
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Questo scriveva Gramsci in un articoloapparso sul quotidiano “Avanti!” la mattina del primo gennaio 1916. Cento anni dopo un altro capodanno si avvicina e, ci giurerei, non sarà troppo diverso da quello di un secolo fa. Almeno nella mente e nelle aspettative delle persone. Lo scenario storico era certamente diverso, si era nel vivo della Prima Guerra Mondiale e il capodanno doveva rappresentare davvero il tripudio della speranza mai sopita. Ma per il resto, per lo spirito con cui a esso ci avviciniamo, per l’atmosfera che esso emana, per i sogni che quella notte pullulano nel nostro animo ingenuo, il capodanno è probabilmente sempre uguale. La notte più lunga dell’anno ci sentiamo degli eroi e ci ripetiamo, con la stessa innocente incoscienza, che l’anno in arrivo coinciderà con il definitivo trionfo personale dei nostri progetti e delle nostre presunte felicità. Ogni capodanno lo stesso augurio, ogni anno la stessa illusione. Eppure nel 2017 saremo ancora qua, a brindare alla luna e a fissare il cielo in estasi, tanto che importa, c’è un nuovo anno alle porte e la felicità, stavolta, non tarderà ad arrivare.
È per questo che non voglio farmi fregare dai fuochi d’artificio, dai suoni scoppiettanti e dall’allegria generale; non voglio farmi ingannare dagli auguri che mi arriveranno a mezzanotte e rinnoveranno il loro invito alla gioia, intima e condivisa. Voglio anche io, come Gramsci, che ogni giorno sia il mio capodanno, che ogni giorno sia il primo di una serie infinità di felicità replicate, che ogni giorno possa ripetersi nel mio animo il ticchettio dei bicchieri in festa che battezzano la mezzanotte. Voglio svegliarmi e vedere fuori dalla finestra spettacoli pirotecnici ogni giorno, nel cielo così come nel mio cuore e voglio sentirlo quel sottile odore di micce esplose affinché di scintille si colori la mia vita e con essa l’umanità tutta. Rinnoviamoci ogni giorno, inventiamoci ogni giorno, diamo sfogo alla fantasia nello stesso modo con cui ci affanniamo a scegliere abiti e acconciature per il grande evento o il classico cenone. Trasgrediamo anche il primo febbraio e l’ultimo giorno di aprile, non attendiamo l’ultimo dell’anno per liberare amore mentre nel frattempo conserviamo rancori e invidie.
Voglio vivere ogni giorno come vivo il capodanno: senza orari, senza vincoli, senza rituali. Senza la frenesia che ci attanaglia gli altri trecentosessantaquattro giorni, senza l’angoscia che ci opprime e l’abitudine che ci modella tutti allo stesso modo, tutti ugualmente piatti e passivi. Voglio avvertirlo continuamente quel batticuore e quell’emozione con cui tutti aspettano e proclamano il conto alla rovescia; voglio che la mia schiena percepisca ogni istante quei brividi di baldoria e impazienza che accompagnano e scandiscono l’arrivo del nuovo anno. Voglio sentirmi sempre nuovo e sempre uguale, sempre libero e mai scontato, voglio poter inseguire ogni momento i miei sogni, sperando che sia la mia passione a esaudirli e non la smania che assiste, impotente, allo scoccare festoso della mezzanotte. Voglio poter ricreare me stesso e la mia personalità, ringiovanire o invecchiare nello spirito e nel corpo a seconda delle esigenze, divertirmi a sfoggiare e liberare la mia esuberanza. Voglio veder brillare i miei occhi e quelli di tutti ogni giorno, anche il più banale, il più inutile, il più triste e indesiderato. Perché tutto questo significa vivere, mettersi in gioco e in discussione, amare l’esistenza e desiderarne il suo definitivo compimento. E io voglio vivere sempre, non solo a capodanno.
Perciò odio il capodanno, continuava Gramsci. Io no, non lo odio. Anzi, lo amo talmente tanto che voglio continuamente sentirlo rinascere e fremere, impazzire e divampare. E spero, perciò, che ogni mio giorno possa realizzarsi con la sua stessa intensità, essere illuminato con i suoi stessi bagliori, essere ritmato dalle sue stesse magiche melodie.
È forse una pretesa folle, ma sognare a occhi aperti si può, e non solo il trentuno dicembre.
Lorenzo Di Anselmo
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