
La viticoltura ha vissuto e superato periodi di grande variabilità che ne hanno influenzato lo sviluppo. Il più delle volte i cambiamenti sono stati rappresentati dalle caratteristiche geografiche dei luoghi di coltivazione, dalle condizioni climatiche, da quelle particolarità nel tempo che hanno generato e consentito lo sviluppo di epidemie e malattie delle piante stesse.
Uno tra i più impattanti è stato lo sviluppo dell'agente infettante della fillossera ad esempio la Daktulosphaira vitifoliae, l'insetto che attacca le radici della vite europea che poi indusse l'uso del cosiddetto piede americano [1] in Europa. Questo accadeva nell'800 ed a causa dell'introduzione delle viti americane nel nostro continente si diffuse la Plasmopara viticola, l'agente infettante della peronospora della vite. Si capisce quindi come, nella realtà, ma anche nella credulità contadina di un tempo, si possano essere diffuse delle specie di vite che hanno influenzato la produzione enologica in base alle credenze o convinzioni del periodo. Alcune specie si dicevano, secondo la vox populi, esenti da problemi, altre specie più resistenti di altre, altre ancora emergenti e diffuse perché gli era attribuita una resa maggiore con minor lavorazioni e trattamenti in vigna.
Altre influenze sugli sviluppi di certi vitigni nel tempo sono state sicuramente le caratteristiche dei vini che si ottenevano a seconda delle necessità oppure degli scopi per i quali si coltivavano. Lo ricorda con precisione anche Giacomo Tachis, il padre del Sassicaia e dell'enologia moderna italiana, nel suo “Sapere di Vino” [2] quando specifica le necessità produttive del vinum operaium oppure vinum rusticum nel tempo delle conquiste dei Romani. Fu però in epoca medievale che il ruolo del vino, che nel frattempo aveva avuto un innalzamento della sua qualità, mutò nello stesso momento in cui iniziò ad essere usato per brindare e per sancire, come attore nel brindisi, un accordo oppure un contratto. Si era intrapresa una direzione anche nella produzione dell'uva che poi, nel secolo scorso, ebbe una valorizzazione successiva alle specie scelte per essere coltivate. Si iniziò pian piano a considerare che le coltivazioni di una determinata varietà fosse imposta più da una necessità quantitativa che rendesse produttive le esigenze di bilancio delle aziende agricole.
Solo successivamente le esigenze di mercato virarono verso le attuali che quasi sempre premiano qualità, con rese basse delle coltivazioni, ma anche il mercato dei terreni agricoli adatti a questo tipo di coltivazione come del resto ormai abbiamo svariati esempi. In questo campo forse gli sviluppi del Prosecco sono i più illuminanti. Nelle evoluzioni che hanno accompagnato nel tempo la viticoltura con le sue mutate espressioni, è stato normale che alcune tipologie di vite potessero andare perdute oppure dimenticate e può essere stato singolare il rispolverare certe produzioni che, con il mutare delle epoche, possono anche rappresentare adesso una particolare testimonianza di successo un tempo non ipotizzabile.
Un esempio lo si ha dall'uva Dorona, uva d'oro, diffusa nell'arcipelago delle isole veneziane che quasi sparì nel 1966 a causa di una intollerabile permanenza di giorni delle viti sotto l'acqua alta. Nella laguna veneta questo era un evento al quale si era abituati, ed anche le viti lo erano, anzi saltuariamente prendevano le sembianza di mangrovie per un tempo limitato e tollerabile. Inoltre dovevano a questa occasionale condizione le particolarità organolettiche che si ottenevano da quell'uva, il cui nome Dorona, voleva proprio ricordare il metallo prezioso in molte sfaccettature che partivano ovviamente dal colore. Il trattamento delle viti trovava attinenza, come per alcuni gourmand, nella produzione orticola nelle vicinanze del mare. Di questi casi di influenze dei cambiamenti climatici sulle produzioni di ortaggi la nostra rivista ne avevamo parlato in un'intervista a Mario Merola ed anche confermato sperimentalmente in ormai esempi gastronomici numerosi.
Alcuni prodotti, secondo noi i pomodori da insalata ma non solo, quando prelevati in campi nei quali l'influsso delle brezze marine e delle relative salinità che ne derivano sono significative, acquisiscono interessi organolettici ricercati. Proprio come nella Dorona dove si ha lo stesso risultato nelle mineralità che poi dal terroir si ritrovano nel prodotto vinificato con sapienza. Questo, sempre richiamando le affermazioni del maestro Giacomo Tachis, può essere il classico esempio che convalida l'affermazione che il vino lo si fa in vigna. Ovviamente potature e resa, clima con le variabilità delle stagioni, l'utilizzo dei saperi per la scelta dei momenti da vendemmiare come pure la complessità delle operazioni in cantina hanno pure il loro ruolo, ma si entra in un gioco armonico di attività tutte protese alla ricerca dell'equilibrio che viticoltore e wine maker hanno nei loro obiettivi. Poi in cantina farà la parte del leone la sofisticata chimica nella quale i lieviti giocano ruoli da attori primari, da vere stelle sul palcoscenico delle fermentazioni in cui gli equilibri malolattici, come fossero dive delle scene, agiranno per ottenere il successo cercato. Si giunge quindi all'affinamento in botti con le sfumature garantite dall'uso di legni preferiti, le loro tostature in tini e botti, oppure acciai, vetroresine o vetro, attraverso il cui utilizzo si raggiungono i risultati che possono significare successi in fama e finanza.

Nel caso di Venissa il tutto è tornato al clamore dell'enologia per intuizione e disponibilità di mezzi di Gianluca Bisol, che casualmente trovò una vecchia vigna a Torcello, laguna Veneta settentrionale, dalla quale, insieme ad altri ritrovamenti, recuperò 88 piante dalle quali partirono le laboriose ed ambiziose attività per il progetto di recupero attuale. Si trattò degli ultimi esemplari di Uva dei Dogi perché ne nobilitava i banchetti, espressione dell'autoctonia della Venezia, per cui Venissa il nome della tenuta cercata, voluta e realizzata dai Bisol.
Un vitigno a bacca bianca che ha saputo nel tempo adattarsi alla particolare situazione di acqua alta dalla quale trarre poi gli elementi distintivi del prodotto che genera, una particolare viticoltura eroica per le difficoltà a cui va incontro. I grappoli appaiono pieni, a buccia spessa che conferirà sostanza estrattiva importante e tanto altro al vino, il colore delle bacche, già oro alla vendemmia, sarà trasferito nel vino che regalano.
Quelle 88 piantine ritrovate hanno poi generato nella tenuta Venissa, in un ettaro circondato da mura medievali, da cui vigna murata, circa quattromila piante che hanno mostrato eccezionale adattamento alle salinità della terra che viene “rinnovata” ciclicamente almeno ogni tre anni dagli innalzamenti naturali delle maree. Queste caratteristiche conferiscono ai frutti una adeguata acidità che si riscontra anche ad alte temperature e sono risultate resistenti all'azione della botridis cinerea che, seppur considerata tra la nobiltà delle muffe per i vini botridizzati, in questo caso non è né voluta né cercata.
Dalla produzione annua risultano circa 3.000 bottiglie da mezzo litro e qualche altra bottiglia per alcune decine di magnum (1,5 litri), Jeroboam (3 litri) e Imperiali o Mathusalem (6 litri).

Anche dalla bottiglia si manifestano particolarità che sono chiaro indizio sulla tipologia di prodotto che viene commercializzato anche come tributo alla venezianità che convive nella artigianalità del vetro, siamo sull'isola di Mazzorbo, praticamente attaccati a Burano. Per avere una bottiglia adeguata a quanto richiesto dalla tradizione, c'è necessità che sia anche arricchita dai così detti batti l'oro. Quegli artigiani della famiglia Battiloro che battevano il metallo prezioso per ricavarne gioielli o gli oggetti della bisogna. Le bottiglie erano preparate dai locali artigiani del vetro con foglie rese sottili dai Battiloro e fuse all'interno della parete della bottiglia a Murano. Questo ha permesso di ottenere nello stesso prodotto i simboli della tradizione artigiana più preziosa, dell'opulenza dei gioielli veneziani, della ricchezza di contenuti culturali di vario tipo proprio delle generazioni che si sono succedute nelle epoche dei fasti veneziani. Tutto ciò trova immediato riscontro in quello che la letteratura attribuisce alle caratteristiche organolettiche di questo vino.
Non abbiamo ancor avuto occasione di verificarle, ci siamo fidati da quanto riportato in letteratura ed attendiamo che il prodotto del 2016 acquistato ci raggiunga per confermarlo. Non abbiamo però alcun fastidio nell'immaginare gli odori speziati e travolgenti che vengono subito colti non appena si stappa la bottiglia, la persistenza delle sapidità iodate conferite dalla lunga macerazione delle bucce e dai sentori salmastrosi del terreno, come se si stesse lavorando un rosso blasonato, seppur confusi in eleganti sentori di frutta gialla, miele e mandorla in finale come riportato nei testi. Sarà un'attesa degustazione come quelle di altri bianchi da invecchiamento già incontrati con favore che ci incuriosisce ed intriga. Sappiamo anche che, come nelle altre esperienze, sarà impegnativa seppur più facile della nostra ultima e ci pungolerà in maniera adeguata ed evidente. Speriamo di rimanerne incantati come normalmente accade in questi casi.
Emidio Maria Di Loreto
[1] La Daktulosphaira vitifoliae è un insetto responsabile della fillossera che attacca le radici della specie europea della vite danneggiandole irrimediabilmente. È arrivato in Europa nell'800 ed è diffuso nel mondo. La Plasmopara viticola, è il parassita che causa la peronospora della vite. Fu importato, con le viti americane a metà 800 e si diffuse mettendo a rischio la produzione vitivinicola.
[2] Giacomo Tachis: Sapere di vino Mondadori, 2010 Cap. 1 Il Vino e il suo genio pag. 15
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