
Chi uccide ciò che ama merita la morte. Sembra essere questo il filo rosso che lega insieme la Salomè di Oscar Wilde ed il film che Al Pacino ne trae. Un'idea che prende forma un tassello per volta, un'ossessione che corre sotto pelle lungo tutto il corso della lavorazione del film/documentario/pièce teatrale realizzato nel 2011, presentato a Venezia e finalmente distribuito anche in Italia, una traccia impalpabile che Pacino segue tra i dialoghi concitati del dramma di Wilde, nei viaggi attraverso due continenti (oltre a quello americano) e tre capitali europee (Dublino, Londra, Parigi), ma anche, e forse soprattutto, scavando nel proprio vissuto interiore, nel profondo del suo intimo.
La lenta e meticolosa ricostruzione delle fonti, la lettura delle opere, gli spostamenti nei luoghi in cui ha vissuto lo scrittore e drammaturgo irlandese, le interviste con il nipote di Wilde e con personaggi noti che si sono confrontati con la sua opera (da Bono Vox a Gore Vidal, da Tom Stoppard a Tony Kushner) sembrano infatti tutte tappe di un viaggio interiore, di un'esperienza introspettiva che il regista fa alla ricerca di una ragione ultima, di un significato profondo, di un senso: all'espressione artistica anzitutto (siamo qui, infatti, nel campo del metacinema) e, quindi, alla vita stessa (che si intreccia a filo doppio con il lavoro di attore e regista, di messa in scena teatrale e cinematografica che Pacino porta avanti nel film). E questo senso, intensamente ricercato, prende forma e contenuto nell'ossessione di fondo del film che, nella lettura della Salomè di Wilde che Pacino ci offre, pare andare oltre la consueta analisi del potere che corrode e della passione che acceca, per indugiare sul tema del tradimento delle passioni (che, Wilde ci insegna, non vanno rinnegate neanche di fronte alla minaccia del carcere) e delle sue inevitabili conseguenze (“Aveva ucciso la cosa che amava e doveva pagare con la morte”; è questo uno dei passi che Pacino legge con più enfasi nel film, traendolo dal poema “La ballata del carcere di Reading”).
Chi uccide ciò che ama, sembra allora dirci Pacino attraverso Wilde, chi tradisce le proprie passioni, chi rinuncia a vivere se stesso fino in fondo si condanna a morire; di più: merita la morte. Che è quanto accade a Salomè la quale, innamoratasi dapprima di Giovanni Battista, ne chiede poi la testa ad Erode per vendicarsi del rifiuto del profeta e non può che essere condannata a morire nel drammatico e turbolento finale – giocato, per inciso, su una splendida e terribile teoria di rossi accesi dal gusto caravaggesco: dal sangue della testa mozzata del Battista, al velo che ricopre Salomè dopo la frenetica danza per Erode, alle labbra della stessa figliastra del tetrarca.
Wilde Salomé è un'opera cangiante che assume diverse forme nei differenti generi che abbraccia: dal metacinema (se ne accennava già sopra: nel film si mette in scena la lavorazione di un film e si riflette sul significato dell'espressione artistica) alla pièce teatrale, dal documentario (interviste e riunioni di produzione sono intercalati al racconto filmico in pieno stile docu-film), al road movie (Wilde Salomé, si è detto, è un viaggio alla ricerca di un senso che tocca diversi luoghi e si articola in più tappe). È un tentativo di sperimentare nuove forme e ricercare nuovi significati. Di far rivivere una delle opere più controverse di Oscar Wilde, ma anche di realizzare un film di novanta minuti in cinque giorni di riprese che poi diventano tre e poi forse sei. Una sfida al di là della dimensione temporale (ci sono almeno tre diverse epoche che si avvicendano nel film: da quella degli accadimenti biblici, all'epoca vittoriana, alla contemporaneità) e di quella spaziale (si è già parlato dei differenti luoghi in cui il film è ambientato). Un'opera insomma complessa e sfaccettata, visionaria e a tratti forse troppo ambiziosa, ma certamente e anzitutto coraggiosa.
Come ogni esperimento, non sempre la tensione è quella giusta; non tutto convince. Ciò che colpisce però, al di là dell'istrionismo cui Pacino ci ha abituati nel corso della sua lunga carriera di interprete e della sensualità di una conturbante e brava Jessica Chastain, è la spontaneità del racconto. Un racconto frammentato e a volte confuso (la stessa confusione che tormenta il regista Pacino ed il personaggio Erode), che procede quasi per tentativi ma che ha una sua coerenza interna e che, come per la rappresentazione dello stesso film nel film, pare a volte strattonato, strapazzato, piegato alle esigenze della produzione (ed il pensiero va qui a Truffaut quando in Effetto notte definisce le fasi di realizzazione di un film come un vero e proprio assalto alla diligenza), ma arriva col ciack finale ad un suo significato compiuto.
Gianfranco Raffaeli
Scheda del film
Titolo originale: Wilde Salomé
Genere: Drammatico
Origine/Anno: USA/2011
Regia: Al Pacino
Sceneggiatura: Al Pacino
Interpreti: Al Pacino, Jessica Chastain, Kevin Anderson, Roxanne Hart
Montaggio: David Leonard, Roberto Silvi
Fotografia: Benoît Delhomme
Scenografia: Nicole Ruby
Costumi: Shukkun Hue
Musiche: Jeff Beal
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