
Al termine di un suo lungo articolo, Temir Porras Ponceleón – ex Consigliere di Chávez in politica estera, ex direttore di gabinetto del presidente Nicolás Maduro dal 2007 al 2013 – concludeva la sua lunga disamina sulle motivazioni della grave crisi in Venezuela scrivendo che «il dialogo, in vista di un accordo di coesistenza politica fra governo e opposizione, offrirebbe il mezzo più semplice (e più pragmatico) per impedire al paese di sprofondare nell'abisso. Invece di attizzare le divisioni, la “comunità internazionale” dovrebbe orientare tutti i suoi sforzi in questa direzione» [1].
Ma la politica del dialogo non è stata messa in atto qualche mese fa e nemmeno in questi giorni, dopo le elezioni manipolate e l'autoproclazione a “presidente ad interim” di Juan Guaidó presidente dell'Assemblea nazionale del venezuelana.
Un impegno forte della diplomazia mondiale servirebbe a far uscire da quell'abisso che costringe alla fame e all'emigrazione milioni di venezuelani e per evitare spargimenti di sangue che in queste situazioni non sono affatto improbabili.
In queste ore non è difficile scorgere l'ipocrisia, intrisa di interessi economici, di tutte le parti in gioco. Basta volgere lo sguardo alla Repubblica democrati del Congo dove prima e durante le elzioni si è votato, ma i risultati sono stati truccati [2] e tutte istituzioni ne sono al corrente, non si è fatto nulla per sostenere l'opposizione. Il motivo sarà forse che dalla Cina, agli USA, alla Russia, all'Europa, tutti hanno interesse a che un paese, pieno di risorse e in particolare di cobalto utile alla produzione delle batterie dei telefonini e delle auto elettriche, assicuri la produzione. Con buona pace della democrazia e della povertà estrema del paese.
Bisognerebbe anche soffermarsi a riflettere sull'immagine del presidente, Juan Guaidó con in mano un'immagine di Simon Bolivar e sul fatto, come ha scritto Oscar Guardiola-Rivela che in Sudamerica i presidenti che l'hanno riconosciuto sono «tutti capi bianchi e alto-borghesi che ora guidano la nuova ondata reazionaria nella regione: il brasiliano Jair Bolsonaro, l'argentino Mauricio Macri, il colombiano Iván Duque e il cileno, Sebastián Piñera. Si proclameranno salvatori della democrazia e dell'umanitarismo, i bugiardi.» [2].
Oltre a quelli già indicati a sostenere Juan Guaidó ci sono anche il Canada, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay e di fatto l'Ue, con Federica Mogherini che ha chiesto nuove elezioni, come hanno fatto Francia, Germania e Spagna che con il premier Sanchez e il suo ministro degli esteri sembra aver assunto un ruolo di primo piano nella scelta di stare dalla parte di Guaidó inviando una sorta di ultimatum al governo di Maduro. Mentre l'Italia ha assunto una posizione più neutra attraverso il premier Conte che vorrebbe evitare «una escalation della violenza all'interno del paese e al contempo cercare di evitare che il Venezuela, attraverso l'impositivo intervento di Paesi stranieri, possa diventare terreno di confronto e divisioni tra attori globali». Una posizione criticata da più parti e vista come pilatesca probabilmente anche per ragioni di politica interna.
Dalla parte di Maduro, oltre ai militari che al momento hanno dichiarato la loro fedeltà, ci sono Cuba, Bolivia, Nicaragua, Messico, Iran, Turchia e Russia. Cina e Russia sostengono economicamente il paese importando petrolio, anche se il maggior importatore restano gli Stati Uniti. Ma al di là del sostegno economico, la strategia russa e cinese è quella di opporsi all'espansione americana fattasi più netta dopo alcuni anni di arretramento nel “cortile di casa”.
Molti quotidiani e riviste hanno ripreso la notizia, proveniente da un'inchiesta della pubblicata dalla Reuters, secondo la quale «negli ultimi giorni sarebbero arrivati in Venezuela un certo numero di “contractors” russi, cioè mercenari che lavorano per società militari private, con l'obiettivo di difendere il regime del presidente Nicolás Maduro dai tentativi dell'opposizione di togliergli il potere. Reuters, che ha basato la sua inchiesta sulla testimonianza di diverse fonti, ha detto che né il ministero della Difesa russo né il ministero dell'Informazione venezuelano hanno voluto commentare la notizia» [4].
Il ruolo degli USA in questa ultima crisi venezuelana è derimente. Leggendo una delle analisi fatta da una delle maggiori e più influenti riviste di politica internazionale, Foreign Affairs Harold Trinkunas spiega da una parte la maggiore efficacia dell'opposizione che ha «almeno temporaneamente superato la sua tendenza all'autosabotaggio e al frazionismo. In secondo luogo, ha sviluppato un nuovo approccio di successo per mobilitare i venezuelani scontenti contro il governo. Terzo, ha trasmesso alle forze armate, perno del regime di Maduro, assicurazioni credibili che gli ufficiali militari avrebbero ricevuto l'amnistia per qualsiasi crimine che avevano commesso in precedenza, se avessero sostenuto una transizione verso la democrazia. E infine, assicurando il rapido e difficile riconoscimento di Guaidó da parte dell'amministrazione Trump e dei governi latinoamericani […] L'opposizione venezuelana ha presentato all'amministrazione Trump un nuovo approccio. Ha dato una teoria giuridica grazie alla quale gli Stati Uniti avrebbero potuto riconoscere Guaidó come il leader legittimo del Venezuela: se la rielezione di Maduro fosse illegittima, come sostiene l'opposizione, la conclusione logica era che l'ufficio presidenziale del Venezuela era vacante [..]. Secondo l'articolo 233 della Costituzione venezuelana, se la presidenza è vacante, il capo dell'Assemblea nazionale diventa presidente ad interim e chiede nuove elezioni [5].
E per tenere meglio sotto osservazione cosa accade in Venezuela ha nominato come “inviato speciale” Elliot Abrams, «uno degli inviati di punta della politica reaganiana contro i Sandinisti in Nicaragua e l'Fmln in El Salvador nei sanguinosi anni ‘80 quando Washington finanziava la sporca guerra di contras e dell'esercito somozista. Abrams fu allora uno degli architetti dell'affare Iran-Contra in cui la guerra segreta venne finanziata dagli Usa con la vendita di armi all'Iran e l'arruolamento di narcotrafficanti regionali» [6].
Rafael Uzcategui, direttore di Provea, una Ong locale di difesa dei diritti umani ha detto che il sono diventate 35 le vittime della repressione delle proteste in Venezuela nell'ultima settimana Il rischio di una guerra civile resta alto e al momento l'unica iniziativa messa in campo è quella dei governi del Messico e dell'Uruguay, nonché della Comunità caraibica, Caricom per un tavolo di dialogo tra il governo venezuelano e l'opposizione.
Pasquale Esposito
[1] Temir Porras Ponceleón, “Venezuela, come uscire dall'impasse”, Le Monde diplomatique/il Manifesto, novembre 2018, pag. 9
[2] Oscar Guardiola-Rivela, “What has happened in Venezuela is a coup. Trump's denial is dangerous”, https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/jan/28/venezuela-coup-trump-juan-guaido, 28 gennaio 2019
[3] Matthieu Millecamps, “Présidentielle en RDC : le rapport de la Cenco qui donnait Martin Fayulu vainqueur”, https://www.jeuneafrique.com/714496/politique/document-presidentielle-en-rdc-le-rapport-de-la-cenco-qui-donnait-martin-fayulu-vainqueur/, 24 gennaio 2019
[4] “Ci sono mercenari russi a difendere Maduro in Venezuela? ”, https://www.ilpost.it/2019/01/26/mercenari-russi-venezuela-difendere-maduro/, 26 gennaio 2019
[5] Harold Trinkunas, “The Venezuelan Opposition's High-Stakes Assault on Maduro
Will Guaidó's Gamble Pay Off?”, https://www.foreignaffairs.com/articles/venezuela/2019-01-25/venezuelan-oppositions-high-stakes-assault-maduro, 24 gennaio 2019
[6] Luca Celada, “Venezuela all'Onu: l'inviato di Trump è uno specialista del «cortile di casa»” https://ilmanifesto.it/venezuela-allonu-linviato-di-trump-e-uno-specialista-del-cortile-di-casa/, 26 gennaio 2019
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