scomparsi, ma comunque presenti. Ossimoro temporale. Le sue città abbandonate descrivono una “lontananza” comunque mai negata. Come quando ci allontaniamo dalla nostra Città Natale, soffrendo e aspettando il ritorno. Le città fantasma di cui ho narrato in precedenza rappresentano drammatici eventi descritti solo a parole, che non hanno la malinconia planetaria e visionaria della sua pittura. Così come il Rione Fossi di Accadia, che sembra stretto, e nascosto alla memoria, da una fitta consistenza di alberi che lo hanno letteralmente “invaso” e conquistato alla propria riservata memoria.
Vorrei proprio sapere e vedere come Velasco dipingerebbe questa affascinante realtà, liberando il Borgo dalla morsa degli Alberi, mollando la presa arborea senza eliminare alberi.
Siete mai stati dentro una città abbandonata? Si provano sensazioni ed emozioni strane, magiche, fuori del normale. Dopo esservi immedesimati nelle loro tragedie, se trattasi di città segnate da eventi catastrofici, e dopo aver sentito le voci e anche le urla, avvertirete un silenzio assordante. Immaginerete poi la vita precedente che scorreva giorno dopo giorno, vi sentirete come attratti e risucchiati, dentro una città che per alcuni torna come era. Che potrebbe sembrarvi come vostra. Un parallelismo convergente/divergente.
Pompei è un’altra cosa. La storia romana e il Vesuvio, sempre presente, prevalgono, vi distraggono.
Le città abbandonate ritorneranno nella vostra memoria e in vita solo se volete Voi, solo come sono realmente ora, o come le ricostruite nella vostra fantasia istantanea. Andate a cercarle su internet, e troverete anche le immagini dei dipinti delle città abbandonate di Velasco, che vi spiegheranno tutto.
Eustacchio Franco Antonucci
Fondazione Michetti Mu.Mi – Francavilla al Mare (CH)
Figura Figurae
Immagine delle Immagini
73ma Edizione
fino al 25 settembre 2022
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